Fulvio Vassallo Paleologo
Le commemorazioni per la strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013, dopo la rimozione dell’altra strage dell’11 ottobre dello stesso anno, a sud di Malta, doveva costituire una dimostrazione dell’attenzione delle istituzioni e degli uomini di governo verso i diritti dei migranti, calpestati tutti i giorni, a partire dal diritto alla vita. Negli stessi giorni però, decine di morti davanti alle coste libiche, ed una impennata delle partenze dalla Libia, hanno confermato come sia davvero “tre ottobre” tutti i giorni.
Si concludono protocolli d’intesa per aumentare il cd. contrasto dell’immigrazione “illegale”, o per formare le guardie costiere e renderle più efficaci nelle attività di intercettamento, ma non si riesce a chiudere un solo accordo operativo per garantire coordinamento tra i diversi stati responsabili delle zone confinanti, per il soccorso in mare (zone SAR- Search and Rescue). Al massimo, si pensa di delegare i soccorsi alle navi delle organizzazioni umanitarie che operano in quello che è diventato il mare di tutti e di nessuno. Ma le navi umanitarie non possono riuscire ad evitare che le stragi si ripetano, sono state abbandonate dai mezzi europei, e lo sforzo di supporto della Marina e della Guardia costiera italiana non sempre riesce a fare miracoli. Per questo è meglio censurare le notizie sulle vittime dell’immigrazione. Anche davanti alle coste egiziane, dove si è nascosta una strage, avvenuta il 21 settembre, vicino Alessandria d’Egitto, con centinaia di morti e dispersi
Trentuno cadaveri recuperati soltanto ieri, nei soccorsi coordinati dalla Guardia Costiera italiana, di fronte le spiagge tra Zuwara e Sabratha, altre persone, in numero imprecisato, disperse, delle quali non si vuole ammettere l’esistenza, altre ancora soccorse dalla cd. Guardia Costiera libica e riportate a terra nei centri di detenzione. Le responsabilità di queste stragi non sono certo da imputarsi soltanto alla efferatezza delle organizzazioni criminali, che sono invece agevolate proprio dalle politiche proibizioniste e dal rifiuto di aprire canali umanitari per l’ingresso legale e protetto. Le immagini sono più eloquenti dei comunicati ufficiali filtrati per la stampa.
Dopo i solenni impegni presi dai vertici delle istituzioni europee giunti a Lampedusa e inchinati davanti alle centinaia di bare raccolte nell’hangar dell’aeroporto, il numero delle vittime dei viaggi della disperazione, indotti dal progressivo sbarramento di tutte le vie di ingresso legale in Europa, è aumentato in modo esponenziale: dal 3 ottobre 2013 ad oggi oltre 11.000 persone, uomini, donne, bambini, hanno perso la vita nelle acque del Mediterraneo, mentre da Bruxelles si rinforzavano soltanto le missioni militari di Frontex ed Eunavfor Med, per contrastare quella che si definisce come immigrazione “illegale”, anche quando si tratta nei fatti di vere e proprie “migrazioni forzate”.
A partire dalla strage del 18 aprile 2015, la strage più grande del Mediterraneo, l’impegno dell’Unione Europea e del governo italiano si è concentrato sugli accordi con i paesi terzi al fine di esternalizzare i controlli di frontiera e di delegare a questi paesi il compito di arrestare, detenere e rimpatriare i migranti, prima che potessero raggiungere l’Europa. Malgrado il fallimento del Vertice de La Valletta a Malta, nel novembre dello scorso anno, il Processo di Khartoum, fortemente sostenuto dal governo Renzi è andato avanti, dopo gli accordi con il Sudan sembrano adesso in vista altri accordi di rimpatrio con il Gambia, e sul modello degli accordi tra Unione Europea e Turchia si sono attivati canali di cooperazione di polizia con i governi dittatoriali di molti paesi africani, come il Sudan, sempre al fine di rendere “effettive” le operazioni di rimpatrio forzato e di bloccare in qualche modo le partenze, grazie anche all’invio di agenti di collegamento.
