Fulvio Vassallo Paleologo
Le Ong non hanno aperto corridoi umanitari ma hanno adempiuto obblighi di ricerca e salvataggio che gli stati e le agenzie come FRONTEX , hanno sistematicamente violato. E di questo ci sono le prove. Non sulla collusione tra Ong e trafficanti. La Commissione Difesa non rileva nessun elemento di reato e sposta il tiro su argomenti che sono manifesti politici in vista delle elezioni. Adesso occorre vietare i “corridoi umanitari”. Ed asservire gli operatori umanitari alle attività di polizia.
La Commissione Difesa del Senato presieduta dal Senatore La Torre ha lanciato un messaggio molto chiaro, rivolto anche alla magistratura ed agli organi di polizia. Ratifica dei respingimenti collettivi illegali concordati da Minniti con il governo di Tripoli, un governo sempre più precario, che non rappresenta tutta la Libia. Ma questo non lo scrive nessuno. Come nessuno scrive dei morti in mare e dei migranti rinchiusi e torturati nei lager libici dopo essere stati “salvati” dalla Guardia Costiera libica rifornita ed addestrata degli italiani.
“Siamo venuti qui per ricevere le prime quattro motovedette che sono arrivate dall’Italia”, ha detto Minniti.
“Sono motovedette libiche con personale operativo libico che è stato formato in Italia”, ha precisato il titolare del dicastero dell’Interno. “Si tratta di ufficiali capaci che da questo momento in poi potranno contribuire ad una doppia operazione: la prima quella del controllo delle acque territoriali libiche, importantissima per la stabilità di questo paese; la seconda è quella di contribuire insieme con gli altri paesi l’Europa, inclusa l’Italia, alla sicurezza del Mediterraneo centrale, con la capacità di intervento contro i trafficanti di esseri umani e con un’azione di prevenzione nei confronti del terrorismo”, ha detto Minniti. Il ministro ha visitato il primo gruppo di motovedette consegnate dall’Italia. “Nelle prossime settimane completeremo la formazione del personale e procederemo alla consegna di altre sei motovedette, con l’obiettivo di arrivare ad un complesso di dieci motovedette”, ha spiegato Minniti, annunciando che il nuovo contingente “farà della Guardia costiera libica una delle più importanti dell’Africa”.
La scorsa settimana il coordinamento tra la Guardia costiera libica e italiana ha portato al primo salvataggio in mare di 498 migranti al largo delle coste di Sabrata, nella Libia occidentale. L’11 maggio si è tenuta nella capitale libica una riunione del Comitato misto per la lotta contro l’immigrazione illegale tra Italia e Libia, nel quale è stato fatto il punto sul programma di rafforzamento delle capacità della Guardia costiera e della Guardia di frontiera del paese nordafricano. Durante la riunione è stata espressa soddisfazione per l’operazione di salvataggio dei 500 migranti.
Adesso che otterranno il risultato di ridurre la presenza delle ONG conteremo altri morti e dispersi. Con il riconoscimento di un coordinamento operativo italo-libico la Commissione del Senato riconosce il pieno coinvolgimento dei mezzi italiani nelle attività di blocco operate dalla Guardia Costiera di Tripoli con le motovedette regalate dall’Italia.
L’Italia si rende dunque corresponsabile di trattamenti inumani e degradanti inflitti ai migranti dopo la loro riconsegna alle autorità libiche, attuata attraverso la cessione non solo di dieci motovedette, ma di fatto, di una vasta area di acque internazionali ricadenti nella zona SAR della Libia, una Libia che oggi come stato unitario non esiste più.
Il punto 3.1.9 della Convenzione SAR del 1979 sulla ricerca ed il soccorso in mare dispone che :
«Le Parti devono assicurare il coordinamento e la cooperazione necessari affinché i capitani delle navi che prestano assistenza imbarcando persone in pericolo in mare siano dispensati dai loro obblighi e si discostino il meno possibile dalla rotta prevista, senza che il fatto di dispensarli da tali obblighi comprometta ulteriormente la salvaguardia della vita umana in mare. La Parte responsabile della zona di ricerca e salvataggio in cui viene prestata assistenza si assume in primo luogo la responsabilità di vigilare affinché siano assicurati il coordinamento e la cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall’Organizzazione (Marittima Internazionale). In questi casi, le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve tempo ragionevolmente possibile.»
