di Fulvio Vassallo Paleologo
Sono stati mesi di denunce infamanti contro le ONG, calunnie ripetute cento volte che hanno spostato l’asse dell’opinione pubblica, rapporti dei servizi segreti diffusi ai giornali prima che ai magistrati, relazioni riservate di agenti di polizia infiltrati a bordo delle navi umanitarie, passate prima a Salvini e poi alla Procura di Trapani. Azioni sinergiche dei servizi di informazione e degli estremisti di destra di Generazione Identitaria con la missione “Defend Europe”, con l’unico scopo di spazzare via dal Mediterraneo centrale quelle ONG che si accanivano nel garantire soccorsi. Laddove si voleva che fosse soltanto la Guardia Costiera libica ad intervenire per riportare a terra, nell’inferno delle decine e decine di centri lager, in Libia mgranti in fuga da sevizie ed orrori che li marchiavano sui corpi e negli animi. Una vera e propria guerra condotta contro le ONG in mare, una guerra che ha avuto come suo comandante in capo il ministro dell’interno italiano.
L’Italia ha riconsegnato almeno quattro motovedette ai libici e provvede alla loro manutenzione con una unità navale militare ormeggiata nel porto di Tripoli. Questa maggiore dotazione di mezzi ha permesso alla Guardia costiera libica, che poi “libica” non è proprio, perchè controlla solo qualche decina di chilometri di coste, di estendere a dismisura e contro il diritto internazionale, la cd. zona SAR ( ricerca e soccorso) libica.
L’obiettivo di far fuori le ONG è stato raggiunto, anche per le divisioni al loro interno, non certo per la chiara azione diversiva iscenata dal codice di condotta imposto dal ministro dell’interno Minniti, quanto soprattutto per le sparatorie e le operazioni di sbarramento della rotta subite dalle navi delle ONG a mare, e poi per le pastoie burocratiche frapposte all’ingresso nei porti, anche nei confronti di chi aveva sottoscritto il Codice di condotta Minniti.
La scossa finale è stata infine la serie di provvedimenti giudiziari annunciati , come a Trapani, e che si annunciano ancora, come a Catania, contro comandanti, operatori umanitari e citadini solidali “rei” di avere risposto ale richieste di aiuto e di avere trasmesso al Comando del corpo delle Capitanerie di porto (IMRCC), chiamate di socorso che hanno permesso di salvare migliaia di vite. Ma il reato di solidarietà non può essere introdotto per via giudiziaria.
Esemplari e potremmo dire , pedagogiche, le fasi del fermo e del sequestro della nave Juventa a Lampedusa, attirata in una vera e propria trappola. La nave che si trovava in acque internazionali è stata chiamata a fare un trasbordo proprio dalla Guardia costiera italiana per portare tre profughi siriani a Lampedusa. Poi il fermo, inizialmente per controlli di routine, quindi, dopo qualche ora, il provvedimento di sequestro notificato dalla Procura di Trapani presente sul posto. Dovrebbe essere noto a tutti, al riguardo, che il porto di destinazione delle navi delle ONG impegnate in attività si soccorso non è deciso dal Comando centrale della Guardia Costiera (IMRCC) ma dal Ministero dell’interno, Direzione polizia delle frontiere.
L’effetto del blocco della maggior parte delle navi delle ONG, e del loro allontanamento dalla costa, non è stato soltanto la riduzione del numero degli arrivi, con la ovvia diminuzione delle vittime in mare, non certo da ascrivere a merito del Codice ONG, . Sono infatti aumentate e di molto le vittime a terra, in LIbia. Lo confermano diversi rapporti delle Nazioni Unite. Migliaia di vite che qualcuno voleva fosero abbandonate ai carcerieri libici, o alle onde del mare, come sta accadendo ancora in questi giorni. Stragi nascoste, di cui nessuno parla, in mare, a Pantelleria e di fronte Zarzis, ed ancora più estese violenze nei centri di detenzione libici nei quali vengono ricondotti i migranti bloccati in mare dalla Guardia costiera libica, istruita, finanziata e coordinata dall’Italia con il supporto di alcuni stati dell’Unione Europea.
