Concorso in speronamento o nebbia sulle responsabilità in area SAR ?

di Fulvio Vassallo Paleologo

Sembra “affondata” nell’indifferenza generale la notizia dell’ennesima strage di persone migranti avvenuta al largo dell’isola di Kerkennah sulla rotta tra Sfax e la Sicilia dove, a circa trenta miglia dalla costa, una motovedetta tunisina, impegnata in una azione congiunta di controllo delle frontiere con mezzi della Marina italiana, è entrata in collisione con un barcone e lo ha affondato, con otto morti accertati ed almeno una ventina di dispersi. Secondo alcune fonti, che non hanno trovato conferma,  la Guardia costiera tunisina avrebbe recuperato oltre cento superstiti.

Non si comprende il silenzio della Guardia costiera italiana, che pure ha fatto partire da Lampedusa due motovedette per partecipare alle operazioni di soccorso. La notizia è stata data immediatamente con toni che hanno cercato di nascondere la natura militare del mezzo investitore ( nave tunisina) e persino le modalità di quello che è stato definito come un “incidente”. Qualcuno ha escluso anche la presenza della motovedetta tunisina, parlando di un motopesca investitore, stranamente proprio da Malta che “coordinava” le attività SAR in occasione dell'”incidente” di Kerkennah.

Si dovranno ascoltare i testimoni per valutare quanto sia stato davvero un “incidente” o quanto piuttosto non si sia trattato di uno speronamento deliberato al fine di modificare la rotta dell’imbarcazione diretta verso la Sicilia per ricondurla in acque tunisine.

Un attività di diversione ( definita tecnicamente “manovre cinematiche d’interposizione, o di interdizione) che è codificata nei manuali operativi di molte marine militari, e della NATO, ma che non è assolutamente giustificabile quando si rivolge contro una imbarcazione carica di persone che naviga in acque internazionali, ben fuori dalle acque territoriali. Si potrebbe ricordare al riguardo la condanna deinitiva, peraltro ad una pena lievissima, del comandante della nave della Marina italiana Sibilla per l’affondamento dei migranti che erano imbarcati sulla Kater i Rades, a seguito di uno speronamento, tragedia avvenuta nel lontano 1997 nel Canale d’Otranto.

Un procedimento penale giunto a sentenza del Tribunale di Brindisi il 19 marzo 2005, della Corte di Appello a Lecce il 29 giugno 2011, ed infine ad una sentenza della Corte di Cassazione soltanto il 9 maggio 2014, dopo diciassette anni dai fatti. In quella occasione al comandante della Sibilla era stato impartito l’ordine di porre in essere manovre dissuasive e lo stesso si sottraeva ” a qualsivoglia domanda delle parti e del Tribunale, al di là di alcune dichiarazioni spontanee rese nel corso del giudizio di primo grado” ( come si legge nella sentenza della Corte di Appello di Lecce).

Vedremo quanti anni si dovrà attendere, se mai arriverà, per una sentenza di condanna degli autori di quello che appare ad oggi come uno speronamento, e se la giustizia tunisina sarà più rapida di quella italiana. In ogni caso si dovranno valutare le modalità operative e gli assetti navali impiegati nelle esercitazioni congiunte italo-tunisine che erano in corso tra domenica 8 e lunedì 9 ottobre dunque già durante la notte della strage davanti ai banchi di sabbia di Kerkennah. Le stesse manovre “dissuasive” venivano utilizzate da altre unità militari italiane nel tentativo di respingere due pescherecci tunisini che nel 2007 avevano soccorso migranti in acque internazionali ed erano diretti verso un porto  siciliano. Una vicenda che costò una incriminazione ai due comandanti tunisini, accusati per “violenza a nave da guerra”, quindi una condanna da parte del Tribunale di Agrigento ed infine una assoluzione nel 2011 da parte della Corte di Appello di Palermo.

