di Fulvio Vassallo Paleologo
Ha destato scalpore la recente affermazione di un ministro austriaco che minaccia l’Italia con la chiusura del varco di frontiera del Brennero se il nostro paese continuerà a trasferire migranti da Lampedusa verso altre parti del territorio italiano, favorendo in questo modo, a suo avviso, il successivo passaggio verso altri paesi europei. Questa la versione finale di un atteggiamento minaccioso maturato in tutta Europa, dopo che era circolata l’ipotesi della concessione di visti umanitari da parte dell’Italia a tutti i migranti provenienti dalla Libia. Una ipotesi sulla quale invece occorre insistere. Senza cercare agganci impossibili con la Direttiva 2001/55/CE, ma applicando semplicemente il nostro diritto interno, e dunque gli articoli 5 comma 6 e 20 del Testo Unico 286/98 sull’immigrazione, che prevedono i visti per motivi umanitari o per protezione temporanea.
Dopo l’Austria, è scesa in campo contro l’Italia l’Ungheria. La richiesta di chiudere i porti italiani fatta da Orban a nome del gruppo di Visegrad esprime bene la deriva fascista che sta affondando l’Unione Europea e la incapacità del governo italiano di fare rispettare il diritto internazionale che impone soccorsi ed assistenza nei confronti di chi è soccorso in mare, nel porto sicuro più vicino. Porto sicuro più vicino che può essere soltanto un porto italiano. Non certo un porto tunisino o libico. Non si possono tollerare invasioni di sovranità da parte di un gruppo di stati esteri che vorrebbero fare disapplicare all’Italia norme cogenti di diritto internazionale.

Al di là delle reazioni che la proposta di concedere visti umanitari ha scatenato le posizioni austriache e del gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca) confermano l’incapacità dell’Unione Europea di mantenere il regime della libera circolazione Schengen di fronte ad un arrivo di migranti dal mare, peraltro in forte calo, che però si vuole confinare nei paesi più esposti come Grecia ed Italia. Una politica europea che si è ridotta a ricatti ed a veti incrociati.
Emerge comunque il fallimento della politica migratoria italiana, sul piano della esternalizzazione dei controlli di frontiera, una politica impersonata prima da Gentiloni ed adesso da Alfano, con la supervisione del ministro dell’interno Minniti, in spola continua tra le capitali europee ed i paesi africani alla ricerca di una collaborazione per le attività di blocco, detenzione e respingimento. Attività che, stando ai dati ed ai fatti che dovrebbero essere sotto gli occhi di tutti appaiono fallimentari sul piano dell’efficacia e per nulla rispettose dei diritti umani, sul terreno del rispetto della dignità della persona umana, a prescindere dalla sua condizione giuridica, e del diritto internazionale.
Gli accordi con la Nigeria ed il Sudan hanno prodotto soltanto dcine di casi di gravi violazioni dei diritti umani, ma non certo quella diminuzione del numero di nigeriani e sudanesi presenti in Italia, nè tanto meno hanno costituito un fattore deterrente degli arrivi. Lo stesso vale per gli egiziani, ai quali non si sono neppure garantite quelle modeste possibilità di ingresso legale che pure gli accordi bilaterali prevedevano. In ogni caso, malgrado il susseguirsi degli accordi con le tribu’, le frontiere a sud della Libia sono rimaste in mano alle bande di trafficanti che le controllavano in passato, le partenze da quel paese sono aumentate e gli accordi con la Guardia Costiera libica hanno aumemntato la conflittualità interna, senza garantire una sia pur minima diminuzione degli sbarchi. Anche gli incontri di Minniti con esponenti dei governi di Ciad e Niger non hanno sortito effetti.

Sono invece aumentate in modo esponenziale le vittime in mare, anche per l’attacco concentrico contro le ONG che sono rimaste a fare soccorso in mare, l’unica politica comune di cui l’Unione Europea e il governo italiano si sono dimostrati capaci.
Si deve dunque prendere atto del fallimento della politica migratoria condotta dal governo Renzi e proseguita dal governo Gentiloni, in continuità con il cd. Processo di Khartoum già sonoramente sconfitto nel Vertice di La Valletta a Malta, il 3 febbraio scorso.
Malgrado l’Italia avesse cercato di aumentare la percentuale delle identificazioni attraverso il prelievo forzato delle impronte digitali dei migranti soccorsi in mare, passando dal 36 per cento del 2014 al 98 per cento del 2017, i principali paesi europei, e soprattutto quelli orientali, riuniti nel cd. Patto di Bratislava, hanno sistematicamente bloccato qualunque occasione di avanzamento del regime europeo sulla protezione umanitaria, e di rispetto della Relocation prevista nel 2015. Si sono soltanto trasferite risorse, inclusa l’attività dell’Agenzia Frontex, dal Mediterraneo alle frontiere orientali, ed in genere a quelle terrestri. Anche nei più recenti vertici e nelle attività del Parlamento Europeo non si è andati mai oltre le dichiarazioni di intenti.
Con il passare dei mesi, nell’ultimo anno, si è assistito ad un ulteriore chiusura delle frontiere Schengen e ad un aumento delle persone che venivano ritrasferite in Italia dopo avere presentato una richiesta di asilo in altri paesi europei, proprio per effetto del maggior rispetto da parte del nostro paese, dell’obbligo di prelevare le impronte digitali previsto dal Regolamento europeo Eurodac. La chiusura francese della frontiera con l’Italia con la sospensione del Regolamento Schengen, inizialmente motivata con gli attentati terroristici, si è rivelata l’arma principale che ha permesso prima a Hollande, adesso a Macron, di ricattare il nostro paese. Non diverso il comportamento delle autorità svizzere e austriache.
