Guai a voi, migranti! Violenza e ipocrisia nella propaganda europea sulle migrazioni

Ringraziamo l’amico e compagno Alessandro Dal Lago che ci invia questa riflessione puntuale che parte da un progetto aberrante in cui ipocrisia e violenza si saldano come nella peggiore tradizione coloniale europea. Si parte da un progetto che risale al luglio 2016 per giungere  laddove doveva arrivare, ai campi di detenzione in cui tutto sarà possibile lontani da occhi europei. Ma intanto non si potrà dire che “noi”, “italiani brava gente”, non li abbiamo avvisati e tentati di convicere a non venire in Europa.

 

Alessandro Dal Lago

Nel luglio 2016 il governo italiano (allora presieduto da Matteo Renzi) ha lanciato il progetto “Aware migrants” in collaborazione con l’Organizzazione internazionale delle migrazioni. Si tratta di una campagna di informazione mirata alla dissuasione di chi, in Africa, vorrebbe mettersi in viaggio alla volta dell’Europa. Non è certamente un’iniziativa nuova. Aveva cominciato la Danimarca, nel 2015, lanciando lo slogan “Non siete benvenuti!”. E molti altri paesi si sono aggiunti, come l’Australia, che si segnala per la brutalità con cui tratta i migranti in campi di detenzione offshore e per la volgarità dei suoi messaggi diassuasivi. In un video governativo si vedono, per esempio, richiedenti asilo afghani che agonizzano letteralmente in uno di questi campi.

Ma la campagna “Aware migrants”, coerentemente con la retorica della presunta umanità  con cui l’Italia interverrebbe in questo campo, è quanto di più ipocrita si possa immaginare. Essa costituisce oggi la faccia apparentemente soft di una strategia di dissuasione, elaborata prima da Alfano e Renzi e realizzata all’inizio di quest’anno dal ministro Minniti, che si impernia sulla parola d’ordine  “Rinchiudiamo i clandestini in Africa!”. Gli aspiranti migranti non devono partire. Se poi fossero così stolti da mettersi in viaggio, verranno fermati alla frontiera libica. E se riuscissero a passare, ecco per loro galere e centri di detenzione finanziati dal governo italiano. Ma andiamo con ordine.

La campagna “Aware migrants” costa un milione e mezzo di Euro ed è stata affidata, non sappiamo con quali procedure di gara, a un’agenzia milanese di comunicazione, Horace. Il progetto si impernia su un sito costantemente aggiornato (e sul continuo presidio di Facebook ecc.), che contiene video in cui alcuni migranti raccontano i rischi del viaggio e le violenze subite e si rivolgono ai loro fratelli consigliandoli di restare a casa. Ma facciamo parlare l’agenzia Horace (cito dal sito www.awaremigrants.org) :

Per risultare credibili, [le storie]  devono essere vere, e trasmesse ‘da migrante a migrante’. Per questo sono state registrate 50 video testimonianze, da cui sono nati altrettanti clip che raccontano i momenti più forti della loro esperienza, e si concludono con il claim della campagna (‘be aware, brother’ e ‘be aware, sister’). I video sono sottotitolati nelle 3 lingue della campagna e caricati su una speciale sezione del sito, e sui canali YouTube.

È difficile sapere se le storie sono vere. E se i migranti narratori sono stati pagati. Comunque, c’è da chiedersi se i creativi che hanno avuto questa bella pensata, i registi che hanno curato i video e tutti gli altri collaboratori dell’impresa siano consapevoli dell’inganno a cui stanno prendendo parte (e in tal caso se hanno il coraggio di guardarsi allo specchio, una volta tornati a casa). Un inganno a spese di un’infinità di poveri che vivono in Gambia, Senegal, Mali, Eritrea ecc. – a cui viene detto in sostanza: quello che possiamo fare per voi è minacciarvi (implicitamente) di morte, se mai vi venisse l’idea di partire per l’Eden europeo. Un messaggio tanto più ripugnante se si pensa che il Pil pro capite dei paesi in questione va dai 1000 dollari annui del Senegal ai 700 dell’Eritrea e ai 500 del Gambia. Diciamo che il fondo generosamente elargito dal governo italiano alla brillante agenzia Horace consentirebbe di vivere un anno a 3000 gambiani o a 1000 senegalesi. E invece finisce nelle tasche di tutti quei geniali creativi e comunicatori di Milano.

Come sempre, in questo tipo di iniziative c’è qualcosa di profondamente stupido – che si accorda perfettamente con l’ingegno creativo di chi, agli Esteri o agli Interni (ma sospettiamo si tratti del ministro Angelino Alfano), ha dato avvio a tutta la faccenda. E che si accorda anche con l’ambiguità burocratica dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni, così fiera di aver coordinato il progetto (si veda il sito relativo).

Per cominciare, la campagna prevede la possibilità per i destinatari di usare uno smartphone o un computer. Ma se è così, i migranti potenziali sanno benissimo quello che li aspetta in Niger, Libia, nel Mediterraneo, in Italia, a Ventimiglia ecc. Oltretutto, chiunque si occupi di migrazioni sa delle reti informali che trasmettono le informazioni sulle migrazioni inter-africane e sulle rotte per l’Europa. Ma il governo italiano e l’agenzia Horace non lo sanno. O se lo sanno hanno pensato di farsi un po’ di pubblicità. A questo scopo hanno reclutato anche la cantante e musicista maliana Rokia Traoré, molto conosciuta e  apprezzata in Europa (dove naturalmente può spostarsi a suo piacimento). Uno si chiede con che animo costei possa aver composto una canzone (Be aware brother, be aware  sister) che contiene i versi che seguono (in inglese, arabo e varie lingue africane):

In quanto parte della vita, nonostante la tristezza

per le ferite del tempo, non rinunciare alla speranza,

abbi fiducia in te stesso, nella possibilità di una vita migliore

Il richiamo più grande viene dalla vita, dall’aria che respiri

Dalla luce che vedi, dal canto del vento.

