Tempo fa, in un’ottima ed interessante intervista, la giornalista Nancy Porsia ci raccontò, con dovizia di particolari, di come, grazie anche alle complicità dei governi italiano ed europei, si andava realizzando una vera e propria affermazione della mafia in Libia. Interessi congiunti fra governo Sarraj, milizie assoldate, ex trafficanti riciclati e quant’altro ed UE, non solo in nome del respingimento dei migranti e del blocco delle frontiere ma anche del controllo della gestione delle risorse petrolifere del paese. Quello che si delineava era un meccanismo inquietante su cui è necessario continuare a fare luce e che, insieme alle palesi e riconosciute anche dall’ONU, violazioni totali dei diritti umani nei centri di detenzione in Tripolitania, dimostra come gli accordi siglati innanzitutto dal ministro dell’Interno Marco Minniti costituiscano un vulnus democratico inaccettabile. Si tratta di accordi carichi di sangue che segneranno la storia di questo paese e di cui ci si dovrà preso vergognare. A suffragare la mole di materiale che in questi mesi abbiamo pubblicato su questo tema, giunge una testimonianza diretta della vittima di un nuovo business, quello dei sequestri delle persone che provano ad imbarcarsi per poi ottenere un riscatto dalle famiglie. L’uomo che racconta la sua vicenda si è salvato ed è ora in salvo ma si tratta di una eccezione. Non sappiamo quante sono ad oggi le persone – uomini, donne e bambini – detenuti, venduti e di cui ad oggi le famiglie non hanno notizia e che potrebbero aver perso la vita nel silenzio delle galere libiche. Ringraziamo da ultimo Storie Migranti e Carovane Migranti per aver fornito il materiale che segue.
di Monica Scafati
Venerdì 10 novembre Imed Soltani, presidente dell’associazione “Terre pour tous” che ha sede a Tunisi e che da anni si mobilita tra le due sponde del Mediterraneo insieme alle famiglie dei migranti tunisini scomparsi, mi ha chiamata per dirmi che nel suo quartiere era appena ritornato a casa un uomo che era partito dalla Tunisia verso la Libia in agosto per imbarcarsi alla volta dell’Italia, che era stato sequestrato in mare, riportato in Libia e poi liberato dopo aver pagato un riscatto.
Le parole di Imed si configurano immediatamente come un’ulteriore attestazione a conferma delle accuse che ormai da molte direzioni pervengono a carico degli accordi siglati da Minniti, in un primo momento perfino acclamati al vertice di Parigi come perfetto esempio di concretezza da seguire.
La mafia! Certo, dire “la mafia” può significare fin troppe cose e al contempo può comportare il fatto di rimanere nel vago rispetto alle persone da accusare. Allora chiedo a Imed maggiori dettagli. Mi parla di trattative per un riscatto e di settimane di prigionia. Mi dice che Monder dopo essere stato intercettato in mare è stato condotto in un luogo chiamato Mellitah, in un carcere, da persone armate in abiti mimetici. Persone che in un primo momento aveva ritenuto appartenere alle forze governative ufficiali.
“Mellitah è una località a 60 km da Tripoli, sede della stazione di compressione del gas libico, da dove si diparte «Greenstream», il più grande metanodotto sottomarino in esercizio nel Mediterraneo, sui cui fondali, per una lunghezza di 520 km, si posa fino a raggiungere una profondità che supera i 1.100 metri. Il gasdotto, realizzato nei primi anni del 2000, approda al terminale di Gela, in Sicilia, sulla spiaggia a est della raffineria che l’Eni ha chiuso per riconvertirla a centro di produzione di biocarburanti. Fornisce all’Europa 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno: due miliardi per l’Italia e il resto per gli altri paesi, in prevalenza la Francia. Greenstream appartiene a una società mista composta da Eni e dall’agenzia petrolifera libica National Oil Corporation (Noc) ed è uno dei due metanodotti che collegano l’Italia al Nordafrica (l’altro è il gasdotto con l’Algeria)”.
Certo l’Europa non è all’oscuro del fatto che in quella zona della Libia il governo ufficiale di Al Sarraj non è l’unico a dettar legge, e molti sono già i fatti documentati e testimoniati che ci informano di come le milizie, che gli sono talvolta alleate e talvolta opposte, abbiano un margine operativo e decisionale importante, oltre che ovvi interessi al controllo della zona. Hanno dunque un effettivo peso politico e le denunce circa l’aver loro conferito capacità di negoziazione sono numerosissime.
Ma Imed dice anche che Monder non parla di milizie libiche e basta, ma di governo italiano. Di un governo italiano che dà a questa gente licenza di fare. E che non solo è al corrente e non se ne cura, ma anzi esorta e foraggia.
Parla di un famoso scafista che ora viene pagato per non effettuare partenze. Ma quest’uomo pare abbia forte spirito imprenditoriale e quindi, piuttosto che prendere soldi per stare lì senza far niente, si è rilanciato e reinventato in un business opposto ma equivalente: il sequestro dei migranti per far profitto dei riscatti.
Un uomo che nella zona di Mellitah non è un nome nuovo. Il suo nome è Ammu dice Monder. Sicuramente -aggiungo io- lo stesso Ammu che dal 2015 ha in carico la sicurezza dell’impianto della “Mellitah Oil and Gas” a seguito del rapimento di alcuni dipendenti di un’altra società. Ammu il bodyguard dell’Eni. Nonostante in numerosi rapporti – di Amnesty, Human Right Watch, Medici Senza Frontiere, Habeshia, e delle Nazioni Unite- venisse identificato tra i principali facilitatori del traffico di esseri umani.
