Las devoluzione en calientes, notizie dalla Spagna

Di quanto avviene in Spagna e più in generale  nella penisola iberica, in materia di immigrazione, respingimenti  e diritto di asilo, si parla da noi molto poco. Dopo alcuni  spunti che ci ha  offerto  recentemente Emilio Drudi pubblichiamo volentieri quanto ci racconta una nostra amica e collaboratrice che recentemente ha trascorso un periodo in Spagna. La ringraziamo e siamo certi che la lettura del testo risulterà utile.

Giovanna Vaccaro

I dati della relocation che arrivano dalla Spagna confermano il già ben noto fallimento del programma europeo, non solo sul piano dei principi, ma della sua stessa applicabilità: dei 17.337 posti messi a disposizione del paese iberico, le persone effettivamente ricollocate da Grecia e Italia, durante il 2016, sono state solo 898, ossia, appena il 5% del totale previsto entro settembre 2017.

Ancora più preoccupante appare l’interno sistema di diritto d’asilo che, anche in questo Paese, viene continuamente sacrificato a dubbie prassi di riconoscimento della protezione sulla base della nazionalità, respingimenti sommari, militarizzazione delle frontiere, politiche securitarie e accordi bilaterali per la gestione dei flussi migratori.

Nel 2015, la Spagna ha concesso la protezione solo a 3 persone su dieci: su 14.780 richiedenti asilo solo 1020 (prevalentemente di nazionalità siriana e ucraina) hanno ottenuto la protezione. Nello specifico, è stato riconosciuto lo status di rifugiato a 220 persone e le protezioni sussidiarie a 800; mentre tutti gli altri richiedenti asilo hanno ricevuto la notifica del rigetto della domanda e un termine di 15 giorni per lasciare il paese. Infatti, il sistema d’asilo spagnolo non contempla alcun tipo di protezione per motivi umanitari, e la concessione dei primi permessi a 12 vittime di tratta è notizia che risale solo agli ultimi mesi del 2016.

Anche in Spagna, come accade ovunque, il peggio della politica migratoria che diviene politica di difesa delle frontiere, si manifesta sui confini. Se le isole Canarie, meta principale dei flussi migratori dall’Africa, a partire dagli anni ‘90 fino al primo decennio del 2000, sono, ormai da tempo, trincerate dietro l’avanzatissimo sistema di controllo radar che ne ha fatto una frontiera inespugnabile; a delineare il profilo più spregiudicato delle politica securitaria e della guerra ai migranti, sono le frontiere che demarcano i confini Ceuta e Melilla, le due enclave spagnole in terra Marocchina, barricate dietro barriere di ferro, lame taglienti e fossati: sistemi di protezione che non si limitano a scoraggiare, ma letteralmente a ferire, mutilare e, a volte, addirittura, ad uccidere chi prova ad oltrepassarle.

La violenza che viene perpetrata nei confronti dei migranti è solo parzialmente delegata a queste disumane barriere fisiche: il vero confine a garanzia della repressione e del contenimento delle migliaia di disperati che, sostano per mesi sotto queste cruente frontiere, prima di tentare il grande salto, è costituito soprattutto dal lavoro della Guardia Civile Spagnola e della Forza Ausiliaria Marocchina, sua fedele alleata. A sostenere l’operato di queste ultime, ci sono poi le leggi che, in nome della sicurezza dei cittadini, cancellano i residui di diritto d’asilo in terra di frontiera e aprono la strada della legittimità a “las devoluzione en calientes”, il cosiddetto respingimento a caldo.

Infatti, l’ entrata in vigore, della tanto discussa Legge di Sicurezza Cittadina, soprannominata legge Bavaglio, non ha solo significato, in materia di immigrazione, la modifica e cancellazione della norma del 2000 che garantiva l’obbligo di consulenza legale e facilitazione all’accesso alla domanda d’asilo ai migranti in frontiera, ma, prevedendo che “gli stranieri scoperti nella linea di frontiera della demarcazione territoriale di Ceuta e Melilla, nel tentativo di superare gli elementi di contenimento per attraversare irregolarmente le frontiere ,possono essere respinti “, ha sancito la legittimità della prassi dei respingimenti perpetrata da decenni dalle autorità di confine.