Adesso, malgrado l’orrore dei campi di detenzione in Libia, e la conferma della destinazione finale dei finanziamenti italiani ed europei, diretti nelle tasche di trafficanti che hanno “indossato” le divise di guardia di frontiera e di guardia costiera libica, si cerca di caratterizzare con sembianze umanitarie l’intervento in Libia, che presto sarà un vero e proprio intervento militare con il dispiegamento di forze ONU, oltre alla già presente missione EUBAM Libia. La connotazione umanitaria sarebbe garantita dal coinvolgimento dell’OIM ( nei rimpatri ” volontari assistiti”), dell’UNHCR per la selezione dei “migranti economici” da respingere indietro, con le buone o le cattive, ed infine con il coinvolgimento di alcune ONG nella gestione dei campi di detenzione in Libia.
La proposta di fare entrare rappresentanti delle ONG nei centri di detenzione libici è del Ministero degli esteri italiano, ma appare strettamente connessa con la linea Minniti adottata negli ultimi mesi dall’intero governo Gentiloni, dopo una fase di polemiche che sembravano avere portato il ministro dell’interno sull’orlo delle dimissioni. Dopo un “comunicato” del Qurinale, che sosteneva Minniti, le resistenze alla sua linea dura contro le ONG erano state azzerate.
Il ministro Minniti scende ancora una volta in campo e prosegue nella sua “resistibile ascesa” espropriando addirittura le competenze del ministro degli esteri e confermando chi e cosa ci sia davvero dietro le proposte di inviare le ONG in LIbia. Ma, a differenza del ministero degli esteri, Minniti vuole solo quelle “italiane”, naturalmente, forse perchè quelle straniere hanno dimostrato troppa indipendenza rispetto alle linee imposte dal ministero dell’interno nelle relazioni internazionali con la Libia, o almeno con i poteri forti che la controllano, e soprattutto rispetto alle reiterate violazioni del diritto internazionale del mare che sono state perpetrate con attività coordinate delle autorità italiane e libiche.
Un articolo della Stampa, ormai organo semi-ufficiale della comunicazione del ministero dell’interno, chiarisce il piano Minniti per inviare le ONG “italiane” a “difendere i profughi” in Libia, con una manciata di euro, forse per il finanziamento reale delle loro attività si pensa di ricorrere ai fondi europei. Il piano di Minniti è più ambizioso di quello annunciato dal ministero degli esteri Si tratta di implementare buone pratiche nell’accoglienza dei migranti in Libia con l’ausilio di ONG locali. Peccato che in Libia tutti i migranti siano considerati “illegali” e per molti costituiscano soltanto oggetti da commerciare.
Secondo quanto riferisce la Stampa, Minniti «la prossima settimana incontrerà le ong italiane “per ragionare” su come coordinare le attività delle ong nei salvataggi in mare e per costituire delle ong direttamente in Libia che avranno il compito di affrontare il problema delle condizioni umane dei profughi”. Secondo il ministro, «sarebbe bello che le ong italiane adottassero ognuna una ong libica per creare una rete di giovani libici che si dedichino al rispetto dei diritti umani. I profughi che rimangono in Libia e le loro condizioni sono il mio assillo e del governo». Sembra invece che adesso il vero assillo del governo sia recuperare qualche voto a sinistra, e soprattutto l’appoggio delle organizzazioni della cooperazione italiana, già sperimentate in altre “missioni di pace”. Le ONG italiane, aspiranti “pacificatori” da convenzionare, certamente non mancheranno, come non sono mancate in passato, abbiamo visto con quali risultati, dalla Somalia alla Siria. Magari l’impegno degli operatori “italiani” delle ONG convenzionate con il ministero dell’interno potrebbe cominciare proprio dai luoghi nei quali i diritti dei migranti in Libia vengono violati nel modo più atroce, in quei campi di detenzione che sono noti in tutto il mondo e che destano sconcerto ovunque meno che in Italia.
Sembra che non siano valse a nulla le denunce, fatte proprie dalle Nazioni Unite e dall’UNHCR, sulle condizioni disumane nelle quali versano i migranti riportati dalla guardia costiera libica nei centri di detenzione. Non si vede come le ONG “italiane” possano invertire questa situazione, senza risultare invece un utile espediente per contrabbandare all’opinione pubblica la falsa percezione che nei lager libici vengono garantiti i diritti umani, a partire dal diritto di chiedere asilo.
Si vuole fare prevalere una narrazione “umanitaria”, come se l’intervento di qualche operatore delle Nazioni Unite o di ONG necessariamente embedded oltre che con il governo italiano, con i governi locali, alle quali non possono non fare riferimento le cd. ong libiche, potessero migliorare la situazione che tutti hanno rilevato, ma sulla quale si continua ad intervenire, aggravandola, esclusivamente con misure di stampo repressivo.
