Respingimenti in Libia, soccorsi ritardati, ONG ostacolate. Riflessioni sui fatti di novembre.

di Paolo Cuttitta (Vrije Universiteit Amsterdam)

Nei giorni 23 e 24 novembre il MRCC (centro di coordinamento dei soccorsi marittimi) di Roma – gestito dalla Guardia Costiera – imponeva alla nave Aquarius dell’ONG franco-italo-tedesca SOS Méditerranéee alla nave Open Arms dell’ONG spagnola Proactiva Open Arms di astenersi dal soccorrere alcune imbarcazioni in pericolo nelle acque internazionali del Canale di Sicilia, lasciando i relativi passeggeri in attesadell’arrivo delle autorità libiche. A queste, infatti,MRCC aveva affidato l’intervento, affinché riconducessero le persone in Libia.

Tali fatti forniscono nuovi spunti di riflessione sulle responsabilità giuridiche italiane per i respingimenti verso la Libia e sulla tempistica dei soccorsi. Essi, inoltre, vanno letti in collegamento con l’evento del 6 novembre che ha avuto come protagonista la nave Sea-Watch 3 dell’ONG tedesca Sea-Watch, e con quello denunciato, sempre il 24 novembre, dall’altra ONG che opera nel Mediterraneo Centrale, la tedesca MissionLifeline. Emerge così il quadro di un mensis horribilis – il novembre scorso – che ridefinisce le pratiche di controllo, ricerca e soccorso nel Mediterraneo Centrale, a scapito della sicurezza delle persone e in spregio del diritto internazionale.

All’alba di giovedì 23 novembre la nave Aquarius di SOS Méditerranée riceve ordine da MRCC di dirigersi verso un’imbarcazione (catalogata da MRCC come evento SAR 1884) in acque internazionali, a oltre 24 miglia nautiche dalle coste libiche.Tuttavia, dopo avere raggiunto la posizione indicata e individuato l’imbarcazione, l’Aquarius riceve – dallo stesso MRCC di Roma – dapprima l’ordine di attendere, quindi quello di allontanarsi, pur continuando a ombreggiare l’imbarcazione per tenerla sotto controllo. Il “salvataggio”è infatti assegnato alla Guardia Costiera libica, della quale MRCC indica anche l’orario previsto di arrivo. I libici, però, non giungeranno mai. A un tratto, in realtà, dall’Aquarius avvistano un mezzo che prima si avvicina, poi però inverte la rotta e se ne va(come riferito a chi scrive dal coordinatore dei soccorsi dell’Aquarius). L’Aquarius informa di ciò MRCC, che successivamente, dopo avere preso accordi con le autorità libiche (per il tramite della nave militare italiana ‘Tremiti’, ormeggiata dallo scorso mese di agosto a Tripoli, ove svolge funzioni sia di addestramento della Guardia Costiera libica, sia di scambio di informazioni con le autorità locali), dà indicazione all’Aquarius di procedere con il soccorso. Ciò avviene ben due ore dopo che la nave di SOS Méditerranée ha individuato il gommone.Fortunatamente le due ore di attesa, pur prolungandolo stress psico-fisico, non arrivano a determinare effetti mortali tra i passeggeri del gommone. L’imbarcazione non si capovolge, né alcuno versa in condizioni di ipotermia o disidratazione tali da morirne in tempi brevi. Ma che tutti sopravvivranno non può saperlo nessuno, in quel momento; nemmeno la Guardia Costiera italiana, che sceglie quindi deliberatamente di giocare d’azzardo con la vita di queste persone. I 108 passeggeri (più il cadavere di una donna già morta al momento della partenza dalla Libia) vengono poi trasferiti a bordo della nave Open Arms, e da questa condotti a Pozzallo.