Sentiti grande, libera il meglio che è in te,

lotta per realizzarti. Per stare meglio, essere pieno

di gioia e di speranza.

[…]

Il solo limite alle tue possibilità è quello che segna la fine della vita

Il viaggio pericoloso, ingannevole e maligno

La speranza non è nel deserto.

Non c’è vita nella profondità dell’oceano.

 

Tradotto in prosa, tutto questo significa semplicemente: resta a casa tua, fratello, e vedi un po’ se riusci a farti una vita migliore con i tuoi 500 Euro di Pil annuo. Chissà se Rokia Traoré è in buona fede ed è sinceramente interessata alla sorte dei suoi fratelli e delle sue sorelle, oppure ha colto l’occasione di cantare un brano nuovo e realizzare un clip. Ma, probabilmente, in quanto figlia di un diplomatico, che ha seguito nei suoi viaggi all’estero (come leggiamo dalle sue notizie biografiche), non sì è  mai posta la questione. E così il suo messaggio è “Aiutati che il ciel t’aiuta” – con tanto di vento che canta e altre meraviglie africane –, versione locale di quello slogan “aiutiamoli a casa loro” che sintetizza le brillanti iniziative del governo italiano in materia di migrazioni (e che deriva in realtà da una parola d’ordine della Lega).

L’ipocrisia di tutta la faccenda risulta evidente se si dà un’occhiata al sito dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni che veglia sul progetto “Aware Migrants”. L’Oim denuncia giustamente le violenze, gli abusi, gli stupri e gli omicidi che le varie milizie e i soldati libici commettono ai danni dei migranti. Ma con chi si accorda ora il nostro ministro Minniti? Proprio con i notabili libici (cioè “sindaci”, signorotti delle armi e “capi tribù”), come leggiamo in un pittoresco resoconto da “Il Foglio”  del 17 febbraio 2017.

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Lunedì scorso i sindaci della Libia in effetti si trovavano a Roma, proprio nella stanza a fianco a quella che al Viminale fa da studio del Ministro dell’Interno. Se esistesse una foto sul cellulare di Minniti – ma non esiste – lo mostrerebbe sorridente, e circondato da volti che sembrano usciti da un romanzo di Kipling, o di Konrad [sic!. E a dicembre, al Viminale, avevano fatto il loro ingresso anche quei capì tribù che in realtà governano il paese: Tuareg, Sulimani, Tebù, gente che si è fatta la guerra per anni, tutti a Roma a stipulare un accordo di cui Minniti riconosce intrinseche fragilità.

Non sappiamo se il nostro ministro degli interni, già esperto di servizi segreti e ora redivivo Lawrence d’Arabia o di Libia, si sia messo un turbante  o una jellabah per l’incontro. Ma quello che è sicuro è che l’Italia versa centinaia di milioni di dollari a un governo libico semi-inesistente, quello di Serraj, che potrebbe cadere da un giorno all’altro. Tutto denaro destinato a finire nelle tasche dei nuovi amici libici di Minniti, che così potranno acquistare armi per le loro guerre infinite. Davvero brillante, non c’è che dire. Al di là del ridicolo, che in queste vicende emerge sempre, soprattutto quando c’è di mezzo l’Italia, la verità è che si tratta della stessa politica di Amato, Berlusconi, Prodi ecc. Soldi alla Tunisia, alla Libia, all’Egitto ecc. in cambio di controllo dei migranti. Una politica che si è dimostrata fallimentare negli ultimi vent’anni e che chissà perché dovrebbe riuscire oggi. Chiunque, pensandoci un po’, capisce che i governi della riva africana del Mediterraneo hanno tutto l’interesse a perpetuare il business e che quindi lasceranno passare i migranti, dopo averli vessati e spremuti in tutti modi. Ma non  ci pensa minimamente Minniti, perso dietro i suoi sogni neo-imperiali in Libia (non è una battuta: soldati italiani sono già presenti nella nostra ex-colonia e oggi pattugliano i confini meridionali con il Niger).

Ecco dunque le due facce della strategia italiana sulle migrazioni: la faccia feroce di Minniti e quella ipocrita del progetto “Aware migrants”. Le guardie confinarie e le campagne dissuasive, con i loro video patinati e le canzoncine delle stelline locali della world music. Una strategia disumana (che l’Italia condivide con l’Europa) e che non nasconde un’ovvia verità. Che di fronte alla  fortezza Europa – così come davanti al muro che Trump vuole costruire o rafforzare sui confini meridionali degli Stati Uniti – spiccano il coraggio e la determinazione di tutti quelli che si mettono in marcia per una vita migliore, pur conoscendo i pericoli che li attendono. Come è evidente a chiunque non abbia un paraocchi eurocentrico, queste campagne non possono che ottenere risultati opposti a quelli immaginati dai loro strateghi.

 

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