Si avvicinano ancora una volta, ineludibili, le festività natalizie, ed ognuno si accinge ad affrontarle come può e come sa.
Ognuno con il suo bagaglio di lutti e la sua scorta affetti, di posti vuoti alla tavola e di altri riempiti di fresco da nuove nascite, novelli amori ed inaspettate amicizie.
Ci sono luoghi e contesti, fisici oltreché dell’anima, in cui l’inevitabile nostalgia delle feste può dilatarsi fino a corrodere qualsiasi sentimento che non sia disperazione.
Penso agli ospedali, alle case di cura, ai centri di identificazione ed espulsione per migranti ed alle carceri.
Le infermiere e le dottoresse che abbiamo incontrato venerdì nel carcere di San Remo dove Nicola ed io eravamo in visita come osservatori dell’Associazione Antigone, lo sanno bene e provano a prepararsi per tempo a questa nuova ondata di rimpianti e malinconie che invaderà celle e pensieri nelle prossime settimane.
E così tentano, seppur in cronica carenza di personale, di intensificare controlli e visite perché “le feste intristiscono noi liberi, figuriamoci i ristretti, costretti a ripensare a tutto quello che hanno lasciato là fuori.” Ed infatti nella sezione degenza / infermeria dove sono rinchiusi i detenuti “problematici”, c’è anche chi ha intrapreso lo sciopero della fame da cinque giorni e chiede di parlare con uno psichiatra perché, ci rivela con lucida autodiagnosi, indicandosi la fronte con dita ossute e tremanti: “mi danno il metadone, ma il problema è nella mia testa, la dipendenza non è mai solo del corpo”.
La caposala lo sa, conosce le teste e i pensieri che le abitano e per questo non risparmia energie né lesina sorrisi. Ma i ristretti sono 240 (a fronte di una capienza regolamentare prevista per 214 persone) e lo psichiatra è uno solo, ed è già un passo avanti averne uno a disposizione per qualche ora, perché, per moltissimi mesi, si è dovuto fare senza e gli atti di autolesionismo si sono moltiplicati e aggravati nelle modalità e nelle conseguenze.
Iniziano le feste di Natale, la solare infermiera del carcere lo sa e per quanto in suo potere si prepara.
In tutt’altri uffici, altre divise, con altri ruoli, si accingono ad arginare, a modo loro, la furia del Natale.
Sono sindaci o questori di piccoli Comuni che, per nulla contagiati dallo spirito che dovrebbe essere, se non festoso, almeno misericordioso, delle festività natalizie, pensano per tempo come scacciare dalle proprie città illuminate e adornate a festa, i meno fortunati che in questi giorni, ingenuamente confidando in diffuso quanto temporale sentimento di generosità, ingoieranno orgoglio e insulti per tentare di spartire un po’ della fortuna della quale sono stati messi a margine o peggio banditi.
E così, mentre i volontari di sant’Egidio arruolano nuovi solidali per i loro leggendari pranzi natalizi offerti ai meno fortunati, alcuni primi cittadini si adoperano per reprimere, punire ed allontanare quegli stessi sventurati dai loro comuni.
C’è chi decide di multare anche i cittadini benevoli che l’elemosina non la chiedono ma la offrono, trasformando, con un’ordinanza, la carità da precetto morale a reato; c’è chi organizza ronde anti-mendicanti; chi infligge multe salatissime quanto inutili ai questuanti i quali, per pagare la sanzione non potranno che chiedere l’elemosina con maggior dedizione; c’è chi vorrebbe allontanare dal territorio, non solo comunale ma addirittura nazionale, tutti i mendicanti (dando per scontato che siano tutti stranieri o decidendo di condannare all’esilio pure i concittadini), per tutelare “il decoro urbano” e offrire “una percezione di sicurezza”; e, ancora, c’è chi notifica fogli di via ai volontari che offrono solidarietà ai profughi, accusandoli, testualmente, “di appartenere a quella categoria di persone che fanno dell’intolleranza nei confronti delle opinioni altrui il loro credo distintivo, ritenendo di essere legittimati a manifestare la propria (opinione ndr) al di fuori di qualsiasi regola costituzionale, legale o semplicemente morale, nell’evidente convinzione di essere legibus soluti per via dell’intrinseca bontà dei motivi posti a fondamento della loro lotta.”
Insomma, secondo costoro, bisogna bandire l’intrinseca bontà, la carità e qualsiasi forma di umana quanto costituzionale solidarietà, se si vuole vivere un Natale in tutta sicurezza.
A leggere questi atti delle nostre amministrazioni viene da pensare che sia un vero peccato che gli psichiatri a quanto pare scarseggino anche fuori dalle carceri, perché quantomeno sotto le feste, un pò di aiuto lo potrebbero certamente offrire.
Uscito Su La Repubblica (ed Genova) il 4 dicembre 2016
Al bando la carità e l’umana solidarietà. Il Natale sicuro delle Amministrazioni
Alessandra Ballerini*