Catena di stragi nel Mediterraneo centrale mentre EUNAVFOR MED avvia la formazione della Guardia costiera libica. Che fine ha fatto Frontex ?

Fulvio Vassallo Paleologo

LibiaSecondo quanto testimoniano gli operatori umanitari presenti a Lampedusa, come si legge in un comunicato  odierno di Mediterranean Hope, “sono arrivati questa notte intorno all’una e un quarto i 29 sopravvissuti al naufragio avvenuto davanti le coste libiche. Da quanto ci risulta l’imbarcazione partita dalle vicinanze di Tripoli conteneva 140 persone, dovrebbero quindi essere 99 i dispersi e 12 i corpi recuperati senza vita. Sarebbero quindi almeno 111 le vittime di questa ennesima tragedia resa possibile da leggi che costringono le persone nella mani di trafficanti senza pietà. Le persone arrivate a Lampedusa sembrano provnienti in maggioranza della Guinea. Tra loro una, gravemente ustionata, è stata trasferita al poliambulatorio con urgenza. Molti altri faticavano a reggersi in piedi e tutti erano chiaramente scossi e traumatizzati. Ancora una volta a Lampedusa si contano i morti e si fa fatica a consolare chi sopravvive” . Secondo quanto poi dichiarato dai superstiti a detta dell’Unhcr, le vittime sarebbero oltre 200 in conseguenza di un secondo naufragio al quale sarebbero sopravvissute soltanto due donne. La notizia viene confermata dalla CBC.

Questa è solo l’ultima ( per ora) di una catena impressionante di stragi che si sta susseguendo negli ultimi giorni,  dopo che il 26 ottobre scorso è partita la formazione congiunta della Guardia costiera libica a bordo di alcune navi della missione europea EUNAVFOR MED, definita anche come Operazione Sophia, una attività di formazione che, secondo i vertici militari dell’operazione, dovrebbe servire ad evitare altre vittime nelle acque territoriali libiche che si vogliono affidare al controllo delle pattuglie imbarcati a bordo dei mezzi della sedicente “Guardia Costiera libica. Appare chiaro che ci vorranno mesi, se non anni, per dotare la Guardia costiera libica di mezzi e personale, e soprattutto di una cultura rispettosa dei diritti umani,  per garantire la ricerca ed il soccorso delle imbarcazioni in difficoltà, al di là di sporadiche operazioni di blocco di imbarcazioni in mare, prima che queste raggiungano le acque internazionali, con interventi violenti che, come si è già visto, possono produrre esiti tragici. Operazioni di blocco che, se condotte in collaborazione con le navi europee al limite delle acque internazionali,  potrebbero camuffare veri e propri respingimenti collettivi vietati dalle Convenzioni internazionali.

Già prima del 28 ottobre altre tragedie si erano verificate davanti alle coste libiche, con centinaia di morti, ed alcuni cadaveri si erano arenati sulle spiagge o si erano incagliati tra gli scogli. ”. Una zona di mare, quella antistante le città di Zuwara, Sabratha, Zawia e Tripoli, nella quale nelle ultime settimane si sono ripetuti gli attacchi alle navi umanitarie impegnate nelle operazioni di ricerca  e soccorso, come testimoniato dagli operatori umanitari di Sea Watch, che, dopo un intervento assai violento di una unità militare con le insegne della guardia costiera libica,  hanno dovuto assistere all’annegamento delle persone che stavano soccorrendo.

libia-2Adesso, la formazione congiunta di agenti della “Guardia Costiera libica”, in realtà provenienti dalla città di Misurata, a bordo delle navi europee, dovrebbe impedire proprio questo tipo di “incidenti”, ma non sembra certo in grado di garantire il rispetto dei diritti umani e della stessa vita delle persone che saranno soccorse dai libici nelle loro acque territoriali, se mai saranno soccorse prima di naufragare. La missione prioritaria di EUNAVFOR MED che non può ancora entrare in acque libiche, rimane la difesa dei confini esterni dell’Unione Europea, in acque internazionali,  né si vedono all’opera nuovi mezzi di Frontex, o della rinominata Frontex Plus, la nuova Guardia Costiera e di frontiera europea, che dovrebbero svolgere attività di ricerca e salvataggio anche in modo autonomo, come previsto dal Regolamento europeo n.656 del 2014 e dall’ultimo Regolamento dello scorso settembre che trasforma Frontex nella nuova Guardia costiera e di frontiera europea. Attività che allo stato rimarrebbero sempre circoscritte alle acque internazionali, mentre si sta lavorando per delegare ai libici gli interventi di controllo ( e di salvataggio) all’interno delle loro acque territoriali. Le immagini di morti nelle acque antistanti la Libia occidentale sono facilmente reperibili in rete e testimoniano la mancata capacità di intervento della Guardia costiera libica, che non ha peraltro mezzi adeguati per intervenire ed è stata spesso sospettata di collusioni con le organizzazioni dei trafficanti, soprattutto davanti  Zawia. In realtà sembrerebbe che ciascuna milizia che controlla una città abbia una sua “Guardia Costiera”, seppure formalmente tutte si denominino “Guardia Costiera libica”.

