CIE, espulsioni e clandestinizzazione forzata. Chi semina rabbia e terrore ringrazia il governo

Al Viminale hanno scelto Capodanno per presentare la strategia del nuovo governo in materia di immigrazione. Il 30 dicembre il capo della Polizia Franco Gabrielli ha diramato una circolare urgente per effettuare «attività di controllo straordinario per un’azione di prevenzione e contrasto a fronte di una crescente pressione migratoria e di uno scenario internazionale connotato da instabilità e minacce». Si tratta della premessa di una strategia messa a punto con il ministro dell’Interno Marco Minniti, di cui i mezzi di informazione hanno riportato solo qualche stralcio (vedi ad esempio qui), titolando tuttavia in modo non equivocabile. Un esempio per tutti, il “Corriere della Sera”: Migranti, via a retate ed espulsioni.

Oggetto: attività volte al rimpatrio degli stranieri

Nell’ambito delle strategie di contrasto all’immigrazione illegale, oltre al sistema di controlli alle frontiere, riveste un ruolo altrettanto importante il dispositivo volto al controllo e all’allontanamento degli stranieri irregolari.

È ben noto infatti come tale attività di controllo consenta spesso di intercettare fenomeni di sfruttamento e di inquinamento dell’economia del territorio collegati a forme di criminalità organizzata di livello nazionale o transnazionale. Né va sottaciuto l’apporto che il cennato dispositivo è in grado di dispiegare nell’azione di prevenzione e contrasto nell’attuale contesto di crisi a fronte di una crescente pressione migratoria e di uno scenario internazionale connotato da instabilità e da minacce che impongono di profondere massimo impegno nelle attività volte a mantenere il territorio sotto controllo.

Del resto la politica di rimpatrio per gli stranieri in posizione irregolare rappresenta altresì una priorità nel contesto dell’Unione Europea e trova particolare riscontro oltre che nelle disposizioni obbligatorie dei trattati istitutivi (in particolare gli art. 77-80 del TFUE), anche in numerosi atti di indirizzo politico e strategico tra i quali si segnalano le recenti raccomandazioni denominate “Agende Europee” in materia di sicurezza e sulla migrazione (adottate a Strasburgo e a Bruxelles il 28 aprile e il 13 maggio 2015).

Per le ragioni sopra esposte, appare necessario conferire massimo impulso all’attività di rintraccio dei cittadini di Paesi terzi in posizione irregolare, in particolare attraverso una specifica attività di controllo delle diverse Forze di Polizia. Sarà necessario a tal fine fornire loro specifiche indicazioni affinché, in caso di rintraccio di detti stranieri, assumano diretti contatti con gli Uffici Immigrazione delle Questure territorialmente competenti cui spetta l’avvio delle procedure per l’adozione dei provvedimenti di espulsione, in conformità con quanto stabilito dagli articoli 13 e ss. del Decreto Legislativo del 25 luglio 1998, n.286.

In relazione all’esigenza descritta si ritiene auspicabile procedere ad una preventiva pianificazione dei servizi specificatamente mirati al fine di ottimizzare le risorse disponibili nel più ampio contesto delle esigenze operative a livello territoriale.

Una tale valutazione può essere svolta in sede di Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica attraverso l’attivazione di piani straordinari di controllo del territorio volti non solo al contrasto dell’immigrazione irregolare ma anche allo sfruttamento della manodopera e alle varie forme di criminalità che attingono al circuito della clandestinità.

In detto contesto potrà, peraltro, essere meglio definito il concorso delle diverse Forze di polizia in attuazione di piani di controllo congiunto che vedano l’eventuale contributo operativo dei Corpi delle polizie locali. Se necessario potranno essere richiesti anche rinforzi, anche di unità specialistiche, in conformità con le precedenti direttive nazionali impartite (si richiama in particolare, la nota n.558/A.7230.0/212379 di questo Ufficio del 22 giugno 2011).

La Direzione Centrale per l’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere curerà il necessario raccordo con gli Uffici Immigrazione delle Questure per una pianificazione più specifica di tale attività di controllo straordinaria della presenza straniera in territorio nazionale, con riguardo, in particolare, all’assegnazione dei posti nei Centri di Identificazione ed Espulsione (C.I.E.).

