Stefano Galieni
L’unico appiglio è legato alla possibilità che i sondaggi continuino a sbagliare. Altrimenti l’Europa ed il mondo che ci si prospettano nell’immediato futuro, fanno venire i brividi.
La vittoria del miliardario e razzista Donald Trump nelle elezioni presidenziali USA meriterebbe una analisi molto approfondita che andrà presto fatta. Ma alcuni spunti già non mancano. A chi addirittura strizza l’occhio dicendo che è un “voto anti sistema” e che la “classe operaia” lo ha votato, andrebbe ricordato come altri statisti nella storia hanno portato a destra, estrema destra, la rabbia sociale crescente con esiti drammatici. In USA si insedierà il 20 gennaio un commando suprematista bianco, festeggeranno i cappucci bianchi del Ku Klux Klan e per milioni di persone colpevoli di essere irregolarmente presenti in territorio statunitense, si apriranno due strade. O saranno utili per farsi sfruttare e poi gettare o, al primo segnale di insofferenza, verranno ricacciati nei paesi da cui provengono. Accade da tempo anche da noi in Europa ma non ci si fa sufficientemente caso. Certamente è presto per valutazioni più approfondite ma altrettanto sicuro è che ad avvantaggiarsi di tale spostamento a destra dell’asse politico mondiale saranno alcune fra le forze politiche peggiori presenti in Europa e che presto, molto presto scenderanno in campo. Si prospetta infatti un calendario elettorale fitto nell’anno che sta per arrivare, già nei giorni scorsi si è votato in Bulgaria e Moldavia, l’11 dicembre toccherà alla Romania dove per ora non sembrano emergere forze populiste e poi una sequenza da “montagne russe” in cui la stessa idea di Europa come la conosciamo, potrebbe subire colpi devastanti. L’elenco che segue potrebbe necessitare di aggiornamenti: difficile prevedere cosa accadrà in Italia dopo il 4 dicembre, difficile e instabile la situazione in molti paesi anche di rilievo come la Spagna e il Belgio. Ma intanto partiamo da date certe.
Austria: Il 4 dicembre (in concomitanza con il Referendum per la riforma della Costituzione italiana), ci sarà la replica del ballottaggio delle elezioni presidenziali in Austria, Dopo le ulteriori tensioni sul Brennero e la grande propaganda anti rifugiati è forte il rischio di vittoria per il candidato del Fpö, partito di estrema destra Norbert Hofer, sconfitto per poche migliaia di voti a maggio, nel turno poi annullato. Si ricorda che l’annullamento venne disposto in seguito a problemi insorti nel conteggio dei voti effettuati per posta. Il suo antagonista è Alexander Van der Bellen, candidato indipendente spalleggiato dai Verdi di cui era stato alla guida per anni. Dalla sua ha un passato da “rifugiato” dall’Estonia, ma nella politica economica è un liberale europeista che non nasconde la propria aderenza alla massoneria.
Olanda. Nei Paesi Bassi si voterà il 15 marzo
I sondaggi danno molto bene il Partito per la Libertà (PVV) di estrema destra, (originali nei nomi). Il suo leader Geert Wilders alleato in UE con il gruppo di Le Pen e Salvini, euroscettico, con posizioni di aperta ostilità agli immigrati, in particolare se musulmani ha negli ultimi mesi apparentemente stemperato le proprie posizioni anti UE. Inevitabile visto che l’Olanda senza il ruolo derivante dal porto di Rotterdam, luogo di transito per gran parte delle merci che circolano per mezza Europa, avrebbe fatica a mantenere la propria crescita, ma in compenso ha dato voce a chi rifiuta anche un rifugiato proveniente dai piani di relocation europei. In palio ci sono 150 seggi del parlamento, difficilmente il partito di Wilders potrà avere una maggioranza per governare da solo ma potrebbe divenire necessario e anzi avere un ruolo ancora determinante in un governo con i liberali. Nel 2010 il PVV aveva garantito l’appoggio esterno ad un governo di centro destra da cui si era sfilato nel 2012 portando il paese a elezioni anticipate nel 2012 che lo ha visto ridimensionarsi. Due anni dopo era accreditato nei sondaggi come trionfatore ma non supera il 13% dei consensi. Anche ora è dato in vantaggio e alcuni osservatori lo considerano, nonostante abbia subito perdite a destra, con la nascita di formazioni ancora più radicali, in grado di vedersi attribuiti più di 35 seggi su 150.
