Fulvio Vassallo Paleologo
La situazione attuale delle attività di ricerca e soccorso operate dalle ONG nelle acque del Mediterraneo centrale è sempre più critica, tra false informazioni diffuse dai servizi segreti e da Frontex, ventate di populismo giudiziario, speculazione politica e diffamazione mediatica. A nessuno sembra importare davvero della vita e della morte di migliaia di pesone in fuga dalla Libia, ed in rete si moltiplicano i commenti diffamatori o apertamente razzisti.
Le accuse di collusione con i trafficanti, rilanciate ogni giorno, non trovano ancora conferme. Di certo intanto ci sono solo le operazioni di “soccorso”, meglio di cattura, svolte dalle motovedette libiche in acque internazionali, nelle stesse acque nelle quali fino a poche settimane fa operavano le navi umanitarie con la copertura delle navi militari europee.
Interventi di “soccorso” che assumono le modalità, ed hanno i risultati, di veri e propri respingimenti collettivi, perché operati d’intesa con le autorità italiane.
Ed a ogni intervento dei libici, si riferiscono i numeri delle poche persone soccorse, ma si tace il numero molto più alto dei morti e dei dispersi.
Con le ultime intese stipulate lo scorso mese di febbraio con le autorità di Tripoli, il governo italiano ha ripristinato il Protocollo operativo stipulato dal governo Prodi con la Libia di Gheddafi nel 2007.
Il ritiro della maggior parte degli undici assetti navali della missione Frontex, da ultimo anche la SIEM PILOT che ritorna in Norvegia, in parte sostituita dall’Operazione Eunavfor Med (Sophia), con due navi, contemporaneamente alla minore presenza di navi militari italiane della missione Mare Sicuro, ha accresciuto il carico delle operazioni “Search and Rescue” svolte dalle navi umanitarie. Si inaspriscono i tentativi di criminalizzazione che hanno come unico obiettivo l’eliminazione di qualsiasi testimone indipendente in acque nelle quali vengono compiuti gravi illeciti internazionali.
Le navi delle cd. ONG sempre più spesso sono testimoni di veri e propri sequestri di persona in acque internazionali, operati dalle navi della guardia costiera libica. Ogni intervento dei libici, per bloccare i gommoni in fuga, è segnato da una lista infinita di morti e di dispersi senza nome.
Ancora oggi, come nello scorso fine settimana, morti e dispersi, e la responsabilità non può essere fatta ricadere su chi soccorre, ma su chi ha ritirato le navi più a nord o esegue soccorsi tardivi.
Nelle ultime settimane si sono verificati ritardi nei soccorsi come quelli che portarono alla tragedia dell’11 ottobre del 2013, a seguito della quale fu attivata la missione Mare Nostrum, che costituì tra l’altro, nell’unico anno di attività, il 2014, una soluzione per i conflitti di competenza tra Italia, Malta e la Libia, conflitti che negli anni sono costati migliaia di morti.
L’unico porto sicuro (place safety) verso cui condurre le persone soccorse al largo delle acque territoriali libiche è l’Italia, come stabilisce per Frontex il Regolamento Europeo n.656 del 2014.
Articolo 4 Protezione dei diritti fondamentali e principio di non respingimento
- Nessuno può, in violazione del principio di non respingimento, essere sbarcato, costretto a entrare, condotto o altrimenti consegnato alle autorità di un paese in cui esista, tra l’altro, un rischio grave di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura, alla persecuzione o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti, o in cui la vita o la libertà dell’interessato sarebbero minacciate a causa della razza, della religione, della cittadinanza, dell’orientamento sessuale, dell’appartenenza a un particolare gruppo sociale o delle opinioni politiche dell’interessato stesso, o nel quale sussista un reale rischio di espulsione, rimpatrio o estradizione verso un altro paese in violazione del principio di non respingimento.
- In sede di esame della possibilità di uno sbarco in un paese terzo nell’ambito della pianificazione di un’operazione marittima, lo Stato membro ospitante, in coordinamento con gli Stati membri partecipanti e l’Agenzia, tiene conto della situazione generale di tale paese terzo.
Articolo 9 Situazioni di ricerca e soccorso
- Gli Stati membri osservano l’obbligo di prestare assistenza a qualunque natante o persona in pericolo in mare e durante un’operazione marittima assicurano che le rispettive unità partecipanti si attengano a tale obbligo, conformemente al diritto internazionale e nel rispetto dei diritti fondamentali, indipendentemente dalla cittadinanza o dalla situazione giuridica dell’interessato o dalle circostanze in cui si trova.