L’attuazione del piano euro-africano di rimpatri dalla Libia verso i paesi più a sud, sulla base di accordi con le dittature di paesi come il Sudan o il Niger, determinerà una vera e propria caccia all’uomo finanziata con i fondi europei. Una volta che saranno rinchiusi nei centri di detenzione non sarà difficile convincere qualcuno a “scegliere” il rimpatrio “volontario” per sottrarsi agli aguzzini ai quali è stato affidato. E così il governo italiano potrà portare altre statistiche a sostegno della efficacia della sua politica di contrasto dell’immigrazione, sempre utili in campagna elettorale. In questa direzione vanno le proposte di un coinvolgimento delle ONG, non si comprende se soltanto quelle italiane in questo caso, per salvare dall’inferno i migranti detenuti nei campi lager in Libia, quegli stessi migranti ripresi in mare dalle milizie libiche, che si definiscono Guardia costiera o Guardia di frontiera, supportate dalle autorità italiane.
Coinvolgere le Ong nei campi libici per evitare di «condannare i migranti all’inferno». L’idea è venuta al ministero degli Esteri, e più precisamente al vice con delega alla cooperazione internazionale, Mario Giro: dopo aver lanciato l’allarme un mese fa sulle condizioni infernali dei campi, nel pieno della discussione sulla missione italiana autorizzata a Tripoli, nei giorni scorsi ha rivolto un invito alla galassia delle Organizzazioni non governative, proponendo un incontro a chi è interessato a lavorare in Libia. Hanno risposto in una ventina, di orientamento laico e cattolico, molte delle quali già impegnate in varie zone del grande Paese nordafricano con compiti di protezione dell’infanzia e nel settore della sanità, da Medici senza Frontiere all’Arci a Save the children, da Intersos a Terre des hommes fino a Elis, legata all’Opus Dei: ieri pomeriggio la riunione, alla Farnesina, per prendere i primi contatti. Con l’idea però di accelerare e intervenire al più presto: il bando è già pronto, sono stanziati sei milioni di euro.
Una notizia diffusa anche in questo caso dal Giornale, ma che appare una vera e propria fake news. La riunione congiunta con tutte le ONG partecipanti indicate dal Giornale sembrerebbe non esserci mai stata, e comunque il finanziamento è davvero “inesistente” rispetto alle azioni che dovrebbero essere affidate alle ONG embedded. Non è vero che tutte le ONG invitate ad un incontro abbiano garantito la loro disponbilità ad impegnarsi nella gestione dei centri di detenzione libici. MSF, che già opera autonomamente in Libia, ha subito respinto la proposta al mittente.
E’ noto da tempo che persino nei centri di detenzione governativi, anche se in misura minore rispetto alle strutture gestite direttamente dalle milizie, i migranti continuano a subire ogni sorta di abusi. Sono anni che si parla di implementare buone prassi tra le foze di polizia libiche, si sono spesi milioni di euro per corsi di formazione, ma la situazione peggiora sempre. Persino l’UNHCR dichiara che riesce ad avere accesso soltanto in 19 dei 34 centri di detenzione governativi, ed in nessuno di quelli gestiti dalle milizie. La denuncia di Human Rights Watch sulle terribili condizioni di vita nei centri libici è ancora attuale.
Adesso con il ricorso alle ONG in convenzione con il ministero dell’interno si vorrebbero rendere più “umani” i centri di detenzione in Libia. Questo l’obiettivo di Minniti, dopo il coro di biasimo che si è diffuso a livello globale a seguito delle notizie circolate in merito al finanziamento ed al supporto tecnico-operativo italiano di milizie che, seppure in passato avessero garantito il funzionamento dei pozzi petroliferi ENI, non avevano neppure disdegnato il fiorente business dei migranti.
Sembra che il ministero degli esteri, che avrebbe già fatto alcuni incontri con i diretti interessati, abbia pronto un bando per arruolare ONG disposte ad andare in Libia per “gestire” i campi di detenzione, una notizia probabilmente gonfiata dal giornale La Stampa, ma assai vicina alle intenzioni del governo italiano. Quanto distante dalla realtà della situazione nei centri di detenzione in Libia. In Libia siamo arrivati alla schiavitù dei migranti e non esiste una “società civile” composta da ONG indipendenti capace di opporsi alle violenze perpetrate dalle milizie. I trafficanti più forti, soprattutto nelle tradizionali aree di partenza e transito in Libia, vestono adesso la divisa delle guardie di frontiera. E sono a stipendio con fondi dell’Unione Europea. Anche su questo pasticcio ci sarà la copertura dell’ONU e delle sue agenzie ? Da New York arrivano segnali contrastanti, i rapporti confermano le sevizie inflitte ai migranti, ma i rappresentanti delle Nazioni Unite sul territorio sembrano incapaci a garantire un reale miglioramento della condizione dei migranti intrappolati in Libia.