Altrettanto carico di conseguenze mortali si è rivelata la scelta di ritirare la maggior parte delle navi della missione europea TRITON dell’Agenzia FRONTEX, o di posizionarle ben distanti dalla costa libica, in modo da renderle irraggiungibili per i gommoni che usano i trafficanti, mezzi cinesi di pessima qualità, che a stento arrivano, quando il mare lo permette, nelle acque internazionali, oltre 12 miglia dalla costa, dove possono avere qualche speranza di essere soccorsi.  L’intento di affidare alle navi commerciali in transito nelle acque a nord della costa libica funzioni di soccorso, al di là di interventi di emergenza, se diventa una scelta politica generale, come si è verificato già nel 2015, dopo la fine dell’Operazione Mare Nostrum, non può che avere conseguenze mortali.

La Libia, ammesso che di un unico stato libico si possa parlare ancora oggi, non aderisce alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati nè garantisce l’effettiva attuazione delle obbligazioni di ricerca e  soccorso derivanti dalle Convenzioni internazionali di diritto del mare. Per questa ragione prima di fare accordi con le autorità libiche, occorre garantire che i porti di sbarco libici si possano qualificare come “ Place of safety” per chi viene soccorso, come prescritto dalle Convenzioni internazionali, e che nelle acque territoriali libiche ci sia da parte di una qualche autorità statale un effettivo impegno per soccorrere vite umane. L’attuale situazione militare nelle città costiere della Libia, confermata da numerose testimonianze raccolte anche dai migranti, come anche  dalle penose condizioni fisiche nelle quali arrivano, quando arrivano vivi, impedisce di ritenere quei porti come luoghi di sbarco sicuro per chi viene soccorso in mare, sia pure in acque territoriali libiche.

L’impegno eroico della Guardia Costiera italiana e delle navi umanitarie non basta piu’, soprattutto perche’ si affida gia’ adesso ai libici l’attivita’ di ricerca e salvataggio nelle loro acque territoriali. Fino a 12 miglia dalla costa. Per chi fa naugragio prima di raggiungere le acque internazionali non c’e’ scampo. Come non c’e’ scampo per chi viene ripreso dai libici e riportato a terra dove viene immediatamente internato in un centro di detenzione come “migrante illegale”. La Libia non aderisce alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati e non garantisce il rispetto delle Convenzioni internazionali sul soccorso in mare,eppure si ritiene di poter delegare alla “Guardia Costiera libica” le attivita’ di Search and Rescue. Come se bastassero qualche corso di formazione e un paio di conferenze stampa per garantire il rispetto dei diritti umani delle persone costrette ad affidarsi a trafficanti senza scrupoli dalla mancanza di canali legali di ingresso protetto in Europa.

Le conferenze stampa sui risultati che si attendono dalla formazione della Guardia costiera libica, ammesso che nelle prossime settimane si possa continuare a parlare della Libia come di una entità statale unitaria, e dunque di una sua “Guardia costiera”, non possono nascondere la cruda realtà dei fatti che va ben oltre le cifre dei morti e dei dispersi ( troppo spesso occultati), cifre pure drammatiche, ma che non possono nascondere il peso della perdita della vita di persone in carne ed ossa, con una storia, con famiglie che aspettano e con tanto dolore che rimane tra chi sopravvive.

Senza l’apertura di canali umanitari o di vie d’ingresso legali in Europa attraverso la concessione di visti da parte dei consolati e delle ambasciate, trafficanti e scafisti resteranno l’unica possibilità di accesso in Europa con un ulteriore aumento delle vittime in mare. Non sembra affatto scontato che la formazione  di agenti di una guardia costiera o di frontiera libica possa garantire un effettivo controllo della frontiere libiche, un contenimento degli arrivi dei migranti in Europa, o maggiore sicurezza all’interno dello spazio Schengen.  E le vite umane dei migranti costretti alla fuga dalla situazione del loro paese, ma anche dal conflitto nel quale sta precipitando la Libia,  saranno sempre più a rischio.