Sembra comunque accertato che lo speronamento al largo dell’isola di Kerkennah  si sia verificato in acque internazionali, tanto che si è scritto di una responsabilità di coordinamento dei soccorsi da parte delle autorità maltesi perchè l'”incidente” sarebbe avvenuto proprio in nella zona SAR maltese ( che in quel punto del Mediterraneo si avvicina molto alle coste tunisine). Se fosse vera questa circostanza, rimane da spiegare cosa ci faceva una unità navale tunisina a svolgere attività di interdizione della navigazione in acque internazionali, analogamente a quanto consentito da alcuni mesi alla sedicente Guardia costiera di Tripoli che, fuori dalle acque territoriali libiche, ha potuto anche sparare su navi umanitarie mentre erano impegnate in attività SAR ( ricerca e salvataggio).

L’unica spiegazione di questa presenza di imbarcazioni, prima libiche ed adesso tunisine, in acque internazionali,risiede negli accordi che il governo italiano, con il ministro Minniti, come alfiere dei “respingimenti concordati” verso l’Africa, ha stipulato con la Tunisia e con la Libia. Agenti della guardia costiera libica sono stati inviati anche in Tunisia, per “addestramento” sotto l’egida dell’accordo Italia- Libia-Tunisia.  Già dal 2011 erano stati rinforzati gli accordi tra Italia e Tunisia, con  addestramento congiunto e modalità di pattugliamento concordate, oltre ai rimpatri sommari eseguiti subito dopo lo sbarco. Negli ultimi mesi si è data maggiore applicazione a quegli accordi nel quadro di maggiori risorse finanziarie destinate ai paesi che collaborano nella lotta contro l’immigrazione clandestina. Non solo danaro, ma anche uomini e mezzi.  Sono accordi che sono stati garantiti dalla formazione congiunta dei componenti della Guardia costiera, dalla presenza di navi italiane nei porti tunisini e libici, dalla sorveglianza di unità di Eunavfor Med, come la nave militare spagnola Cantabria, all’ancora nel porto di La Goulette, a Tunisi,  fino a poche settimane fa.

(TAP) – Multi-purpose European frigate “Alpino”, belonging to the Italian Navy, on Monday, docked in the port of Goulette to participate in a joint exercise with the Tunisian Navy named “Oasis 2019” from October 9 to 13. The operation, which is part of co-operation between the Tunisian and Italian navies, includes several multidisciplinary exercises, particularly in the areas of maritime control, search and relief at sea and fight against illegal migration.

Si apprende adesso che il Commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa ha richiesto al governo italiano chiarimenti sugli accordi stipulati tra il governo italiano, il premier libico Serraj , alcune milizie, e la Guardia costiera che fa riferimento al governo di Tripoli. Accordi che hanno richiamato i precedenti accordi stipulati da Amato  e Prodi (2007) prima e da Berlusconi (2008) poi, per la costituzione di una unità di coordinamento operativo tra le due guardie costiere e per consentire i respingimenti in Libia. Di certo il governo italiano ed il ministro Minniti non potranno continuare a giustificare gli accordi con il governo di Tripoli ( e soltanto di Tripoli) asserendo che la “Libia” avrebbe fornito “assicurazioni diplomatiche” sulla sorte delle persone migranti fermate in acque internazionali e riportate a terra dalla Guardia costiera di Serraj. La Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha già respinto questa difesa addotta dal governo italiano nel 2012 sul caso Hirsi, richiamando la situazione di violazioni diffuse dei diritti umani in Libia, nel 2009. La condanna dell’Italia per i respingimenti diretti effettuati dalla Guardia di finanza nel maggio del 2009 non è superata dagli accordi stipulati di recente con la Guardia costiera di Tripoli. Oggi la condizione dei migranti in quel paese è ancora peggiorata. Oggi però i migranti segregati nei lager libici non riescono a fare arrivare ricorsi alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, anche perchè l’Italia ha delegato alla Guardia costiera libica, ed adesso anche tunisina, il “lavoro sporco” di fermare i migranti in mare e riportarli indietro verso i porti di partenza. E la strage di Kerkennah potrebbe essere solo la prima di una lunga serie. Da quando, in base agli accordi con il governo italiano, le autorità libiche, e adesso quelle tunisine, hanno ritenuto come aree soggette alla loro sovranità le zone SAR  in acque internazionali, gli interventi di soccorso, prima operati anche dalle ONG, sono stati sostituiti da interventi di pattugliamento militare allo scopo di interdire la prosecuzione dei barconi e riportare a terra, in Libia o in Tunisia, le persone soccorse. Nessuno stato può esercitare poteri di imperio su persone in acque internazionali, allo scopo di “contrastare l’immigrazione illegale” senza garantire interventi tempestivi di ricerca e soccorso. Le zone SAR non circoscrivono spazi di sovranità statale, ma sono fissate dalle Convenzioni internazionali al solo scopo di salvare la vita umana in mare. Attendiamo adesso la risposta di Minniti alla richiesta di chiarimenti arrivata dal Consiglio d’Europa.

