Cornelia I. Toelgyes
Sono duemila le persone sbarcate in Italia dall’inizio dell’anno, mentre duecentoquaranta sono morte cercando di raggiungere le nostre coste. Gente fuggita da guerre, oppressioni, fame nera. Lo ha reso noto Carlotta Sami, portavoce per il Sud Europa e capo dell’ufficio stampa di Roma dell’ “Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati”, durante il suo intervento al Centro scalabriniano per la presentazione del libro “Padre Mosè”.
Negli ultimi giorni c’è stata un’escalation dei viaggi della speranza. E’ impossibile seguirli e monitorarli tutti. Ecco un elenco parziale.
Sabato mattina don Zerai, il sacerdote eritreo che da anni ormai si occupa di aiutare la gente che scappa dal suo Paese, lancia un SOS per un barcone in grave difficoltà, sul quale viaggiano poco meno di duecento persone.
Il salvataggio però non va a buon fine. Il natante naufraga a trenta miglia nautiche dalle coste libiche. Ritardi nei soccorsi e avverse condizioni metereologiche sarebbero le cause del disastro. Solamente quattro sopravvissuti, tre uomini e una donna, e quattro salme recuperate. Gli altri, per ora, come succede sempre in questi casi, vengono dati per dispersi. I pochissimi che ce l’hanno fatta, hanno visto inghiottire dalle acque moltissimi compagni di viaggio. Tutti i passeggeri erano originari del Corno d’Africa: moltissimi eritrei, una ventina tra somali e etiopi. Tra le vittime anche bambini e le loro mamme.
L’11 gennaio la nave Aquarius di Medici senza Frontiere (MSF) trae in salvo undici donne e quindici uomini su una piccola imbarcazione di legno. L’indomani viene soccorso un gommone con a bordo centoventitré persone. Il giorno seguente centoquarantanove profughi sono trasbordati su un natante della nostra Guardia costiera.
Ci sono stati altri morti durante il fine settimana. In un twitt “MSF sea” ha annunciato il salvataggio di un gruppo di profughi, centonovantatré, per la precisione. Due erano già morti. Secondo il twitt, le due persone sono state schiacciate dai compagni di viaggio, presi dal panico, dopo alcuni colpi di fucile sparati dalla guardia costiera libica in direzione del natante. Lo stesso giorno il team di MSF effettua altri interventi.
Il 15 gennaio l’Aquarius attracca nel porto di Messina con 300 superstiti e due salme. Lo sbarco, a causa delle procedure di identificazione è lento e faticoso e procede per tutta la giornata al freddo e sotto la pioggia. I profughi, ancora scossi dalle sofferenze e dalla paura, sono a piedi nudi. Purtroppo ottantantatré delle persone soccorse da MFS sono costrette a passare la notte sull’imbarcazione.
Altri salvataggi sono effettuati tra l’11 e il 12 gennaio dall’imbarcazione “Golfo Azzurro” della ONG spagnola “Proactiva open arms” a largo delle coste libiche. Lo annuncia l’organizzazione stessa su twitter e sulla sua pagina facebook . Vengono tratte in salvo quasi trecento persone. Cinquanta sono prese in carico dalla nostra Guardia costiera, mentre duecentotrentotto sono trasferite in un porto siciliano dalla nave stessa.
Si muore anche nello Stretto di Gibilterra, notizie di tragedie che la nostra stampa non riporta nemmeno. Si fa sempre più fitto il silenzio su coloro che perdono la vita cercando di raggiungere le coste europee. Chissà se l’UNHCR potrebbe intervenire per dare informazioni e rendere pubbliche notizia sulla sorte anche di questi disperati. E’ sempre più difficile apprendere dai media quando e in quale porto i profughi approdano in Italia.
Da alcuni mesi la guardia costiera libica viene addestrata nell’ambito dell’operazione Sophia di Eunavfor med e anche il nostro Paese è coinvolto in prima linea in tale training , insieme all’UNHCR. Ci si chiede dunque se e perché – e non abbiamo dubbi sul twitt riportato da MSF – la Guardia costiera libica abbia sparato su un’imbarcazione di migranti causando la morte di ben due persone. Il silenzio totale è calato su questo incidente, per non parlare degli altri anche quello che ha provocato i centottanta annegati.