La stessa Open Arms, peraltro, ha già a bordo le persone recuperate da uno dei tre eventi nei quali essa è coinvolta quel mattino. Negli altri due, invece, l’equipaggio dell’ ONG spagnola è costretto a fare da spettatore dei respingimenti effettuati dalle autorità libiche su mandato di MRCC. Ciò che non riesce nel sopra citato evento SAR 1884, infatti, si realizza quasi contemporaneamente in questi due casi.Alle 6,35 Open Arms èincaricata da MRCCdi dirigersi verso un gommone in posizione 33° 31’N, 013° 43’E (evento SAR 1885).Strada facendo, però, essa viene informata da MRCC di un altro evento (evento SAR 1886) a breve distanza, e riceve istruzioni di dirigersi verso questo secondo e più vicino gommone. Dopo avere individuato l’imbarcazione dell’evento 1886, la Open Arms apprende da MRCC che il soccorso del primo gommone (l’evento 1885) è stato assegnato alla Guardia Costiera libica. Una volta soccorsi i passeggeri dell’evento 1886, e trasferitili a bordo della Open Arms, i due mezzi di salvataggio dell’ONG spagnola si dirigono verso l’evento 1885, seguendo però l’istruzione di MRCC di restare a distanza, fermandosi non appena stabilito il contatto visivo con l’obiettivo. Mentre una motovedetta libica intercetta il gommone per riportarne i passeggeri in Libia, MRCC comunica aOpen Arms una nuova posizione da raggiungere, specificando che anche in questo caso la responsabilità dell’intervento è delle autorità di Tripoli, e che la nave dell’ONG deve solo individuare il gommone, stabilire un contatto visivo e attendere, senza intervenire. Per due volte, quindi, Open Arms è costretta ad assistere a respingimenti verso la Libia coordinati dalle autorità italiane.

Similmente, il giorno seguente – venerdì 24 novembre – le autorità libiche effettuano almeno altri due respingimenti dalle acque internazionali verso la Libia sotto il coordinamento di MRCC. Questa volta ad assistere è l’Aquarius. Alle 6,30 del mattino è proprio la nave di SOS Méditerranée ad avvistare un gommone a 25 miglia nautiche di distanza dalle coste libiche. Come riferito dal coordinatore dei soccorsi dell’ONG, Aquarius trasmette l’informazione a MRCC; poi, su indicazione di quest’ultimo, procede verso il luogo in cui si trova il gommone (evento SAR 1907), vi giunge alle 7,00, fa una ricognizione e comunica le informazioni raccolte. Successivamente, MRCC comunica ad Aquarius che il soccorso è preso in carico dalle autorità libiche. MRCC chiede ad Aquarius di ombreggiare il gommone, restando a una distanza tale da poter controllare l’evolversi della situazione.L’equipaggio dell’ONG avvista tre mezzi delle autorità libiche: due motovedette della Guardia Costiera e una nave della Marina.Una delle motovedette si avvicina, in un primo momento, ma poi torna indietro. Alla fine, tuttavia, a differenza di quanto avvenuto il giorno precedente, i libici arrivano, ma solo alle 10,42: ben tre ore e 42 minuti dopo l’arrivo dell’Aquarius. La loro nave militare, in risposta all’offerta di assistenza formulata via radio da Aquarius, ordina a quest’ultimadi non avvicinarsi al gommone, carica a bordo i passeggeri e riparte alla volta della Libia. Per quasi quattro ore, insomma, le autorità italiane impediscono alla ONG di prestare soccorso a delle persone, con il solo fine di consentirne il respingimento in Libia.

Nel frattempo, mentre Aquarius ombreggiava il gommone catalogato come evento SAR 1907,una delle due motovedette libichesi dirigeva verso un altro gommone, che si trovavaappena più a sud (evento SAR 1908). Anch’esso era stato avvistato da Aquarius: alle 6,54, mentre la nave dell’ONGsi stava dirigendo verso il primo gommone. In questo caso i libici, immediatamente incaricati del soccorso da MRCC, giungevano più tempestivamente (alle 7,35), e l’attesa dei passeggeri prima di essere riportati in Libia era più breve. Anche questo respingimento era quindi deciso e coordinato dalle autorità italiane. Aquarius poteva solo assistere da lontano.

A rendere più opaco lo scenario di quel 24 novembre giungeva infine la notizia che una nave militare della missione europea EunavforMed aveva ordinato alla nave Lifelinedell’ONG MissionLifeline di abbandonare la zona dei soccorsi perché doveva avervi luogo un’esercitazione militare.

I fatti sopra riportati sollecitano alcune riflessioni.

Innanzitutto la Guardia Costiera italiana, che gestisce l’MRCC di Roma, formalmente non modifica la propria interpretazione estensiva del concetto di “pericolo”, che in diritto internazionale innesca l’obbligo di avviare un’operazione di soccorso.Secondo tale interpretazione, adottata dalle autorità italiane a partire dal 2013, qualunque natante sovraffollato o palesemente poco atto alla navigazione è ipso facto in pericolo, anche se funzionante, e anche se in quel momento non ci sono persone in mare e nessuno appare in immediato pericolo di vita. Infatti un gommone sovraffollato può rovesciarsi,o spaccarsi e affondare, in qualsiasi momento, anche in condizioni meteorologiche buone, comespesso avvenuto. Le autorità italiane, dunque, continuano a dichiarare un evento SAR non appena hanno notizia di una qualsivoglia imbarcazione con migranti a bordo.