Il governo tunisino ha annunciato l’apertura di una indagine su quest’ultimo naufragio e si può essere certi che le famiglie tunisine non daranno tregua a chi ha concluso accordi con i governi europei, accordi che sono costati la vita ai loro cari. Non si può però trascurare, a questo riguardo, la notizia che lo speronamento avvenuto nella notte tra domenica e lunedì scorso si è verificato proprio all’inizio di una operazione congiunta tra la Marina italiana e la Marina tunisina per contrastare gli arrivi di migranti in Italia.

Dopo il forte rallentamento delle partenze dalla Libia, un dato comunque parziale e smentito nel mese di settembre, l’attenzione generale e gli allarmi lanciati dagli “imprenditori della paura” si sono concentrati sulla rotta tunisina. Anche se l’aumento numerico  non è particolarmente elevato nel quadro di una generale diminuzione degli arrivi e dei soccorsi nel Mediterraneo centrale, la componente di partenze dalla Tunisia diventa più rilevante. In realtà, però, molto presto, gli arrivi dalla Libia potrebbero aumentare di nuovo in modo esponenziale. Lampedusa, dopo gli accordi di Minniti con il governo di Tripoli, è di nuovo meta di sbarchi, come era ampiamente prevedibile dopo il ritiro delle ONG, e l’Hotspot di Contrada Imbriacola sta diventando un luogo esplosivo, per il trattenimento illegittimo di centinaia di persone alle quali vengono negati i più elementari diritti di difesa, prima del trasferimento e del rimaptrio, da Palermo, o della clandestinizzzione, dopo la consegna di un provvedimento di respingimento “differito” con intimazione a lasciare entro sette giorni il territorio nazionale. Una intimazione che nessuno potrà mai eseguire, ammesso che lo voglia, senza danaro e  senza documenti.

I migranti tunisini, in realtà molto spesso giovani disperati costretti a fuggire in cerca di una prospettiva lavorativa, sono ottimi bersagli per chi agita il binomio “lotta agli scafisti-lotta ai terroristi” per conquistare fette di elettorato e presentarsi magari come il mediatore capace di ricomporre in Italia, dopo le prossime laceranti elezioni. un governo di unità nazionale tutto rivolto ai temi della sicurezza. Singoli episodi di criminalità, che andrebbero perseguiti e puniti nell’ambito della responsabilità penale individuale,  vengono strumentalizzati per costruire una sorta di “colpa collettiva”, che macchia la presenza di tutti i giovani tunisini arrivati in Italia.  Una politica che ben conosciamo e che adesso potrebbe diventare vincente, se si guardano i sondaggi che indicano una crescente avversione contro gli immigrati e in genere tutti coloro che praticano accoglienza e solidarietà.