Il comportamento delle autorità militari italiane, su decisione del ministero dell’interno, adesso con il sostegno unanime della Commissione difesa del Senato, configura una precisa assunzione di responsabilità con riferimento alle attività di “soccorso”, in realtà di blocco a mare e di riconduzione nei porti libici, affidate alla Guardia costiera che risponde agli ordini del governo che controlla soltanto una parte della Tripolitania e che non può garantire in altre parti della costa libica né una efficace attività SAR ( ricerca e soccorso in mare) né una effettiva tutela dei diritti umani dei migranti “illegali” rinchiusi nel centri di detenzione a terra. Tutela che neppure l’UNHCR e l’OIM potrebbero garantire, se fossero presenti in tutta la Libia, e non soltanto in alcune città.
In questi accordi e nei correlati protocolli operativi si riscontrano la violazione programmata del divieto di respingimenti collettivi, e la violazione del principio di non refoulement affermato dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati. I principi affermati nella sentenza di condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo sul caso Hirsi nel 2012, permettono di prevedere la sanzionabilità delle intese concluse tra il governo italiano ed il governo Serraj, il 2 febbraio scorso e dei protocolli operativi ribaditi nella missione del ministro dell’interno Minniti a Tripoli.
Secondo la sentenza della Corte Europea di Strasburgo del 23 febbraio 2012 nel caso Hirsi, in merito ai principi generali relativi alla giurisdizione ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione :
”.Ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione, l’impegno degli Stati contraenti consiste nel «riconoscere» (in inglese «to secure») alle persone rientranti nella loro «giurisdizione» i diritti e le libertà enunciati nella Convenzione (Soering c. Regno Unito, 7 luglio 1989, § 86, serie A n. 161, e Banković ed altri c. Belgio ed altri 16 Stati contraenti (dec.) [GC], n. 52207/99, § 66, CEDU 2001-XII). L’esercizio della «giurisdizione» è il presupposto perché uno Stato contraente possa essere ritenuto responsabile delle azioni od omissioni ad esso addebitabili e all’origine di una denuncia di violazione dei diritti e delle libertà enunciati nella Convenzione (Ilaşcu ed altri c. Moldova e Russia [GC], n. 48787/99, §311, CEDU 2004‑VII).
.La giurisdizione di uno Stato, ai sensi dell’articolo 1, è principalmente territoriale (Banković, decisione sopra citata, §§ 61 e 67, e Ilaşcu, sopra citata, §312). Si presume che essa sia esercitata normalmente sull’intero territorio di quello Stato (Ilaşcu ed altri, sopra citata, § 312; e Assanidzé c. Georgia [GC], n.71503/01, § 139, CEDU 2004-II).
In conformità al carattere essenzialmente territoriale del concetto di giurisdizione, la Corte ha ammesso solo in circostanze eccezionali che le azioni degli Stati contraenti compiute o produttive di effetti fuori del territorio di questi possano costituire esercizio da parte degli stessi della loro giurisdizione ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione (Drozd e Janousek c. Francia e Spagna,26 giugno 1992, § 91, serie A n. 240; Banković, decisione sopra citata, § 67; e Ilaşcu ed altri, sopra citata, § 314).
Così, nella prima sentenza Loizidou (eccezioni preliminari), la Corte ha giudicato che, tenuto conto dell’oggetto e dello scopo della Convenzione, la responsabilità di una Parte contraente potesse essere chiamata in causa quando, in conseguenza di un’azione militare – legittima o meno -, quella Parte esercitava in pratica il suo controllo su una zona situata fuori del territorio nazionale (Loizidou c.Turchia (eccezioni preliminari) [GC], 23 marzo 1995, § 62, serie A n.310), il che è tuttavia escluso nel caso di una singola azione extraterritoriale istantanea, come nella causa Banković; il testo dell’articolo 1 non si presta infatti ad una concezione causale della nozione di «giurisdizione» (decisione sopra citata, § 75). In ciascun caso, l’esistenza di circostanze che richiedono e giustificano che la Corte concluda per l’esercizio extraterritoriale della giurisdizione da parte dello Stato deve essere valutata con riferimento ai fatti particolari della causa, ad esempio in caso di controllo assoluto ed esclusivo su una prigione o su una nave (Al-Skeini ed altri c.Regno Unito [GC], n. 55721/07, § 132 e 136, 7 luglio 2011; Medvedyev ed altri, sopra citata, § 67).