Comunque vada dalle elezioni olandesi dovrebbe uscire un parlamento frammentato in almeno 5 aree politiche che vanno dall’estrema destra alla sinistra. Difficile capire se ci saranno numeri e contenuti per una grosse koalition che, escludendo da una parte o dall’altra manterrebbe il paese in precarietà Da capire poi quanto inciderà, in un senso o nell’altro, il processo intentato da Wilders per incitamento all’odio razziale. Ne aumenterà i consensi o, in un paese in tema di diritti, profondamente libertario, contribuirà a renderlo impresentabile?
Francia. Le elezioni presidenziali si svolgeranno, come da sistema elettorale, in 2 turni, il primo il 23 aprile quello decisivo di ballottaggio, il 7 maggio. Nel sistema presidenziale transalpino al primo turno si presenteranno le diverse forze separate e la vittoria di Marine Le Pen sembra scontata come il crollo dei socialisti di Hollande. Il rischio concreto è quello del ripetersi di un evento già accaduto, il ballottaggio fra i Repubblicains di Alain Juppé, ex sindaco di Bordeaux e quelli del Front National di Marine Le Pen. Secondo i sondaggisti, i francesi non lascerebbero il paese alla destra ma….Nel 2002 la Francia, ma non l’Europa, si ritrovarono in uno scenario simile e le sinistre scelsero al secondo turno di appoggiare Francois Chirac per impedire ad un fascista di arrivare all’Eliseo. La figlia di Jean Marie, dopo aver svecchiato il partito da un po’ di paccottiglia antisemita (piano di dédiabolisation) si presenta come il “leader dei francesi”, inflessibile con l’UE matrigna, durissima contro il terrorismo e pronta a restringere ogni possibilità di accesso di immigrati, soprattutto musulmani, in territorio francese, dichiara in continuazione invece di considerare concittadini da sostenere tutti coloro che, indipendentemente dalla provenienza dei genitori, si riconoscono nel tricolore e nei “valori della Repubblica”. Il padre è stato addirittura cacciato dal partito per accentuare la distanza dal passato e presentare il Front National come un “partito per bene”, di ordine e pace per tutti. Un partito per cui non ci si debba vergognare di dare il proprio voto. E se, come pare il voto sarà molto diversificato nelle varie regioni, è la Francia più profonda che potrebbe portare una forza che nel suo Dna resta xenofoba e profondamente razzista, ai vertici di uno dei paesi fondamentali per l’equilibrio europeo. Marine Le Pen è stata fra le prime, senza troppo clamore, a congratularsi con Donald Trump.
