L’operazione EUNAVFOR MED (Operazione Sophia) e la nuova Guardia di frontiera e costiera europea di fronte al collasso della Libia

Fulvio Vassallo Paleologo

Africa.-Mappa-politica1-900x845Dal mese di settembre del 2015 l’operazione Eunavfor Med (European Navy For(ce) Mediterranean) veniva lanciata dall’Unione Europea con il proposito di contrastare l’immigrazione irregolare e di stabilire rapporti di collaborazione con le guardie costiere dei paesi africani di transito nei quali si snodava il cd. Corridoio del Mediterraneo centrale, la via di fuga dei migranti più pericolosa al mondo, nella quale, dopo la fine dell’operazione Mare Nostrum, cresceva in modo esponenziale il numero dei morti e dei dispersi.  L’operazione, poi ridefinita Operazione Sophia, dal nome di una bambina nata durante una delle missioni di soccorso, doveva articolarsi in tre fasi, le prime due in acque internazionali, prima con l’avvio di operazioni di intelligence e di scambio di informazioni (fase uno) e poi con l’intervento diretto sui mezzi utilizzati per il trasporto dei migranti, con il loro intercettamento, e quindi la loro distruzione (naturalmente dopo il trasbordo dei naufraghi). Nella terza fase, che si sarebbe dovuto avviare entro la fine del 2015, si pensava ad un intervento nelle acque territoriali libiche ( fase tre), dunque al di sotto delle 12 miglia dalla costa, sempre al fine di intercettare e distruggere le imbarcazioni usate per il trasporto dei migranti fatti partire dalle coste di Zuwara, Zawia, Garabouli e Sabratha, con operazioni coordinate da parte dei trafficanti e dei miliziani, che si alternavano a periodi di pausa nelle partenze, in modo da concentrare in pochi giorni la partenza di decine di gommoni, tanto da rendere più difficile il blocco o il rinvio di questi mezzi verso la costa.  Questa terza fase non si è mai realizzata perché avrebbe richiesto il consenso delle autorità libiche, mai pervenuto, o una decisione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, a lungo sollecitata dal Commissario alle relazioni esterne dell’Unione Europea, Federica Mogherini, ma non ancora adottata.

Le diverse autorità libiche intanto ricostituivano, con mezzi  alquanto improvvisati, e talvolta ben poco riconoscibili, una sorta di Guardia Costiera che riusciva a bloccare alcune centinaia di migranti al mese, al momento dell’imbarco o in prossimità delle spiagge, prima che potessero intervenire le navi umanitarie e i mezzi della Guardia Costiera italiana, presenti tra le 12 e le 24 miglia dalla costa. Dopo la riduzione ed il ritiro dei mezzi coordinati dall’Agenzia europea Frontex la maggior parte dei soccorsi operati in prossimità delle acque libiche veniva svolta come attività SAR (Search and rescue) dalle navi delle organizzazioni umanitarie MOAS, in collegamento con la Croce Rossa, MSF, SOS Mediterranèe, Sea Eye e Sea Watch, e da ultimo anche di Save The Children, con il coordinamento della Guardia costiera e della Marina militare italiana.

Il 14 settembre 2016 veniva approvato in via definitiva il Regolamento europeo 2016/1624 riguardante la Guardia di frontiera e costiera europea allo scopo di garantire un monitoraggio ed una sorveglianza più efficace alle frontiere esterne e nel Mediterraneo.

Tutto l’impianto della nuova normativa appare orientato alla predisposizione di interventi rapidi alle frontiere esterne, stabiliti sulla base di programmi di interventi elaborati all’interno dell’agenzia e deliberati dal suo Direttore, e di contrasto dell’immigrazione irregolare, attraverso accordi con le autorità dei paesi di origine o di transito, anche in vista di una possibile collaborazione nelle attività di soccorso in mare e di riammissione o di respingimento verso i porti di partenza. Lo stesso regolamento costituisce un fondamento legislativo essenziale, che finora era mancato, per le politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera che sino a questo momento erano rimaste frutto di accordi di polizia o Memorandum d’intesa (MoU) privi di una base legale, tanto sul piano internazionale che nel diritto interno. Si tratta in sostanza di una espansione delle attività dell’Agenzia Frontex e di una sua maggiore autonomia alle frontiere esterne e nello stabilire rapporti diretti con le autorità di polizia dei paesi terzi, anche in vista di possibili operazioni di rimpatrio o di respingimento.