Un senso comune tossico per la coesione sociale e per la convivenza pacifica, tutto improntato al rafforzamento degli apparati di repressione, alle frontiere esterne, in mare, e ne vediamo i risultati, ed alle tante frontiere interne che ormai spezzettano questa Europa, da Piazza Indipendenza a Roma, fino ai valichi di Ventimiglia e Bolzano, dove muore anche chi avrebbe diritto ad essere accolto. Una politica basata sull’attività repressiva e sulle informative dei servizi, che in assenza di una forte opposizione  alimenta le lacerazioni sociali per sfruttarle sul piano elettorale e legittima pratiche sempre più violente da parte delle forze di polizia.

Sempre più nel mirino il mondo della solidarietà. L’attacco contro le ONG impegnate nelle attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale ha prodotto l’effetto di allontanare quasi del tutto le navi umanitarie dalle aree nelle quali più necessaria era la loro presenza. Ormai rimangono solo operative ad est, vicino al confine con la Tunisia le piccole navi tedesche Sea Eye e Sea Fuchs, e ad ovest di Tripoli, dove comunque le partenze sono più rarefatte, la tedesca Lifeline e Aquarius di Sos Meditarreneè.

Mentre i giudici hanno insistito sulle “consegne concordate” che sarebbero state eseguite dai trafficanti alle navi umanitarie, che peraltro hanno sempre operato sotto il coordinamento della Guardia Costiera italiana, e si vedrà nei processi, se si faranno, oggi occorre indagare sui “respingimenti concordati” che vengono eseguiti in base ai Protocolli d’intesa ed agli accordi bilaterali stipulati tra l’Italia ed i paesi africani, con la supervisione dell’agenzia europea Frontex e con il supporto militare dell’Operazione Sophia di Eunavfor Med.

Come si è sgonfiata rapidamente  la fake-news della zona SAR libica, salvo qualche intervento delle motovedette di Tripoli che ogni tanto si spingono ancora in acque internazionali per giustificare il rilevante investimento in  danaro e mezzi conferito dall’Italia,  si sgonfierà presto anche la rappresentazione di una zona SAR maltese, che in questo caso sta servendo soltanto a giustificare una strage, quella avvenuta nella notte tra domenica e lunedì scorso, che non avrà responsabili. Non ci sono più testimoni indipendenti. Appare così in tutta la sua valenza la diatriba estiva sul “Codice di condotta” che si voleva imporre alle ONG, era soltanto un modo per allontanare dai luoghi dei respingimenti concordati scomodi testimoni.

Come rischia di non avere responsabili la strage dell’11 ottobre del 2013, quando a sud di Malta, proprio in quella vasta area che oggi si definisce zona SAR maltese, morirono centinaia di persone per un intervento ritardato di una unità della Guardia Costiera italiana. Il processo che la Procura di Agrigento voleva archiviare, si farà ed è stato trasferito a Roma per una coraggiosa decisione del Giudice delle indagini preliminari di Agrigento. Ma adesso nel Tribunale romano, che una volta veniva definito “porto delle nebbie”, quel processo tanto importante, per il quale si sono raccolte testimonianze inconfutabili, rischia di essere risucchiato nelle secche della prescrizione. Qualcuno dà già per scontato che il processo sarà archiviato. Un’altra occasione per la magistratura per dimostrare la sua indipendenza dal potere politico e dalle gerarchie militari.

Tocca ancora una volta alla società civile rinnovare le denunce e sollecitare verità e giustizia quando le istituzioni appaiono orientate soltanto a perseguire chi si “macchia” del reato di solidarietà verso i migranti. Gli stati hanno l’obbligo di promuovere un sistema efficace di ricerca  e soccorso anche in quelle parti della zona SAR degli stati confinanti dove non è assicurato il soccorso più tempestivo. Questo impone la collaborazione tra stati mediante accordi regionali mirati a salvaguardare la vita umana in mare, prima che a respingere o ad arrestare in acque internazionali.  Chi non rispetta questi impegni viola la Convenzione di Montego Bay (UNCLOS) all’art. 98 ed il Regolamento Frontex 656 del 2014.  Lo stesso dovere di coordinamento tra stati responsabili delle zone SAR confinanti è dettato dalla Convenzione SAR di Amburgo del 1979. Chi non rispetta queste prescrizioni si potrebbe rendere colpevole dela morte per annegamento di centinaia di persone. Queste violazioni possono e devono essere sanzionate.