Questa interpretazione estensiva – contrapposta a quella più restrittiva adottata da altri paesi, a cominciare dalla vicina Malta – era stata a lungo valutata con favore da chi la riteneva utile a evitare tragedie in mare. Alla luce degli ultimi sviluppi, l’interpretazione estensiva del concetto di pericolo in mare si colora di una luce diversa e ben più ambigua.

Gli ordini di non intervenire contraddicono, infatti, laprassi seguita precedentementeda MRCC di procedere immediatamente al soccorso, primaancora che si possano verificare circostanze dagli effetti non controllabili. Anche l’ombreggiamento (come quello richiesto ad Aquarius e a Open Arms) può infatti risultare inutile sequalcuno finisce in mare, soprattutto se questi non sa nuotare o se si tratta di numeri elevati di persone. Il fatto che gli episodi sopra descritti non abbiano avuto esiti mortali non significa che analoghi episodi non possano causare vittime in futuro, se la Guardia Costiera italiana continuerà su questa linea.

Insomma: se, da un lato, MRCC continua a catalogare come eventi SAR tutte le imbarcazioni di migranti di cui viene a conoscenza, confermando l’interpretazione estensiva del concetto di pericolo in mare,ciò viene fatto anche al fine di consentire i respingimenti, anzi: anteponendo tale fine a quello di prevenire la morte delle persone dichiarate in pericolo.

È inoltre lecito interrogarsi sulle ragioni di ritardi (evento 1907) e ripensamenti (evento 1884) da parte delle autorità libiche, recentemente coinvolte in modo diretto nei traffici. Appare infatti evidente che ritardi e ripensamenti non nascono dall’esigenza di tutelare la vita delle persone in mare. Del resto, il sostanziale disprezzo da parte delle autorità di Tripoli nei confronti della vita dei migranti è ampiamente documentato, oltre che a terra, anche in mare.Basterà ricordare quanto accaduto il 6 novembre scorso.

Quel giorno, alle 7 del mattino, la nave Sea-Watch 3 riceve da MRCC l’indicazione di raggiungere un gommone 30 miglia nautiche a nord di Tripoli. La situazione è drammatica non solo perché diverse persone sono già in acqua, ma anche perché sul posto è già arrivata, da pochi minuti, una motovedetta della Guardia Costiera libica. Nei pressi c’è anche una nave militare francese, mentre un elicottero italiano sorvola la scena e concorda con Sea-Watch 3 (alla quale MRCC ha affidato la responsabilità del soccorso) le modalità di intervento, offrendo la propria collaborazione. Ilibici, però, ignorando le richieste della Sea-Watch 3 di astenersi da ogni intervento, affiancano il gommone e caricano le persone a bordo, contro la volontà dei diretti interessati e con procedure non ortodosse, con il risultato che altri finiscono in acqua. A bordo, poi, alcuni sono minacciati e picchiati.L’elicottero italiano chiede alla motovedetta di spegnere i motori e collaborare con la Sea-Watch 3, ma la richiesta è ignorata, mentre un uomo, cadendo, resta appeso alla scaletta. La motovedetta parte per la Libia, con l’uomo ancora aggrappato a dritta, ignorando gli ulteriori, ripetuti e accorati appelli lanciati via radio dall’elicottero militare italiano. Alla fine, cinque persone perdono la vita per diretta conseguenza dell’intervento libico.

Questo non è peraltro l’unico caso di pirateria di cui si siano rese protagoniste le autorità libiche, che già nel 2016 avevano ripetutamente aggredito le imbarcazioni di varie ONG (la stessa Sea-Watch, in almeno una prima e una seconda occasione, ma anche Medici Senza Frontiere Sea Eye).Quest’anno, tra i tanti episodi del genere, l’ultimo si era verificato il 26 settembre scorso, quando la nave di Mission Lifeline era stata abbordata e intimidita al termine di un soccorso.

Ancora più grave, alla luce di tutto ciò, appare perciò la decisione di MRCC di affidare alla Guardia Costiera e alla Marina libiche l’incarico di gestire operazioni di soccorso (oltretutto in presenza di altre imbarcazioni più idonee e affidabili), nemmeno tre settimane dopo i fatti del 6 novembre.