La parte più consistente del nuovo Regolamento che istituisce la nuova Guardia di frontiera europea riguarda il rimpatrio (return) dei migranti giunti irregolarmente in Europa o la loro riammissione nei paesi terzi di transito, in virtù dei nuovi accordi che consentono tali operazioni in forza di un consistente contributo economico europeo, sotto forma di cooperazione allo sviluppo. Nella parte in cui si definiscono i compiti della nuova Guardia costiera europea si fa anche un espersso riferimento ai doveri di salvataggio ma non si riscontra una chiara indicazione sulla possibilità (o sul dovere) di sbarco dei naufraghi  in un porto sicuro (place of safety).

libia-2L’art. 4 del nuovo Regolamento richiama espressamente gli obblighi di ricerca e salvataggio sanciti dal Regolamento 2014/656/UE.  Si ribadisce soltanto quanto già imposto dalle Convenzioni internazionali di diritto del mare in base alle quali una volta che venga dichiarato dalle autorità nazionali un evento SAR tutti i mezzi civili e militari che si trovano nella zona possono essere chiamate ad intervenire dalle stesse autorità nazionali che coordinano gli interventi di soccorso, in Italia dal Comando centrale del Corpo delle Capitanerie di Porto, per soccorrere i naufraghi.

In base all’art. 34 del nuovo Regolamento “la guardia di frontiera e costiera europea garantisce la tutela dei diritti fondamentali nell’esecuzione dei suoi compiti a norma del presente regolamento in conformità del pertinente diritto dell’Unione, in particolare la Carta, il diritto internazionale pertinente, compresi la convenzione del 1951 relativa allo status di rifugiati e il suo protocollo del 1967, così come degli obblighi inerenti all’accesso alla protezione internazionale, in particolare il principio di non respingimento”…”Nell’esecuzione dei suoi compiti, la guardia di frontiera e costiera europea provvede affinché nessuno sia sbarcato, obbligato a entrare o condotto in un paese, o altrimenti consegnato o riconsegnato alle autorità dello stesso, in violazione del principio di non respingimento, o in un paese nel quale sussista un rischio di espulsione o di rimpatrio verso un altro paese in violazione di detto principio.

Il nuovo Regolamento sulla Guardia di frontiera e costiera europea non menziona espressamente un legame tra questa questa “Guardia”, che di fatto è un potenziamento dell’Agenzia Frontex della quale mantiene a personalità giuridica,  con l’operazione di contrasto dell’immigrazione irregolare denominata EUNAVFOR MED (Operazione Sophia), che non ha una propria autonoma personalità giuridica ma è soltanto frutto di una decisione del Consiglio UE e della collaborazione di alcuni paesi che hanno messo a disposizione uomini e navi. Una omissione che lascia in ombra, e privi di base legale, gli accordi che nei mesi scorsi i vertici di questa operazione hanno concluso con le autorità libiche che fanno riferimento al Governo di unità nazionale, con sede a Tripoli, ed alle forze navali che questo controlla.

Nel mese di agosto di quest’anno si è diffusa la notizia ufficiale della conclusione di un Memoriale di intesa (MOU) tra EUNAVFOR MED ed i vertici della Guardia Costiera libica. Si tratta di un corpo militare molto eterogeneo che rispondeva fino ad oggi ai comandi del governo Serraj, insediato a Tripoli dalle Nazioni Unite, un governo che il parlamento di Tobruk ed il generale Haftar (sostenuto dagli egiziani) non hanno mai riconosciuto. Il programma vedrà attivamente coinvolti numerosi altri organismi quali EUBAM Libia (EU Border Assistance Mission in Libya), l’agenzia europea Frontex e le Nazioni Unite.