Siamo consapevoli che vasti settori dell’opinione pubblica italiana sono favorevoli ai respingimenti illegali in mare e  ne accettano anche le conseguenze mortali, in nome di una insensata guerra allo straniero, che costituisce la manifestazione più stupida e deleteria della guerra tra gli ultimi che si è riusciti ad imporre anche nella società italiana. Occorrerà trovare un “giudice a Berlino”. Dovranno moltiplicarsi i ricorsi alle corti internazionali ed alle organizzazioni delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea che dovrebbero garantire la tutela dei diritti umani. Ma soprattutto dovrà crearsi una nuova cultura della responsabilità nel nostro paese.

Il fine non giustifica i mezzi, ammesso che quel fine sia lecito e moralmente giustificabile. La suddivisione del Mediterraneo in zone SAR non esime gli stati dal negoziare accordi che devno essere diretti alla salvaguardia della vita umana in mare, non al respingimento verso i porti di partenza. Le zone SAR non possono diventare aree di esercitazioni di mezzi militari che si avvicinano alle imbarcazioni cariche delle persone migranti , magari anche per modificarne la rotta, con modalità tali da determinarne l’affondamento. Occorre fare chiarezza sulle autorità navali che sono effettivamente responsabili della vastissima zona SAR maltese, che Malta evidentemente non ha i mezzi per presidiare con modalità tali da garantire la sicurezza delle persone in mare. E occorre smetterla con l’invenzione di una zona SAR libica, che è buona soltanto per legittimare accordi per respingimenti delegati alla Guardia Costiera di Tripoli, quando soffia il vento politico giusto, quando le milizie vogliono, in una parola quando arrivano i soldi dall’Europa.

Anche i mezzi di Frontex e di Eunavfor Med, in base al Regolamento europeo n. 656 del 2014, sono tenuti nei loro interventi a dare assoluta priorità alla tutela della vita umana in mare. Le operazioni di respingimento in mare, come quelle di allontanamento forzato dal territorio dello stato non si possono svolgere in violazione del diritto internazionale e delle norme europee ed interne a tutela dei diritti fondamentali della persona. Chi interviene in attività di interdizione dell’ingresso di migranti in territorio europeo e ne causa la morte deve pagare per le sue responsabilità. Se non avverrà davanti ad un tribunale italiano, si dovranno trovare altri tribunali ed altre corti. E la società civile potrà fare la sua parte, non solo come denuncia, ma anche contribuendo alla formazione delle prove di accusa e promuovendo collegi internazionali che giudichino con la massima indipendenza rispetto agli indirizzi politici dei governi. Non solo per rendere giustizia ai migranti, ma per garantire lo stato democratico ed il principio fondamentale dell'”habeas corpus“. I diritti umani non sono entità scomponibili, negarli ai migranti, a partire dal diritto alla vita, apre la strada per negarli a tutti, domani.

IN MEMORIA DI PERSONE, ESSERI UMANI, NON SOLO NUMERI

Da Ben Guerdane a Jendouba, da Sbeitla a Kébili….

Via radio mosaique:

L’identité des huit tunisiens qui sont morts, suite à la collision de leur embarcation avec un navire militaire, alors qu’ils tentaient d’immigrer clandestinement depuis l’île de Kerkennah, a été révélée. Il s’agit de Nader Derma de Kébili, Mohamed Ben Ltoufa de Douz, Sassi Salama et Mourad Letaïf de Souk Lahad, Mohamed Issam Gsoumi de Sbeitla, Mohamed Ben Falah Laabidi de Jendouba et Anis Laabidi de Ghar Dimaou et Mongi Lahouar de Ben Guerdane. Notons que la collision s’est produite dimanche soir à une cinquantaine de kilomètres au large de l’île de Kerkennah.