In realtà, anche l’affidamento dei soccorsi alla Guardia Costiera e alla Marina libiche non è una novità. Le autorità di Tripoli hanno cominciato a rispondere agli inviti di MRCC a intervenire in acque internazionali almeno da quando, la primavera scorsa, l’Italia ha donato alla Libia quattro motovedette. Il primo caso documentato risale al 10 maggio, quando sulla scena dell’evento SAR arrivava contemporaneamente anche la nave di Sea-Watch, incaricata dapprima di recarsi sul posto, e solo in un secondo momento avvertita da MRCC che l’intervento era stato affidato alle autorità libiche. L’equipaggio dell’ONG,dopo avere subito un’intimidazione dalla motovedetta libica, assisteva al respingimento di quasi 500 persone.

Il fatto che, in tale circostanza, l’imbarcazione in pericolo fosse, sì, già in acque internazionali, ma ancora all’interno della zona contigua (l’area a ridosso delle acque territoriali nella quale il paese costiero può intervenire per sanzionare o prevenire violazioni delle proprie leggi sull’immigrazione) ha poca rilevanza. In primo luogo, infatti, la Libia non ha mai formalizzato la propria zona contigua. In secondo luogo, l’interesse di applicare le proprie leggi non dovrebbeprevalere sul divieto di respingimento da acque internazionali.In ogni caso, per quanto riguarda le responsabilità dell’Italia,l’operazione del 10 maggio era un evento SAR coordinato dalle autorità italiane.MRCC, dunque, violavain modo diretto le norme che impongono all’autorità che coordina i soccorsi di individuare un luogo sicuro (la Libia non lo è) in cui fare sbarcare le persone, in ossequio al principio di non-refoulement.

Proprio per sottrarsi al ruolo di spettatori impotenti di atti criminali, oltre che agli atti di violenza armata perpetrati dalle autorità libiche e avallati da quelle italiane, altre ONG, a cominciare da MOAS e MSF, avevano deciso di ritirare le proprie navi dal Mediterraneo già in estate.

I fatti verificatisi a novembre fugano ogni dubbio sulla legittimità dei respingimenti, poiché essi si verificano fuori non solo dalle acque territoriali libiche ma anche dall’ipotetica zona contigua.

L’Italia, nel coordinare i soccorsi, non soltanto omette di individuare un luogo sicuro ove condurre le persone ma si rende anche responsabile – secondo l’articolo 16 degli Articles on the Responsibility of States for internationally wrongfulacts della International Law Commission – di complicità di un atto illegittimo commesso da un altro stato: il respingimento dalle acque internazionali verso la Libia da parte delle autorità libiche. Tale responsabilità deriva dall’avere fornito aiuti (nella fattispecie la cessione di motovedette e altre forme di supporto, comprese la formazione professionale e l’assistenza tecnica) al paese responsabile della violazione, nella consapevolezza che tali aiuti sarebbero serviti per la commissione di una violazione.

Il panorama, in conclusione,è chiaro: nell’assegnazione dei soccorsi da parte della Guardia Costiera italiana,la priorità viene data alle autorità libiche, e solo ove queste non siano disponibili i soccorsi vengono affidati alle navi delle ONG, agli assetti militari europei o ad altre imbarcazioni civili eventualmente di passaggio.In tale contesto le navi delle ONG – peraltro diminuite di numero causa l’abbandono di diverse organizzazioni, non più disponibili a operare in un contesto caratterizzato dalla violenza sistematica delle autorità libiche e dalla complicità di quelle italiane – non solo hanno dovuto arretrare il proprio raggio d’azione, ritirandosi oltre le 24 miglia dalle coste libiche (cioè oltre la presunta zona contigua, nella quale la minaccia dell’aggressione delle autorità di Tripoli è più pressante), ma sono esposte anche all’arbitrio delle navi militari europee, che impongono loro di allontanarsi dalla zona dei soccorsi, riducendo il potenziale di mezzi disponibili e quindi aumentando il rischio di morte per chi è in viaggio.Infine, a esse viene impedito di prestare soccorso nei tempi più brevi, e imposto di assistere ai respingimenti.

La prevista consegna di altre sei motovedette italiane alle autorità libiche e la concordata costituzione di una sala operativa congiunta italo-libica (che renderà più stabili e organiche le attività di cooperazione già svolte dalla nave militare Tremiti di stanza a Tripoli) sembrano destinate a rafforzare queste tendenze.