A fronte della situazione di conflitto armato che si sta aggravando giorno dopo giorno attorno ai porti ed ai terminali petroliferi, e più recentemente nella stessa capitale Tripoli, rimane da chiedersi oggi quale sarà la portata effettiva della collaborazione che la cd. Guardia Costiera libica potrà garantire alle diverse navi europee impegnate in operazioni di ricerca e salvataggio. Rimane invece certo il destino delle persone che dopo essere state “soccorse” dai mezzi libici in acque territoriali, o in zona contigua, entro le 24 miglia dalla costa, saranno riportate a terra e internate nei tanti centri di trattenimento che esistono da anni in Libia. Luoghi nei quali si verificano abusi di ogni sorta, come documentato da testimonianze univoche ed inoppugnabili di tanti migranti che sono riusciti a fuggire, e hanno comunque raggiunto l’Italia.

Dai contenuti pubblicati di questo ennesimo Memorandum d’intesa emerge come, con i finanziamenti dell’Unione Europea, si passerà presto dall’addestramento delle Guardie di frontiera e della Guardia costiera “libica”, e quindi ad intese operative. Eppure lo stesso capo del governo libico Serraj ha escluso la possibilità di riprendere sul proprio territorio migranti libici respinti o espulsi dalle polizie europee. La Libia non aderisce alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati, né può ritenersi “paese terzo sicuro”, nel quale sbarcare naufraghi dopo il soccorso in mare.  Il vero problema è costituito dalla circostanza che molti gommoni fanno naufragio entro le 12 miglia dalla costa, zona nella quale i libici rivendicano la propria sovranità, trattandosi di acque territoriali, e mancano protocolli immediataente operativi per garantire alvataggi tempestivi e dare sicurezza ai sopravvissuti ed ai soccorritori. In definitiva chi viene soccorso entro le 12 miglia dalla costa libica rischia di essere ripreso dalle autorità militari di quel paese, ammesso che si possa ancora di uno stato, e riportato a terra per essere rinchiuso in un centro di detenzione, unica alternativa in molti casi al naufragio.

LibiaSi poteva pensare che l’aggravarsi della crisi libica, la fuga del capo di governo Serraj, riconosciuto dalla comunità internazionale, in Tunisia, l’entrata in vigore del Regolamento che prevede la nuova Guardia di frontiera e costiera europea, rallentassero i contatti tra Eunavfor Med e le traballanti autorità libiche riconosciute dai governi occidentali, al fine di predisporre le fasi iniziali di collaborazione attraverso corsi di formazione della Guardia costera libica. Così non è stato, e proprio nei giorni in cui a Tripoli viene messa in discussione l’autorità del governo Serraj, a Tunisi i rappresentanti dell’Operazione Eunavfor Med trattano con lo stesso governo per l’avvio di una prima fase di formazione per i militari libici a bordo delle unità militari italiane.

Una collaborazione che, al di là di corsi di formazione delle guardie di frontiera libiche, già avviati peraltro da anni, non sembra offrire prospettive, nè sul piano di una maggiore deterrenza rispetto alle partenze dalla Libia, né tanto meno nella direzione di una maggiore salvaguardia della vita umana in mare. L’esperienza disastrosa della fase attuativa del Trattato di amicizia tra Berlusconi e Gheddafi, sulla scorta dei Protocolli operativi firmati nel dicembre del 2007, dunque con il governo Prodi, che nel 2012 ha portato ad una condanna dell’Italia da parte della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, sul caso Hirsi Jamaa, è stata dimenticata troppo frettolosamente. Ed oggi occorre ancora dimostrare con quale governo libico convenga andare a trattare. Come al solito, le notizie dalla Libia arrivano soltanto dall’estero.