Le finalità di riduzione del danno, che si adducono da qualcuno in Italia, sono prive di riscontri concreti, se si pensa alla legittimazione di accordi che produrranno decine di migliaia di detenuti in più rispetto al passato, uomini, donne e bambini esposti ad ogni genere di violenza. Accordi che andrebbero denunciati davanti ai tribunali internazionali e non invece sorretti dalla complicità delle ONG arruolate dal governo italiano. Vedremo se chi andrà in Libia aiuterà i migranti a sollevare ricorsi davanti le Corti internazionali, oppure se sarà asservito alla logica dell’omertà. MSF ha già respinto la richiesta al mittente.
La politica della esternalizzazione della detenzione e delle procedure di selezione dei migranti economici trascura il dato fondamentale che in Libia tutti i migranti in transito, ma anche quelli che lavoravano nei compound delle grandi multinazionali del petrolio e del gas, sono diventati migranti forzati, per effetto della situazione di violenza alla quale sono quotidianamente esposti in quel paese. Come testimoniano tutti coloro che comunque riescono ad arrivare portando sui propri corpi i segni delle violenze subite dai libici. Ed infatti in casi sempre più diffusi i giudici riconoscono la protezione umanitaria a coloro che sono qualificati dalle Commissioni territoriali come “migranti economici”, privi di un diritto ad uno status legale in Italia. Quella protezione umanitaria che non potrebbe essere riconosciuta qualora le loro domande fossero valutate in Libia. Perchè questo è un’altro dei grandi imbrogli di questi giorni. Esternalizzando l’esame delle domande di protezione in Libia, come in altri paesi africani, si può soltanto riconoscere la qualifica di rifugiato ex Convenzione di Ginevra, ma nè la protezione sussidiaria prevista dalle Direttive Europee nè la protezione umanitaria prevista dall’art. 5 del Testo Unico 286 del 1998 in materia di immigrazione. Un modo per chiudere in faccia la porta di ingresso in Europa al 95 per cento di potenziali richiedenti asilo. Un modo per dare ragione a Salvini che sostiene da anni che soltanto il 5 per centro dei migranti che arrivano in Italia avrebbe diritto ad uno status di protezione. Una posizione che contrasta con le leggi vigenti in Italia ma che è stata martellata a lungo sull’opinione pubblica ed adesso risulta assai diffusa.
Anche per Minniti occorre dimostrare che la maggior parte dei migranti intrappolati in Libia sono “migranti economici” da bloccare e respingere verso i paesi di origine. Si sono arruolati alcuni sindaci libici, si sono assunti come interlocutori ex trafficanti e miliziani di dubbia affiliazione, forse in contatto con gruppi di matrice islamista radicale, si sono forniti mezzi e supporto tecnico alla Guardia costiera libica, la manovra Minniti si deve concludere adesso con la messa in opera degli accordi di riammissione con i paesi a sud della Libia e con la gestione dei campi di detenzione. Nei quali si cerca il coinvolgimento delle ONG. Alcune accetteranno sicuramente, qualcuno come MSF, che già opera in Libia, ha fatto sapere di non avere intenzione di cogestire centri che sono soltanto luoghi di abusi e di privazione totale, e senza alcuna base legale, della libertà.
Probabilmente anche in teritorio libico assisteremo alla frammentazione delle diverse ONG, che hanno caratteristiche diverse e che soprattutto hanno diversi livelli di autonomia rispetto ai governi. Chi ha dato già prova di affidabilità instaurando rapporti di collaborazione continuativa con il ministero dell’interno andrà probabilmente ad arruolarsi, altri, pur essendo consci della necessità di ridurre i danni derivanti dalle politiche italiana ed europee, non potranno certo accettare e diranno no. Pesa già la posizione molto chiara assunta da Medici senza Frontiere. Un no secco alla proposta del ministero degli esteri, sempre più condizionato dal ministero dell’interno e dalle esigenze politiche degli accordi negoziati da Minniti con alcuni capi di stato africani.