Sin dal momento in cui uno Stato esercita, tramite i propri agenti operanti fuori del proprio territorio, controllo e autorità su un individuo, quindi giurisdizione, esso è tenuto, in virtù dell’articolo 1, a riconoscere a quell’individuo i diritti e le libertà enunciati nel titolo I della Convenzione pertinenti al caso di quell’individuo. In questo senso, quindi, la Corte ammette ora che i diritti derivanti dalla Convenzione possano essere «frazionati e adattati» (Al-Skeini, sopra citata, §§ 136 e 137; a titolo di confronto, si veda Banković, sopra citata, § 75).
.La giurisprudenza della Corte rivela casi di esercizio extraterritoriale della competenza da parte di uno Stato nelle cause riguardanti azioni compiute all’estero da agenti diplomatici o consolari, o a bordo di aeromobili immatricolati nello Stato in questione o di navi battenti la bandiera di detto Stato. In queste situazioni, basandosi sul diritto internazionale consuetudinario e su disposizioni convenzionali, la Corte ha riconosciuto l’esercizio extraterritoriale della giurisdizione da parte dello Stato interessato (Banković, decisione sopra citata, § 73, e Medvedyev ed altri,sopra citata, § 65).
Sempre secondo la Corte di Strasburgo, con riferimento al caso Hirsi, la soggezione dell’Italia alla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e dunque la giurisdizione della Corte di Strasburgo sussisteva anche nel caso di motovedette italiane operanti in acque internazionali. E infatti:
76.Non è oggetto di contestazione dinanzi alla Corte la circostanza che gli avvenimenti controversi si siano svolti in alto mare, a bordo di navi militari battenti bandiera italiana. Il governo convenuto riconosce del resto che le motovedette della guardia di finanza e della guardia costiera sulle quali sono stati imbarcati i ricorrenti rientravano completamente nella giurisdizione dell’Italia.
77.La Corte osserva che, in virtù delle disposizioni pertinenti del diritto del mare, una nave che navighi in alto mare è soggetta alla giurisdizione esclusiva dello Stato di cui batte bandiera. Questo principio di diritto internazionale ha portato la Corte a riconoscere, nelle cause riguardanti azioni compiute a bordo di navi battenti bandiera di uno Stato, come anche degli aeromobili registrati, casi di esercizio extraterritoriale della giurisdizione di quello Stato (paragrafo 75 supra). Dal momento che vi è controllo su altri, si tratta in questi casi di un controllo de jure esercitato dallo Stato in questione sugli individui interessati.
78.La Corte osserva d’altra parte che questo principio è trascritto nel diritto nazionale, all’articolo 4 del codice italiano della navigazione, e non è contestato dal governo convenuto (paragrafo 18 supra). Ne conclude che il caso di specie costituisce proprio un caso di esercizio extraterritoriale della giurisdizione dell’Italia, suscettibile di chiamare in causa la responsabilità di quello Stato ai sensi della Convenzione.
79.D’altra parte l’Italia non può sottrarsi alla sua «giurisdizione» ai sensi della Convenzione definendo i fatti controversi un’operazione di salvataggio in alto mare. In particolare, la Corte non può condividere l’argomentazione del Governo secondo la quale l’Italia non sarebbe responsabile della sorte dei ricorrenti in considerazione del preteso ridotto livello del controllo che le sue autorità esercitavano sugli interessati al momento dei fatti.