Analogo raccordo, per i profili di rispettiva competenza, avranno cura di assicurare gli Uffici dipartimentali interessati al fine di consentire alle iniziative assunte a livello territoriale di dispiegare piena efficacia tenuto anche conto della complessità e articolazione del dispositivo che, anche in ragione dell’eventuale numero degli stranieri rintracciati, può rivelarsi complesso e delicato sotto il profilo organizzativo e per i conseguenti riflessi sul piano dell’ordine e della sicurezza pubblica.

Si confida nella consueta fattiva collaborazione

Il Capo della Polizia

Direttore Generale della Pubblica Sicurezza

Franco Gabrielli

Oltre a ritenere necessario e urgente dotare il Viminale di apposite risorse per favorire l’utilizzo di un linguaggio meno involuto e l’uso, di per sé gratuito, della punteggiatura che facilita il lavoro di chi legge, proviamo a capire, anche fra le righe, il senso di questa “circolare di fine d’anno”.

 

1. Il controllo del territorio dovrebbe servire a combattere i fenomeni di sfruttamento e di inquinamento dell’economia. Ma a sfruttare e a “inquinare”, oltre che le organizzazioni criminali nazionali e transnazionali, non sono anche tutti coloro che assumono consapevolmente in nero per evadere i contributi e pagare meno chi lavora? E perché, in tale pur giusta attività di contrasto, a rimetterci dovrebbero esserci non gli sfruttatori inquinatori ma gli sfruttati? Gli strumenti legislativi già ci sono, ad esempio l’art.22 comma 12-quater del Testo Unico. «Nelle ipotesi di particolare sfruttamento lavorativo di cui al comma 12-bis, è rilasciato dal questore, su proposta o con il parere favorevole del procuratore della Repubblica, allo straniero che abbia presentato denuncia e cooperi nel procedimento penale instaurato nei confronti del datore di lavoro, un permesso di soggiorno ai sensi dell’articolo 5, comma 6. (7)». Ma in quanti casi si è rilasciato un permesso di soggiorno su tali basi? Temiamo pochi, in compenso minacciare con decreti di espulsione chi oggi lavora in nero non fa altro che rendere ancora più impermeabili le reti di copertura di tale sfruttamento e rendere più ricattabile e dunque più vulnerabile chi lavora. Ma la propaganda non ne risente.

 

2. “Crescente pressione migratoria” e “instabilità dello scenario internazionale“. E qui ci si permetta la franchezza, si dicono alcune evidenti falsità. La pressione migratoria in Italia è negli anni, come in tutta Europa, diminuita. È aumentata, in maniera esponenziale quella dei richiedenti asilo. Sono aumentati, fuor dai nostri sguardi,  i conflitti, le devastazioni ambientali, gli impoverimenti che rendono un paese invivibile, le dittature foraggiate anche dall’Europa. E allora in molti chiedono una qualsiasi forma di protezione per salvarsi la vita entrando in Europa anche se permane chi li vorrebbe ancora bollare come “migranti economici” e quindi privi del diritto a salvarsi. E diciamo vengono”In Europa” perché a voler restare nella nostra penisola sono rimasti ben pochi. La fine della stagione dei “decreti flussi”, i risultati di una legge fallimentare anche per l’economia come la Bossi – Fini che impone di avere già un contratto di lavoro per entrare in Italia, alimentano sacche di irregolarità e di esclusione. Regolarizzare i presenti e le loro posizioni di lavoro, garantire ingressi per ricerca occupazione in base a comuni decisioni UE, potrebbero svuotare il bacino di chi è costretto, nell’irregolarità, a vivere o di sfruttamento legalizzato o a sopravvivere nell’economia illegale. Non si sono finora registrati in Italia attacchi terroristici di matrice jhaedista ma a nostro avviso, il miglior modo per evitare che ne avvengano è quello di prosciugare l’acqua del reclutamento fra disperati che non hanno più nulla da perdere. La circolare va nella direzione opposta. Considera il rimpatrio come unica soluzione e questo spingerà gli autoctoni a diffidare di chi è straniero (salvo poi sfruttarne le braccia), mentre gli stranieri privi di documenti e clandestinizzati a vita, finiranno per non avere alcuna prospettiva per il futuro e a covare la rabbia della disperazione.