Pesa anche il ritiro di MOAS, ONG maltese dalle acque del Mediterraneo centrale, una organizzazione che aveva firmato il Codice di condotta Minniti, ma che davanti agli effetti degli accordi tra Italia e Guardia costiera di Serraj ha preferito ritirarsi per non essere “complice” degli abusi subiti in Libia dai migranti riportati indietro da militari istruiti e foraggiati dall’Italia e dall’Unione Europea. MOAS non “rimanda i migranti all’inferno”, così ha affermato Regina Catambrone, moglie del patron della ONG. Un chiaro atto di accusa anche nei confronti della sedicente “Guardia costiera libica” sulla quale sta indagando la Corte penale internazionale.
Da parte nostra, sulla proposta di cogestire con le ong campi di detenzione in Libia, un no irrevocabile alle proposte di Minniti ed Alfano, per chi ha davvero a cuore la tutela dei diritti fondamentali e dei corpi delle persone migranti intrappolate in quel paese e nei paesi limitrofi. Che Minniti si prepari al futuro governo con Salvini e Berlusconi. Certamente la sinistra, quella vera, è ben lontana dalle sue politiche. E lo rimarrà per sempre.
Soluzioni alternative ne esistono, come i visti di ingresso per motivi umanitari e l’apertura di canali legali di ingresso. Come si potrebbe pensare ad una nuova Operazione di soccorso in mare, come era Mare Nostrum nel 2014, ma con diverse forze europee, dopo che le ONG sono state costrette a ritirarsi , non solo sotto la pressione degli interventi della magistratura, ma per non rendersi complici degli abusi commessi in Libia ai danni dei migranti bloccati da milizie e guardie costiere finanziati da stati dell’Unione Europea.
Gli interventi alternati del ministero dell’interno e del ministero degli esteri fanno parte della stesa politica. Cercheranno soltanto, magari ricorrendo al solito tranello del poliziotto buono e del poliziotto cattivo,di convincere l’opinione pubblica che sono capaci di coniugare “rigore e solidarietà”, come si diceva venti anni fa quando veniva introdotta in Italia con la legge Turco-Napolitano la detenzione amministrativa. In questi ultimi mesi l’opinione pubblica sembra assuefatta, se non complice, rispetto ai più efferrati abusi sulle persone migranti. Hanno persino rimosso l’orrore per le feroci torture di cui è morto Giulio Regeni.
Adesso si è rimandato l’ambasciatore italiano al Cairo, e subito dopo Minniti ha potuto incontrare Haftar in una occasione che avrebbe dovuto restare segreta ma che è comunque trapelata. Per Repubblica, “una distensione collegata alla ripresa delle relazioni tra Roma e il Cairo”. Sulla pelle di Giulio Regeni e di tanti come lui torturati nei centri dei servizi egiziani. Ma di torture è accusato anche il generale Haftar, come comandante di un esercito che ha compiuto atti di guera contro civili inermi. La Corte Penale internazionale sta indagando anche su questo. A nostro avviso l’approccio riservato con il generale Haftar costituisce una vergogna, se non un incontro imbarazzante, su cui il governo italiano non ha ritenuto di comunicare nulla. Forse Minniti non è a conoscenza delle indagini della Corte Penali internazionale sulle milizie controllate dal generale Haftar.
Potranno continuare così, ma non per molto. I tentativi di recuperare voti a destra non scalfirà il bacino elettorale di Berlusconi e Salvini, per non parlare dei Cinque Stelle che stanno approfittando anche loro della campagna anti immigrati che dilaga su tutti i grandi media italiani. L’esito elettorale in Sicilia e poi in Italia non è affatto scontato, ma due cose sono certe. Non ci ridurranno al silenzio e dovranno, prima o poi, rispondere anche loro degli abusi e delle illegalità di cui si stanno macchiando o di cui si stanno rendendo complici.
Nessuna solidarietà con chi vuole trasformare la solidarietà in reato. I migranti intrappolati in Libia si aiutano aprendo canali legali di ingresso, con visti umanitari, non con finte selezioni tra asilanti e migranti economici in territorio di guerra. Se qualche ONG vuole andare in Africa a gestire centri di detenzione, che vada. Ma sia chiaro che non riusciranno a smentire quelle migliaia di testimonianze che inchiodano alle loro responsabilità gli autori delle violenze sui migranti privati della libertà in Libia ed i loro mandanti politici in Europa.