Germania. La domanda che nelle Cancellerie di mezzo mondo si porranno quando Angela Merkel confermerà, a dicembre, di volersi ricandidare come leader del gruppo CDU/CSU, a guida del paese per la quarta volta, è molto semplice: con chi si potrà alleare per governare? Nella più stabilizzante delle ipotesi, si potrebbe ripresentare l’accordo con la SPD, i Socialdemocratici di Sigmar Gabriel, già ufficialmente candidato. Il leader del centro sinistra in salsa germanica ha visto il proprio partito patire gli effetti della grosse koalition, sta cercando di accreditarsi come oppositore della linea dell’austerity a tutti i costi (anche a costo di portare dal 3% al 3,5% il massimo di deficit consentito dai vincoli di bilancio) e anche di lanciare una proposta più dura di quella portata avanti da Angela Merkel in tema di accoglienza ai rifugiati. A detta dei sondaggi è la “troppa accoglienza” che sta facendo perdere consenso alla Cancelliera, peraltro soprattutto nei Land dell’Est meno interessati da tale questione. La paura di attentati e antichi pregiudizi, forse ad Est meno affrontati che ad Ovest come memoria storica, fomentano xenofobia e logica del rifiuto. In un contesto che è per certi versi paradossale. La Germania, violando a proprie spese il Regolamento Dublino, ha accolto quasi un milione di cittadini siriani. Molti di loro andranno ben presto a sostituire la manodopera autoctona che invecchia rapidamente (l’indice demografico tedesco è preoccupante), entro pochi anni serviranno almeno 5 milioni di cittadini giovani in grado di portare avanti la gigantesca macchina produttiva tedesca e quindi le associazioni degli imprenditori sono anche favorevoli ad almeno una parte degli arrivi. Il sottoproletariato, i pensionati, i lavoratori autoctoni che vedono ridursi il potere d’acquisto dei propri salari in virtù delle politiche di austerità europee e che debbono condividere un welfare che funziona abbastanza con i nuovi arrivati, sono facili prede delle forze populiste e xenofobe. Alternativa per la Germania, Afd, nata da poco, ha rapidamente sottratto consensi tanto alle forze che appoggiano la Cancelliera quanto all’estrema sinistra. Frauke. Petry. la loro leader, rappresenta per molti tedeschi il volto nuovo anche in chiave anti europeista, in tutti i Land in cui si è presentato questo partito ha facilmente superato la soglia di sbarramento (5%) e vanta percentuali a doppia cifra. Difficilmente, da qui a settembre. Gli equilibri potranno mutare tanto da portare al governo questo partito. Una parte consistente del paese lega tale forza a ombre nere del passato e questo potrebbe fungere da antidoto. Ma la signora Petry avrà certamente un peso importante e potrà permettersi anche il lusso di attendere che cadano i frutti di politiche economiche che cominciano a pesare anche sui tedeschi. Un primo segnale lo avremo presto, il 12 febbraio, quando si voterà per eleggere il presidente federale, una carica essenzialmente rappresentativa, ad oggi ricoperta da Joachim Gauck. Il suo posto dovrebbe essere preso dal candidato indicato dalla grande coalizione al governo, l’attuale ministro degli esteri, dell’SPD, Frank Walter Steinmeier
Repubblica Ceca Anche qui si tornerà alle urne ad ottobre 2017 per rinnovare i 200 membri della Camera dei Deputati. Ad oggi è difficile prevedere cosa accadrà a Praga. La piccola repubblica sembra orientata a velocizzare il proprio ingresso nell’UE ma non vuole l’euro come moneta, difficile dire come in quasi un anno potranno mutare i rapporti internazionali al punto da riorientare, come è accaduto a Bulgaria e Moldavia, verso l’orbita di Mosca o avvicinarsi all’Unione. Lo scontro sarà presumibilmente fra il Partito Socialdemocratico, filo UE e Akce Nespokojených Občanů, detto anche ANO 2011, o SI 2011, (Azione dei Cittadini Insoddisfatti). Fondato da un milionario, (Andrej Babiš) alle elezioni del 2013 questo partito ha ottenuto oltre il 18% dei voti e 47 deputati. Fa parte a livello UE dell’Alleanza dei democratici e liberali per l’Europa, quindi in economia con una posizione di centro destra ma con forti venature populiste. Ma almeno ad oggi, la Repubblica Ceca nonostante abbia firmato, prima con Ungheria e Slovacchia, poi con Romania, Bulgaria e Polonia, un accordo comune per rifiutare la ripartizione dei richiedenti asilo prevista dall’Agenda per l’immigrazione e dal Migration Compact, non sembra risucchiata totalmente nel vortice apertamente xenofobo. I richiedenti asilo presenti, per lo più ucraini, non destano ancora molta preoccupazione, ma basta poco a dare fiato a certe pulsioni. Di positivo c’è il fatto che i gruppi più apertamente razzisti continuano a frantumarsi, anche per scontri interni, e questo impedisce l’esistenza di soggetti politici forti che spostino a destra l’asse del paese.