 

3. La politica di rimpatrio per gli stranieri in posizione irregolare rappresenta una priorità nel contesto dell’Unione Europea.
Anche in questo paragrafo si racconta solo una parte della verità. L’Europa sta spingendo con la politica dei rimpatri ma incontra difficoltà enormi. I percorsi aperti soprattutto con alcuni paesi africani (Processo di Khartoum, Accordo de La Valletta, Migration Compact) non stanno portando i risultati auspicati per varie ragioni. I paesi africani, a cui viene chiesto di riprendersi tanto i propri cittadini quanto quelli passati in transito, o chiedono fondi che gli Stati UE non vogliono impegnare o si dichiarano ad oggi indisponibili a monetizzare la gestione delle persone (cfr Mali). La realizzazione di campi di detenzione in alcuni paesi come il Niger, va per le lunghe mentre la Libia, la principale base di partenza, non è ancora sufficientemente “pacificata” da poter garantire la gestione di grandi campi di accoglienza-detenzione, né tantomeno il controllo delle coste. Gli accordi bilaterali di rammissione, su cui l’Italia, visto il fallimento UE sui Migration Compact, sta spingendo molto necessitano di tempo e finanziamenti per essere incrementati e rafforzati. Tempo e risorse che il governo attuale chiederà molto probabilmente all’UE. Ad oggi le espulsioni avvengono in maniera relativamente facile con Egitto, (nonostante la repressione interna del regime di Al Sisi), Tunisia (dove la situazione rimane particolarmente tesa) e Nigeria (dove sono in atto almeno 4 conflitti interni). Il Ministro Marco Minniti è già volato in Tunisia, sarà poi a Malta per incontrare altri Capi di Stato africani, per incentivare tempi e modalità di tali accordi. Sono operativi i Memorandum di Intesa (MOU) con il Gambia e con il Sudan (paesi estremamente instabili) ma di fatto non saranno sufficienti per soddisfare la richiesta propagandistica di raddoppiare il numero di espulsioni effettivamente eseguite. I rimpatri costano, costano i vettori, il personale per i trasferimenti, ci sono le resistenze dei singoli Stati e quelle, a nostro avviso, più inoppugnabili, delle persone che dovrebbero essere rimpatriate in quanto “irregolari”. Molti e molte, in caso di rientro, rischiano la vita o quantomeno di subire quei trattamenti inumani e degradanti per cui l’Italia più di una volta si è trovata a dover rendere conto di fronte alla Corte Europea. A meno che non si decida di abolire i diritti alla difesa di chi si oppone al rimpatrio, non ci stupiremmo neanche di quello, il risutato di questo approccio securitario sarà soltanto quello di intasare i tribunali di provvedimenti di espulsione, le città di persone prive di diritti, le stesse autorità locali di compiti che non saranno in grado di gestire. E certamente questo favorirà ancora di più le pulsioni xenofobe già assai diffuse su tutto il territorio nazionale. Per garantire una “vera sicurezza” dovrebbe essere quindi la stessa UE a elaborare proposte ampie per la regolarizzazione permanente dei cittadini di paesi terzi, comunque presenti sul continente. Regolarizzazione e costruzione di convivenza sociale con l’impegno delle risorse necessarie, costituiscono il solo vero antidoto contro le tensioni sociali e politiche. 

 

4. Appare necessario conferire massimo impulso all’attività di rintraccio dei cittadini di Paesi terzi in posizione irregolare, in particolare attraverso una specifica attività di controllo delle diverse Forze di Polizia. Partono ( in realtà erano state soltanto meno frequenti) le retate, da effettuare stavolta sulla base di piani coordinati che dovrebbero vedere come protagonisti i Tavoli provinciali per l’ordine e la sicurezza attraverso cui si decentralizzerebbero i processi di individuazione delle persone da espellere. Saranno gli Uffici immigrazione delle Questure, già oberati di lavoro delle domande di asilo e dei rinnovi dei permessi di soggiorno, a dover far da cardine per dare l’avvio ai provvedimenti di espulsione: ma per il “controllo del territorio” si richiederà l’ausilio delle polizie locali e, laddove necessario, anche il rinforzo di unità specialistiche come previsto da una indicazione già data dal Ministero il 22 giugno 2011 con una comunicazione a quanto ci risulta mai resa pubblica. Del resto, ormai da anni, il materiale prodotto dal Viminale è ben poco trasparente tanto da arrivare raramente in Parlamento, soprattutto quando si tratta di immigrazione e asilo.