80.Al riguardo, è sufficiente osservare che nella causa Medvedyev ed altri, sopra citata, i fatti controversi si erano verificati a bordo del Winner, un’imbarcazione battente bandiera di uno Stato terzo, ma il cui equipaggio era stato posto sotto il controllo di militari francesi. Nelle particolari circostanze di quella causa, la Corte ha preso in esame la natura e la portata delle azioni compiute dagli agenti francesi al fine di verificare se la Francia avesse esercitato sul Winner e sul suo equipaggio un controllo, almeno de facto, continuo ed ininterrotto (ibidem, §§ 66 e 67).
81.Ora, la Corte nota che nella presente causa i fatti si sono svolti interamente a bordo di navi delle forze armate italiane, il cui equipaggio era composto esclusivamente da militari nazionali. Ad avviso della Corte, sin dalla salita a bordo delle navi delle forze armate italiane e fino alla consegna alle autorità libiche, i ricorrenti si sono trovati sotto il controllo continuo ed esclusivo, tanto de jure quanto de facto, delle autorità italiane. Nessuna speculazione sulla natura e sullo scopo dell’intervento delle navi italiane in alto mare può indurre la Corte a concludere diversamente.
82.Pertanto, i fatti all’origine delle violazioni dedotte rientrano nella «giurisdizione» dell’Italia ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione.
Adesso gli accordi stipulati il 3 febbraio scorso, ed i protocolli operativi che sono richiamati, risalenti al dicembre del 2007, prevedono un costante coordinamento operativo tra autorità libiche ed autorità italiane, per cui risulta aggirato il divieto di espulsioni collettive, oltre il divieto di trattamenti inumani o degradanti, per effetto dell’affidamento delle attività di “soccorso” in acque internazionali a motovedette libiche cedute appositamente dal governo italiano. Rimane comunque al governo italiano la giurisdizione, anche se non esclusiva, su persone soccorse dalle autorità libiche in acque internazionali in quanto le scelte concrete di contrasto dell’immigrazione irregolare via mare risalgono ad una decisione di un centro di coordinamento costituito da autorità libiche ed italiane ed a intese operative maturate tra le stesse autorità. Per quanto sia possibile definire “autorità libica” un corpo militare, la cd. Guardia Costiera libica, che in realtà appare riferibile al solo governo Serraj insediato a Tripoli, ma privo di un controllo effettivo del territorio e delle coste sulla maggior parte della Libia.
Occorre denunciare a tutti i livelli queste gravissime violazioni del diritto internazionale e verificare la ricorrenza del reato di omissione di soccorso, sancito anche dal Codice della navigazione. Incasseranno qualche voto in piu’ e faranno “bella figura” al G 7 di Taormina. Con il voto unanime della Commissione Difesa del Senato i politici italiani che hanno apposto la loro firma a questi patti di respingimento hanno scelto di criminalizzare l’intervento di soccorso nel tentativo di imporre alle organizzazioni umanitarie compiti di polizia e totale asservimento alle esigenze di contenimento degli arrivi, imposti dal ministero dell’interno.
Le organizzazioni non governative non si faranno intimidire da una vera e propria intimidazione che corrisponde alla macchina del fango che da settimane si è scatenata contro chi salva vite umane in mare a nord della costa libica. In mancanza di fatti si arriva alla mistificazione vera e propria, come se le ONG che salvano persone in mare avessero interessi nella rotta dei Balcani.
La risoluzione finale della Commissione Difesa del Senato richiama un coordinamento delle navi umanitarie con la Guardia Costiera italiana che esiste da tempo e che adesso viene ulteriormente rafforzato in occasione della restituzione di dieci motovedette ai libici. Un ennesimo attacco al dovere primario di salvare vite umane in mare che dimostra una totale ignoranza del diritto internazionale ed un chiaro calcolo politico.
Vedremo adesso come gli uomini e le donne della Marina applicheranno questa decisione politica che non riscontra alcun elemento di reato ma costituisce soltanto uno schieramento di morte e di guerra ai migranti tutti. Le Convenzioni internazionali a salvaguardia della vita umana in mare non possono essere cancellate da una politica delle larghe intese più rivolta alla speculazione elettorale, che al rispetto dello stato di diritto e delle Convenzioni internazionali.