Riprende la strage nella zona SAR libica, mentre si cerca di imporre un codice di polizia alle ONG

di Fulvio Vassallo Paleologo

Ancora cadaveri di migranti scoperti a bordo di un gommone soccorso da una nave di una Organizzazione non governativa. Purtroppo come previsto. L’Unione Europea ed i vertici militari (Frontex ed Eunavfor Med ) hanno ritirato le loro navi , il governo ha costretto le Ong sulla difensiva con trattative estenuanti che distolgono dall’impegno di soccorso. Ed i trasbordi sono gia’ impediti “di fatto”, per mancanza di mezzi, con le imbarcazioni delle ONG dirottate del ministero dell’interno verso porti sempre piu’ lontani. Sara’ una strage continua. E nessuno potrà dire: io non sapevo. Anche se la notizia dei cadaveri ammassati dentro i gommoni viene censurata o relegata alla cronaca locale. In ogni caso, la notizia delle stragi deve restare sempre in secondo piano rispetto alle informazioni diffuse ad arte sul maggiore impegno dell’Unione Europea e dei governi nella lotta contro i trafficanti, che invece prosperano proprio sul regime di sbarramento delle frontiere. Le ONG sono un ostacolo per queste politiche e per queste campagne di disinformazione.

Questa ultima strage costituisce solo l’inizio, dopo una breve pausa di efficaci interventi di soccorso, nella quale le Ong, e soltanto loro, avevano evitato morti e dispersi. L’invio di missioni militari contro i trafficanti aumenta soltanto il numero delle vittime, se non si ampliano le attività di ricerca e salvataggio in acque libiche. Non si può pensare di ripristinare una zona SAR libica, quando la Libia non ha i mezzi e non garantisce il rispetto dei diritti e della vita dei migranti. Ammesso che si possa parlare di una sola Libia.

Mentre a Roma si tratta sul “Codice di condotta “ per i soccorsi in mare, davanti alle coste di Sabratha e di Zuwara, abbandonate alla sedicente Guardia Costiera libica , si muore. Le trattative tra il governo italiano ed il governo Serraj sono state scavalvate dall’iniziativa di Macron.

La discussione sul codice di polizia Minniti riprende venerdì, intanto altre decine di persone rischiano il naufragio, mentre la zona di acque internazionali rientranti -sulla carta- nelle competenze della cd. Guardia Costiera libica rimane sguarnita ed altri uomini, donne e bambini potrebbero perdere la vita.

O nella zona SAR libica, soprattutto nelle acque internazionali, intervengono ancora le ONG, oppure ” moriranno tutti” come scrivevano ieri gli operatori umanitari in attesa di ricevere l’autorizzazione ad intervenire. Ma sono più importanti i decimi di consenso elettorale e la “difesa delle frontiere esterne”. Che passano anche nel rallentamento delle attività di ricerca e soccorso delle ONG “colpevoli” di salvare troppe vite umane in mare.

L’Unione Europea non promuove alcuna azione di solidarietà, non modifica il Regolamento Dublino, non garantisce il ritrasferimento verso altri paesi europei (la cd. Relocation), ma si compatta solo sul commissariamento dell’Italia, per quanto concerne i controlli di frontiera intanto, ma sullo stesso percorso seguito con la Grecia, ed invia missioni militari o sostiene l’esternalizzazione delle attività di polizia di frontiera affidate a regimi dittatoriali e corrotti.

Nel frattempo si ricorre anche ad attacchi informatici ed alla diffusione di notizie false per screditare le ONG che stanno resistendo alla proposta di un codice di polizia per regolamentare attività di ricerca e soccorso che sono già ampiamente regolamentate dalle norme internazionali e che si svolgono già sotto il coordinamento del Comando centrale della Guardia costiera europea. Il Codice di Condotta Minniti, per la parte che non riguarda il divieto di trasbordi in mare, la legittimazione della Guardia costiera libica e la presenza della polizia giudiziaria a bordo delle navi umanitarie, ricopia letteralmente previsioni di diritto internazionale già vigenti ed applicate dalle ONG.  

Innanzitutto occorre garantire alle ONG la ripresa di una effettiva attività di ricerca e salvataggio. Senza intaccare il dovere primario di salvare vite umane in mare e il coordinamento della Guardia costiera italiana, che va salvaguardato da commissariamenti di polizia. Ma non basta. La sola prospettiva possibile, in questo quadro di drammatica cancellazione dei diritti umani e del diritto alla vita, non si colloca a mare, ma a terra e non può che praticarsi a partire dalla risoluzione del conflitto libico e dal ripristino della libertà di circolazione e delle garanzie dei diritti fondamentali, non solo in Libia, ma anche nei paesi di origine o di transito a sud delle frontiere libiche. Al posto dei codici di condotta per le ONG, ispirati dalle forze di polizia, occorre poi assicurare il pieno rispetto delle norme di salvaguardia della vita umana in mare stabilite dalle Convenzioni internazionali. Esattamente l’opposto di quello che si accingono a fare l’Unione Europea ed il governo italiano.