 

5. La Direzione Centrale per l’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere curerà il raccordo con gli Uffici Immigrazione delle Questure[…], con riguardo, in particolare, all’assegnazione dei posti nei Centri di Identificazione ed Espulsione (C.I.E.). A differenza di quanto scritto sui quotidiani e dichiarato tanto dal Ministro quanto da esponenti del governo, nella circolare non si fa riferimento né alla realizzazione di un CIE per regione o alla riapertura/ristrutturazione, di quelli già esistenti. Questa parte resta nell’elenco degli annunci che per ora restano solo e soltanto sulla carta e neanche delle circolari ministeriali rese note. E sulla carta, con 360 posti disponibili ad oggi in Italia nei CIE o si effettueranno espulsioni con una modifica sostanziale della normativa giuridica che tuteli gli stessi interessati e risulti più selettiva, nel rispetto delle direttive europee, o si tratterà dell’ennesimo boatos per parare le urla dei cosiddetti populisti.

 

6. Analogo raccordo, per i profili di rispettiva competenza, avranno cura di assicurare gli Uffici dipartimentali interessati […] che anche in ragione dell’eventuale numero degli stranieri rintracciati, può rivelarsi complesso e delicato sotto il profilo organizzativo e per i conseguenti riflessi sul piano dell’ordine e della sicurezza pubblica. Caricare Prefetture e Questure di un “intervento straordinario di controllo del territorio per rendere effettivi i rimpatri”, rischia di avere serie ricadute sull’ordine pubblico. Si capisce che l'”alto numero di stranieri rintracciati” che resteranno, come è ovvio che accada sul territorio nazionale e che non sono certo strumenti come il cd reato di clandestinità a fungere da deterrente o da soluzione. Proprio il reato di ingresso e soggiorno irregolare si è rivelato in taluni casi addirittura un ostacolo per rimpatriare persone.

 

In assenza di richiami a basi legali certe, si consolida l’impressione di una circolare ad uso e consumo elettorale, che suggerisce un indirizzo politico tale da rubare consensi alla destra con l’auspicata adozione di norme che il Parlamento non sembra in grado di approvare in tempi brevi. Col risultato di innescare processi che alla fine produrranno soltanto malessere sociale diffuso.

Viene da pensare, in conclusione, che si sta realizzando un circuito vizioso con il ritorno all’uso di vecchi e mai rimossi concetti che hanno fatto presa nella pubblica opinione, tanto da essere ormai condivisi dalla  maggioranza della popolazione e della sua rappresentanza politica. Pochi giorni fa, in occasione della presentazione del Rapporto della Carta di Roma, si diceva che la stampa aveva abbassato i toni allarmistici parlando di immigrazione ma che era invece cresciuto in maniera esponenziale l’hate speech dei social network, incontrollabile e non mediato da alcuna gestione definita. In realtà anni di allarme anti immmigrati – che i media mainstream hanno formato e costruito, coadiuvati da una politica  che da destra come da sinistra non ha osato porre paletti o proporre soluzioni concrete – hanno fatto si che questa carica di odio raccogliesse consensi sempre più ampi nel paese. Un odio ottuso, inutile e dannoso, frutto di frustrazioni, capace di far divenire “naturale e giusto” che chi non è in regola debba tornare al proprio paese senza neanche curarsi se la persona da cacciare abbia ancora o meno un paese in cui tornare e restare vivo. Quelli che oggi con maggiore ipocrisia si definiscono “irregolari” ma che di fatto ci servono e che chiamiamo così per non pronunciare le brutte parole di “clandestini” o “illegali”, rappresentano oggetti e non soggetti, vite di scarto che possono tranquillamente essere rimandate indietro come merce avariata. Per combattere davvero chi diffonde il terrore, bisogna dare altre risposte a coloro che provano, rabbia, rancore e risentimento, anche a causa delle nostre leggi e delle prassi applicate.