In altri contesti le cose sono per ora apparentemente meno complesse. In Slovenia ci saranno in autunno le elezioni presidenziali, ad oggi sembra dover prevalere il candidato di centro sinistra Borut Pahor che verrebbe riconfermato in caso di vittoria, altrimenti potrebbe passare il potere ai liberali. Ma grandi cambiamenti non si profilano per quanto riguarda i richiedenti asilo, il rifiuto di accettare profughi e la minaccia di alzare muri sembrano non aver colore. Già nel 2015 l’Austria creò, in piena “rotta balcanica” una barriera con la Slovenia e da Lubiana risposero con prontezza, di volerne costruire uno con la Croazia. Come a dire che non c’è bisogno dei partiti apertamente xenofobi per alzare barriere.
Difficile anche la situazione in Irlanda dove c’è un governo di minoranza ed è possibile che, anche in conseguenza dell’“effetto brexit”, si debba andare entro il prossimo anno a nuove elezioni. Si profilano nell’ Isola Verde scenari inediti ma che non prevedono la nascita di forze di destra come in parte del continente ma una perdurante instabilità. Una instabilità con cui fa i conti anche la Spagna dove c’è di fatto un governo che si regge sull’astensione di una parte dei socialisti. Basta un nulla per far tornare il paese al voto e sarebbe la terza volta in un anno. Ma la Spagna sembra lontana dalle tematiche legate all’immigrazione.
E l’Italia? Da noi gli scenari si chiariranno dopo il referendum costituzionale e, in base ai risultati che ne scaturiranno, il sistema elettorale che verrà prodotto non potendo più votare col parzialmente incostituzionale “porcellum”. Una vera e propria palude in cui il presidente del consiglio, nonché segretario del maggior partito, un giorno assicura che si arriverà a fine legislatura (2018) e il giorno dopo dice che in caso di sconfitta non vorrà “farsi rosolare” o “galleggiare” con un governo tecnico. In caso di elezioni politiche – comunque durante l’anno si voterà in importanti capoluoghi di provincia e regioni – gran parte dello spazio politico sarà conteso da due forze politiche diverse ma egualmente populiste, Lega Nord e M5S. Il leader della prima mira a divenire il leader di tutta la destra italiana, i secondi, pur contando su un vasto consenso nel voto di protesta, si stanno dimostrando incapaci di amministrare in grandi realtà. Il Partito Democratico rischia di rompersi in caso di affermazione del No referendario e di divenire il Partito della Nazione in caso di prevalenza del Si. Scenari che muterebbero comunque il quadro politico. Nel frattempo leggi e pratiche amministrative rispetto a richiedenti asilo e migranti sembrano destinate a peggiorare indipendentemente da chi governa. La speranza è che comunque, il furore xenofobo e rabbioso di chi sta pagando duramente politiche economiche sbagliate, abbia già raggiunto il pieno dei consensi e che prevalga un semplice buon senso e che finalmente il grande malessere italiano, fatto di povertà, assenza di prospettive, emigrazione e forte disperazione sociale, trovi possibilmente in una versa sinistra un proprio sbocco positivo.
Conclusioni?
Il punto interrogativo non è un refuso ma parte da una provocazione. La storia non si ripete mai uguale a se stessa eppure ogni tanto, fermandosi a guardare come sta mutando il pianeta, non solo il continente europeo o il giardino di casa, sembra di vedere un film già visto. Un lento ma inesorabile scivolamento verso una Weimar mondiale. La differenza guardando i regimi e i governi odierni? Dopo Weimar crebbe lo spettro del nazionalsocialismo, oggi pensando ai Trump, ai Putin, agli Erdogan e ai tanti rappresentanti delle destre estreme che vedono crescere il proprio consenso, viene da pensare ad un nuovo orribile modello. E se fosse il nazionaliberismo?
Riflettiamoci in tempo