Monder dice che Ammu lo conoscono tutti, e che nessuno si permette di fargli alcun tipo di opposizione. Dice che l’Italia lo paga per non far partire i migranti. Ne adduce a prova il fatto che il 25 settembre non avendo ricevuto soldi non ha pattugliato il mare e ci sono state delle partenze. Sono in effetti gli stessi giorni in cui sono stati intercettati i 52 migranti poi soccorsi dalla nave di “Mission Lifeline”, presa a colpi d’arma da fuoco dalla Guardia Costiera libica come metodo di dissuasione. I giorni in cui Il portavoce della Marina libica, il generale Ayub Kacem, comunicava che da quel momento in poi avrebbe sequestrato le navi delle ONG.
Ad ogni modo, che Ammu prenda soldi dall’Italia è cosa certa relativamente alla sicurezza degli impianti Eni, e ben difficile è il poter tracciare un confine netto tra cosa esattamente quei soldi retribuiscano, e cosa no. Ad esempio il fatto che Ammu abbia potuto mettere in piedi un carcere può forse essere giustificato dall’incarico di proteggere il milionario complesso energetico? Oppure “questo Ammu” intrattiene relazioni con gli italiani senza che questi si soffermino a tirare in ballo il carcere, i sequestri, i riscatti, gli stupri, e i due carri armati che si è messo davanti casa? Che non lo sappiano forse?
Imed mi comunica il suo stupore. Ma come? Come mai un governo democratico come è quello italiano si trova ad essere colluso con la mafia in Libia? E tutto questo nel silenzio dell’Europa che, anzi, elogia l’Italia per il Memorandum con la Libia?
Per quanto riguarda l’Italia, ovviamente dire ENI vuol dire parlare dell’Ente Nazionale Idrocarburi. È pur sempre il Ministero dell’Economia a conservare il potere di nominarne i dirigenti, e pensare che possa operare completamente al di fuori del raggio di conoscenza del governo è veramente poco plausibile. Se è vero questo, è vero anche che quando Monder dice che Ammu prende i soldi dal governo italiano dice forse una cosa generica ma non sbagliata. Agli occhi di chi è presente in quei luoghi, Ammu è un uomo che si relaziona agli italiani, che lavora per loro o con loro, in ogni caso grazie ai loro soldi, e con mansioni certamente plurime.
È il portavoce di al-Ammu che già ad agosto rendeva pubblico che la loro milizia e quella chiamata “Brigata48” avevano raggiunto un accordo verbale con il governo italiano e quello di Serraj per fermare le partenze. L’Italia dal canto suo, se dal Ministero degli Esteri smentisce, da altri portavoce fa rispondere che non commenta le attività di intelligence.
Certo non sarebbe bastato un commento breve sugli 800 milioni di euro che Bruxelles fornirà a Serraj con un piano dilazionato in 24 mesi -a seguito del Memorandum del 2 febbraio -, a spiegare in che modo questi finanziano attività di sequestro e mercato di esseri umani in stato di coercizione.
Monder dice di essere andato in Libia per partire perché aveva sentito dire spesso che dalla Libia si partiva facilmente, e perché in effetti molti suoi amici prima di lui hanno fatto così. Non immaginava di poter essere sequestrato. Si è salvato grazie al fratello che lo ha raggiunto a Mellitah con una somma di 7 milioni di dinari tunisini, e mentre lo racconta ci fa capire che la sorte di molti per cui nessuno arriverà da così lontano o per cui nessuno ha così tanti soldi è già segnata. Resteranno lì fino alla fine dei loro giorni, che tra violenze e stenti arriverà per molti prima di quanto sarebbe giusto. Monder continua parlando di percosse, di stupri, di decessi, di sepolture indegne, di una situazione inumana.
Imed è andato venerdì stesso nel pomeriggio ad incontrarlo per filmare le sue dichiarazioni. Lo intervista facendo domande precise, e Monder dà risposte inequivocabili.
Ammu ha organizzato questa mafia dei sequestri, lavora per gli italiani, ha costruito un carcere che ha dato in gestione a Tarek e in cui i prigionieri vengono trattenuti come tali fino al pagamento del riscatto. Fa questo al posto di fare lo scafista da quando prende i soldi dall’Europa per impedire le partenze. Non sappiamo se fatichi la metà, ma deduciamo facilmente che guadagna il doppio, che viola i diritti umani e civili delle persone che rapisce, e che certo non teme l’indignazione della società civile che da mesi e mesi a vari livelli lo denuncia.
Monder vuole che si sappia che lì ci sono persone senza alcuna via d’uscita, è per questo che racconta cosa ha vissuto. È a casa, salvo, non è arrivato in Italia, ma non è morto in mare e non è morto a Mellitah. Suo fratello lo ha riscattato pagando una somma ingente che molti altri non potranno mai vedersi recapitata, una somma la cui richiesta equivale per molti all’immediata consapevolezza del fatto che quello sarà il loro ultimo luogo se non verranno ripristinati la legalità e il diritto, e se l’Europa non rivedrà le sue strategie di gestione dei flussi migratori.