La liberazione di Gabriele Del Grande ci fa tirare un sospiro di sollievo, anche se non si possono dimenticare le centinaia di persone – giornalisti, avvocati, magistrati e oppositori di varia estrazione – imprigionati da Erdogan e detenute in condizioni durissime, esposte a processi iniqui, con la prospettiva di lunghi anni di prigionia.
Non possiamo neppure dimenticare i rapporti di collaborazione ancora attivi tra l’Unione Europea e la Turchia, dopo le intese dello scorso anno, per effetto delle quali Erdogan ha incassato sostegno politico e sei miliardi di euro per bloccare i profughi in fuga, prevalentemente siriani ma anche di altre nazionalità, come afghani e irakeni.
Un piano di collaborazione con l’Unione Europea che ha consentito ad Erdogan, anche allo scopo di fronteggiare la minaccia del terrorismo, la militarizzazione di intere regioni ed un regime di coprifuoco permanente al confine con la Siria, dove sono rimaste intrappolate migliaia di profughi siriani che cercavano salvezza e che hanno trovato la detenzione in Turchia, quando non la morte.
Un altro fronte sul quale l’accordo tra Unione Europea e Turchia sta dispiegando i suoi effetti è la zona di confine tra Turchia e Grecia, dove si sono rinforzate le pratiche di detenzione amministrativa nei centri di espulsione, trasformando gli hotspot già esistenti e finanziati dall’ Unione Europea in “removal center”, nei quali concentrare i migranti da riportare in Turchia, con l’ausilio dei funzionari e delle scorte dell’Agenzia europea Frontex.
Negli hotspot greci, come quello sull’isola di Lesvos, operano dallo scorso anno decine di agenti di Frontex, proprio allo scopo di preparare le espulsioni in Turchia.
Un’attività di deportazione sistematica che continua quotidianamente, mentre aumentano le vittime in mare tra coloro che tentano di entrare irregolarmente in Grecia, anche con lo spauracchio di una successiva espulsione in Turchia. Sono questi gli “effetti collaterali” della tanto lodata chiusura della cosiddetta Rotta balcanica.
Soltanto pochi giorni fa, l’ultima di una serie di stragi ignorate dall’opinione pubblica europea. Anche in questo caso, l’intervento di “soccorso” da un mezzo di Frontex e da un’unità navale turca, come riferito da Sky News 24. La mancanza di canali umanitari e di possibilità concrete di ingresso legale nell’Unione Europea, anche per persone che fuggono da Paesi ad alto rischio, come la Siria o l’Afghanistan, presenta un costo sempre più elevato, soprattutto in termini di vite umane.
Per quanti riescono comunque a raggiungere le coste delle isole greche, il rischio di deportazione in Turchia rimane alto, senza garanzie per il rispetto dei diritti fondamentali delle persone. Numerosi rapporti internazionali, come quello di Human Rights Watch, documentano abusi, assenza di possibilità di difesa e mancato rispetto dei più elementari diritti fondamentali della persona.
Tutti i giornali hanno scritto in questi giorni che il centro di Mugla, nel quale è stato trattenuto Gabriele Del Grande, è un centro per “stranieri”, ma chi sono questi stranieri, e per quali ragioni vi vengono trattenuti? Vi sono altri centri di detenzione nella stessa regione del governatorato di Mugla? E soprattutto, chi paga per i centri di detenzione turchi? Ci sono finanziamenti europei, derivanti magari dai fondi generosamente elargiti da Bruxelles ad Erdogan per garantire la piena attuazione delle politiche di arresto e di deportazione dei migranti e dei profughi giunti in Turchia?
Domande che purtroppo trovano le risposte che si potevano temere, e che mostrano quanto l’Unione Europea abbia dovuto pagare, non solo in termini economici, ma anche sul piano del mancato rispetto della dignità delle persone, per tentare di bloccare i profughi in transito per la Turchia, utilizzando una rete di centri di detenzione amministrativa. Adesso che Erdogan ricatta Bruxelles, minacciando di recedere dagli accordi se non otterrà i visti di ingresso che gli erano stati promessi, è giunto il momento che l’Unione Europea blocchi le deportazioni verso la Turchia e favorisca la rilocazione dei migranti intrappolati in Grecia e a rischio di espulsione verso la Turchia in altri paesi dell’Unione. Tenendo anche conto che, nella situazione attuale, la Turchia non è certamente un “paese terzo sicuro” per nessuno, né per i migranti, né per i cittadini europei che ne difendono le ragioni o ne vogliono raccontare i percorsi.