Le frontiere di Ventimiglia, Chiasso e Brennero sono diventate zone rosse di sospensione dello stato di diritto, luoghi di respingimenti collettivi, anche a danno di minori non accompagnati. Nello stesso periodo si sono arenate per l’ennesima volta le prospettive di una riforma del Regolamento Dublino.
Il fallimento più grave registrato dai governi italiani dopo il lancio del Processo di Khartoum, con una conferenza a Roma nel 2014, emerge dagli scarsi risultati dei Migration compact proposti a diversi paesi africani, che avrebbero dovuto bloccare le partenze ed aumentare i respingimenti, ma che invece, come ampiamente prevedibile, hanno incassato il prezzo promesso, senza garantire nè l’arresto dei transitanti o dei trafficanti, nè un sia pur minimo rispetto dei diritti umani. Ovunque la corruzone ha annullato i tanto magnificati obiettivi di chi proponeva: “aiutiamoli a casa loro”.
Le guerre ed i conflitti non sono stati risolti da politiche orientate soltanto al contenimento della mobilità umana, una mobilità forzata che è invece aumentata per effetto di conflitti tribali e carestie. Adessoi Macron sta prendendo in mano la questione libica, e come già avvenuto nel 2011 si muove con totale disprezzo del coordinamento europeo, convocando le parti in conflitto per un vertice a Parigi, dal quale esclude proprio l’Italia.
La Libia e i tentativi italiani per un controllo delle frontiere di quel paese e per il potenziamento della cd. Guardia Costiera libica, rappresentano il caso più eclatante di fallimento della politica estera italiana, garantita nei suoi minimi termini, dalla presenza delle multinazionali dell’energia, piuttosto che da accordi politici con le varie fazioni in lotta. Alla fine tutte le energie del nostro governo si stanno concentrando sulla imposizione di un codice di condotta alle ONG che svolgono, sempre più da sole, attività di ricerca e soccorso sotto il coordinamento della Guardia costiera ialiana. In caso di limitazione delle attività delle ONG nelle acque antistanti la costa libica, come si verificherebbe con la imposizione di criteri vaghi rimessi alla discrezionalità delle forze di polizia, si rischia un tracollo umanitario.
La Libia costituisce così la prova del fallimento delle politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera basati sulla distinzione tra “migranti economici” e richiedenti asilo e sui tentativi di blocco della mobilità forzata , di migranti che comunque non si potevano e non si potevano fermare e che sono arrivati sulle sponde del Mediterraneo.
Adesso non basta rispondere all’Europa che Lampedusa non è terra di confinamento come Woomera e che sui porti italiani non comandano gli stati esteri.
Occorre una svolta di linea politica, mentre i fallimenti dei governi spingono fette sempre più consistenti di opinione pubblica verso posizioni che sarebbe troppo facile catalogare come populismo, trattandosi di vere e proprie espressioni di un orientamento fascista, ammantato dietro la difesa dell’identità europea e di “prima noi, poi loro”. Esattamente quello che si nasconde dietro la presenza di formazioni come Generazione identitaria ad iniziative promosse dalla Lega di Salvini.
La storia insegna come queste posizioni di questo tipo, di vero e proprio nazionalismo, conducono ineluttabilmente allo scontro violento, sul piano interno, ed alla guerra. Un rischio che la frammentazione dell’Unione Europea rende sempre più grave.
Anche a costo di rischiare l’impopolarità, occorre ribadire che oggi l’unica prospettiva possibile è quella di una apertura delle frontiere per chi è costretto alla migrazione forzata, e dalla riapertura dei canali legali di ingresso per ricerca di lavoro per i cd. migranti economici, per garantire migrazioni regolari.
Per raggiungere questi obiettivi non bsteranno parlamenti eletti dopo campagne elettorali giocate sull’odio razziale, o governi fondati sulla paura del diverso e sull’esclusione dei più poveri. Soltanto eventi storici di grande rilevanza, putroppo, potranno fare capire a tutti che in un mondo di esclusi nessuno può sentirsi al sicuro. Se andrà ancora nella direzione che si intravede, presto l’Unione Europea sarà solo un ricordo. E con la fine politica dell’Unione Europea non sarà facile garantire pace ad un continente che porta ancora le ferite delle guerre nei Balcani. Ciascun paese potrà restare da solo ad affrontare le questioni della crisi economica e del terrorismo, che cresce nelle grandi città europee, non certo a bordo dei barconi che arrivano dalla Libia.
A noi non rimane che dimostrare giorno dopo giorno la falsità di chi ci governa in nome della separazione e dell’allontanamento del maggior numero possibile di migranti, a partire dalla negazione del diritto alla cittadinanza, e prospettare quali potrebbero essere le vie alternative da seguire per una convivenza possibile. Perchè, lo riconoscano o meno i ministri dell’interno, piaccia o no ad Orban ed ai suoi accoliti nazionalisti, quelli che arrivano non li manda via nessuno. Si tratta, per noi, soltanto di scegliere tra lo scontro contro il “nemico interno” e la convivenza possibile. Senza l’immigrazione l’Europa non ha futuro.