In questo modo, gli oltraggi compiuti dalle forze di difesa e sicurezza, divengono difficilmente ascrivibili tra i reati, anche in linea teorica. Nella pratica di questi anni, sono state ad ogni modo rare le volte in cui la responsabilità delle violazioni compiute hanno trovato un riscontro. Ad esempio, non vi sono ancora i nomi dei responsabili del violento respingimento che, il 6 febbraio 2014, era costato la vita a 15 persone che cercavano di raggiungere, a nuoto, la spiaggia di Ceuta. Il caso, denominato Tarajal (dal nome della Spiaggia) era stato di fatto chiuso, fino a che, pochi giorni fa, è giunta la notizia della riapertura delle indagini, grazie all’ammissione del ricorso presentato da diverse ONG contro l’archiviazione della causa per i delitti di omicidio e prevaricazione.

La cooperazione interforze sui confini ispano-marocchini risulta più che efficace violenta, come dimostrano anche le cronache e le immagini della repressione dell’assalto delle frontiere di Ceuta, lo scorso 1 gennaio 2017, conclusosi con la morte di due persone di origine sub-sahariana e l’espulsione in direttissima di decine di migranti. Espulsioni che, come denunciato da diverse organizzazioni per i Diritti Umani, hanno dato luogo a una dei più gravi respingimenti sommarie degli ultimi mesi.

La realtà spagnola riconferma, dunque, il trend delle politiche europee, tanto rapide e efficienti nella chiusura e nel controllo delle frontiere, quanto lente nel garantire il diritto alla vita e il diritto di protezione; mentre il sistema di diritto d’asilo e di tutela dei diritti umani rischia di rimanere un ricordo.

Politiche di frontiera degne dell’Italia, in cui, politici già lucidamente dimentichi di ciò che gli accordi siglati con la Libia, tra il 2008 e il 2010, hanno rappresentato in termini di costi di vite umane, deportazioni, torture, violenze, detenzioni (e respingimenti illegali per cui il Bel Paese ha subito diverse condanne) sono pronti a rispolverarli, con l’aggravante dell’instabilità interna della Libia.

Politiche degne dei muri, del vergognoso accordo tra UE e Turchia e delle intese di riammissione portati avanti dall’Unione, come dai singoli Stati membri.

Del resto, era già tutto scritto nell’Agenda Europea per l’Immigrazione del maggio 2015, nei derivati provvedimenti delineati nella roadmap italiana e della loro messa in atto, attraverso dispositivi e prassi illegittime del sistema hotspot.

Intanto in Libia continuano le violenze e quando le persone vengono soccorse in mare è già troppo tardi: tutte loro hanno già subito violenza fisica, violenza psicologica, torture, abusi sessuali, detenzioni, rapimenti.

Il salvataggio delle vite in mare è senza dubbio atto dovuto e sfida a quella logica dei confini che produce morte. Ma è fondamentale andare oltre. Occorre condannare quotidianamente i risvolti delle politiche economiche e l’assenza di canali sicuri, denunciare le conseguenze degli accordi per la gestione dei flussi migratori e del sistema dei visti che fomentano il traffico di esseri umani. È necessario riconoscere, ricordare e richiamare continuamente la responsabilità dei governi che, con una mano rilasciano le autorizzazioni per le attività di soccorso e salvataggio in mare e, con l ‘altra, erigono barriere (materiali e non), riformano gli assetti di detenzione dei migranti e stringono la mano anche ai peggiori dittatori, pur di confinare fuori dalle mura della Fortezza Europa il destino di quanti hanno necessità di bussare alla sua porta.

E’ più che mai fondamentale agire sul piano della coerenza, l’unico su cui valga la pena rimarcare una linea di confine, quello tra lo status quo e il cambiamento necessario: il confine è molto labile e, troppo volte, accade che, nel tentativo di contrastare il sistema, si finisca per farne parte o, addirittura, legittimarlo e fortificarne la sedimentazione.

L’immigrazione è un fatto politico, a renderlo umanitario è la logica dell’emergenza che sta alla base delle fallaci politiche migratorie, fin dalla loro nascita (nonché in tutta la speculazione economica che è stata fatta a spese dei migranti nell’ambito dell’accoglienza). Traghettare le persone dall’altra sponda del Mediterraneo non basta. Bisogna salvare vite e diritti.

È fondamentale creare una vera rottura e continuare ad agire in opposizione alla guerra di frontiera con cui l’Europa finge di volersi difendere dalla povertà, mentre, al suo interno, con le sue manovre economiche, continua a creare vulnerabilità e miseria economica, sociale, politica e culturale.

La battaglia a sostegno dei diritti è una sola, a supporto di tutti gli esclusi e per l’affermazione della giustizia sociale.