Articolo 10 Sbarco
- Il piano operativo contempla, conformemente al diritto internazionale e nel rispetto dei diritti fondamentali, almeno le seguenti modalità per lo sbarco di persone intercettate o soccorse durante un’operazione marittima:
- a) in caso di intercettazione nelle acque territoriali o nella zona contigua di cui all’articolo 6, paragrafi 1, 2 o 6, o all’articolo 8, paragrafi 1 o 2, lo sbarco avviene nello Stato membro costiero, fatto salvo l’articolo 6, paragrafo 2, lettera b);
- b) nel caso d’intercettazione in alto mare di cui all’articolo 7, lo sbarco può avvenire nel paese terzo da cui si presume che il natante sia partito. Ove ciò non sia possibile, lo sbarco avviene nello Stato membro ospitante;
- c) nel caso di situazioni di ricerca e soccorso di cui all’articolo 9 e fatta salva la responsabilità del centro di coordinamento del soccorso, lo Stato membro ospitante e gli Stati membri partecipanti cooperano con il centro di coordinamento del soccorso competente per individuare un luogo sicuro e, una volta che il centro di coordinamento del soccorso competente abbia determinato tale luogo sicuro, assicurano che lo sbarco delle persone soccorse avvenga in modo rapido ed efficace.
Chi sostiene che lo sbarco potrebbe avvenire nel porto più vicino o nel paese di bandiera delle navi di soccorso, si pone in contrasto con il diritto internazionale del mare e con il diritto dell’Unione Europea. Normative che per effetto dell’art. 10 della Costituzione italiana, sono vincolanti per qualsiasi giudice interno, come è stato ribadito nel 2012 anche dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo in occasione della condanna dell’Italia sul caso Hirsi.
Qualcuno ipotizza addirittura l’obbligo della presenza di agenti di polizia giudiziaria a bordo delle navi umanitarie che saranno ancora ammesse ad operare in zona SAR. Una zona SAR che verrà fortemente limitata, perchè dopo la cessione di dieci motovedette dall’Italia alla Libia, le autorità italiane stanno restituendo alle autorità libiche il compito di coordinare gli interventi di ricerca e soccorso nell’area di loro pertinenza, dove fino ad oggi hanno invece operato le navi umanitarie sotto il coordinamento della Guardia Costiera italiana.
Saranno dunque sempre più frequenti i respingimenti collettivi delegati alla guardia costiera che fa capo al governo Serraj che controlla Tripoli e parte della costa più vicina alla capitale.
Si confermano gli accordi di cooperazione operativa del 2007 che riversano anche sulle autorità italiane gravi responsabilità in ordine alla violazione del divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti (art. 3 della CEDU), al mancato esercizio dei diritti di difesa (art.13 della CEDU) ed al divieto di respingimenti collettivi (art. 4 del Quarto Protocollo allegato alla CEDU). Le stesse norme che sono state violate nel caso Hirsi, conclusosi nel 2012 con la condanna dell’Italia da parte della Corte Europea dei diritti dell’Uomo.
Articolo 1
Le Parti si impegnano a:
A) avviare iniziative di cooperazione in conformità con i programmi e le attività adottati dal Consiglio Presidenziale e dal Governo di Accordo Nazionale dello Stato della Libia, con riferimento al sostegno alle istituzioni di sicurezza e militari al fine di arginare i flussi di migranti illegali e affrontare le conseguenze da essi derivanti, in sintonia con quanto previsto dal Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione sottoscritto tra i due paesi, e dagli accordi e memorandum d’intesa sottoscritti dalle Parti.
Quanto sta accadendo in questi giorni nelle acque internazionali a nord della costa libica, che ricadono nella zona SAR (ricerca e salvataggio) di un paese che non è palesemente in grado di garantire il rispetto della vita e dei diritti umani dei migranti che si trovano sul suo territorio, o che vi vengono ricondotti, dimostra le violazioni commesse anche dall’autorità italiane che hanno stipulato e rinnovato protocolli operativi con la Libia.
La sorte dei migranti intrappolati in Libia o riporati indietro è sempre più critica, come dimostrano i corpi di coloro che, malgrado tutto, riescono ad essere soccorsi e ad arrivare in Italia. Lo confermano anche le agenzie delle Nazioni Unite.
Appare anche sempre più evidente lo scopo della campagna di criminalizzazione delle ONG che prestano attività di ricerca e salvataggio in acque, dopo il ritiro programmato della missione TRITON di Frontex e di buona parte dei mezzi della marina Militare italiana, che le presidiavano fino a pochi mesi fa.
Occorre eliminare qualsiasi testimonianza sui gravi abusi commessi dalle autorità libiche in mare, con la connivenza diretta del governo italiano e delle agenzie europee. Le ONG non continueranno ancora a subire attacchi vergognosi. Contro tutto questo la solidarietà di moltiplica e nessuno arretrerà di un centimetro, mentre presto gli accusatori di oggi potrebbero sedere sul banco degli imputati. Ci sarà un giudice, se non a Berlino, almeno a Strasburgo. Finora gli unici che hanno nascosto le carte sono stati i rappresentanti dei governi e di FRONTEX.