Tripli, 18.10.2016(Lana) A broad meeting was convened by Adhoc committee on follow up of MoU between EU’s Sofia forces and Libyan Navy. The MoU designed to fight illegal immigration and held a meeting last week in Tunis to discuss mechanisms and guidelines to start training of Libyan coast guard and navy to fight illegal immigration. Libyan Navy spokesman, Brig. Ayub Qassem told Lana that the meeting confirmed that the training programme will be launched on 24 of this month. The trainees will embark from Misrata port and the training will include over 80 trainees besides supervisors from various specialties. He also said the training will last for 14 weeks on board an Italian training ship, Saint Giorgio. He also said the head of the EU team of experts has praised work of the Libyan navy describing it as prominent and wonderful in an email to the Libyan navy.

Si può ipotizzare che gli incontri di Tunisi, come le trattative già concluse tra Italia e Tunisia, servano soprattutto a creare un maggiore coordinamento integrato tra le guardie costiere italiana, libica  e tunisina, probabilmente in vista di nuove basi di controllo e di raccolta degli immigrati che dalla Libia, nel caso sempre più probabile della deflagrazione del conflitto interno, dovesseo attraversare la frontera di Ras Jedir e spostarsi in territorio tunisino.

Una prospettiva simile a quella già sperimentata nel 2011, quando l’unica risposta della comunità internazionale all’esodo di profughi dalla Libia fu costituita dalla creazione, in collaborazione con l’UNHCR di un campo di raccolta a Choucha, proprio in prossimità del confine. Un’esperienza disastrosa nella quale neppure i migranti riconosciuti come rifugiati dalle Nazioni Unire riuscirono ad ottenere uno status legale in Tunisia o ad accedere in Europa attraverso operazioni di resttlement, annunciate anche in quell’occasione, ma di fatto limitate a poche migliaia di persone.

In questi giorni di avvitamento della crisi libica, e di violenze crescenti che subisce la popolazione civile, compresi i migranti in transito, nessuno pensa di comporre sul piano diplomatico un conflitto che è alimentato da interessi commerciali sempre più forti, e nel quale si sta permettendo all’Egitto di Al Sissi di giocare un ruolo centrale. Con l’Egitto, paese con cui l’Unione Europea sta concludendo ulteriori accordi per il contrasto dell’immigrazione “illegale”.

Se la prospettiva che si sta accogliendo è quella della spartizione della Libia, al di là delle conseguenze imprevedibili derivanti dalla presenza di Daesh in territori che, al centro delle contese, diventano terra di nessuno, non si potrà certo pensare di arginare con operazioni militari in mare, ma anche a terra, un numero crescente di migranti forzati, e tra questi anche di molti libici. La stessa previsione di accordi di riammissione tra la Libia (o quello che ne rimarrà) ed i paesi terzi che si trovano al suo confine meridionale, come il Sudan ed il Niger, appare poco praticabile su vasta scala, quale che sia il contributo economico che l’Unione Europea sembra pronta a pagare, sul modello degli accordi già stipulati con la Turchia di Erdogan.

Le conclusioni del recente Vertice di Bratislava confermano la chiusura rispetto all’ingresso di potenziali richiedenti asilo in Europa. Anche se nella Roadmap ipotizzata per i prossimi mesi sembra accentuato l’investimento sui sistemi di controllo alle frontiere orientali, piuttosto che un maggiore impegno di rontex o di Eunavfor Med in Mediterraneo. L’unica prospettiva che a Bruxelles, e nelle capitali europee, si accantona è quella della creazione di canali umanitari e di vie di ingresso legale e protetto, tramite la concessione di visti di ingresso per motivi umanitari da parte delle ambasciate e dei consolati dei paesi occidentali, e non solo europei. Una prospettiva che potrebbe salvare migliaia di vite umane altrimenti condannate dalle attuali politiche europee a morire in mare o a marcire nei lager libici.