Per quelli che comunque riescono ad arrivare si sono alzati i muri alle frontiere italiane con la Francia, la Svizzera e l’Austria, e lo stesso si è fatto sigillando il confine greco e consentendo a Serbia, Bulgaria ed Ungheria di sbarrare le proprie frontiere anche di fronte ai richiedenti asilo ed ai minori non accompagnati. Al fido alleato Erdogan si è persino concesso di aprire il fuoco sulle migliaia di profughi siriani che si accalcavano al confine con la Turchia. L’Unione Europea ha dichiarato guerra ai migranti, una guerra che sta facendo prigionieri e morti.
Un progetto aggressivo di stampo militare, che cancella i diritti umani sanciti dalle Convenzioni internazionali e dalle Costituzioni nazionali dei paesi democratici, un progetto che per realizzarsi compiutamente comprende anche la strumentalizzazione dell’umanitarismo. Con uno stravolgimento della cooperazione internazionale, piegata a logiche di condizionalità migratoria, e una sostanziale subordinazione delle organizzazioni non governative alle quali si delegano oggi le missioni di soccorso nelle acque più pericolose, vicino alla Libia, paese diviso in preda ad un conflitto che si cerca di nascondere con ogni mezzo.
Non possiamo attenderci che questi governanti europei cambino nel breve periodo queste politiche di morte e di sbarramento di qualunque via di ingresso legale. Tutte le proposte avanzate dalla società civile, in passato, e poi a partire dalle stragi di Lampedusa, e di Malta, nel 2013, sono stati respinte. Quando a Bruxelles si è arrivati a decidere operazioni di resettlement di profughi da paesi terzi o di relocation in Europa le buone intenzioni sono rimaste sulla carta. L’Agenda Europea sulle migrazioni adottata nel mese di maggio del 2015 è sostanzialmente fallita, ed ai governi europei non è rimasto altro che affidarsi alla mediazione ed alla capacità di controllo poliziesco della Turchia di Erdogan, dell’Egitto di Al Sisi, del Sudan di Bashir.
In qualche caso si è data totale autonomia ai corpi militari, persino nella gestione delle relazioni esterne dell’Unione Europea.
Ormai è chiaro che non è più in discussione la questione delle migrazioni, o la profilazione dei richiedenti asilo, da distinguere dai cd. migranti economici, che dovrebbero essere respinti senza alcuna formalità. E’ in discussione la democrazia e la pace in Europa e nelle sue relazioni esterne. E’ una battaglia di libertà che si potrà combattere soltanto senza distinguere più tra “noi” e “loro”. Siamo tutti a rischio. Occorre cogliere la dimensione globale degli attacchi ai diritti di libertà che si sostanzia anche nei cadaveri ammassati nei gommoni soccorsi al largo delle coste libiche, ma che si riscontra anche nei tanti luoghi di esclusione e ghettizzazione nei quali è rinchiuso chi è arrivato. Esclusione e ghettizzazione che si sta estendendo a settori sempre più ampi della popolazione residente, a gran parte dei giovani, che stanno perdendo i diritti sociali conquistati con anni di lotta delle generazioni precedenti.
Il controllo delle frontiere e la limitazione della libertà di circolazione è un elemento strutturale del neoliberismo che si sta imponendo in tutto il mondo. I muri di confine, le motovedette in mare, le guardie di frontiera sono attori dello stesso processo di subordinazione della persona umana alle esigenze del capitale finanziario. Come la devastazione ambientali ed il furto delle risorse, che sono alla radice, insieme alla corruzione che le accompagna, della maggior parte dei movimenti migratori forzati.
O si è capaci di cogliere queste connessioni, magari comprendere che la lotta dei migranti per la sopravvivenza è la nostra stessa lotta per una convivenza possibile e dignitosa , per rapporti economici sostenibili, per la difesa di diritti e spazi sociali, con uno sforzo gigantesco di controinformazione e di aggregazione , in una direzione politica realmente alternativa, oppure, se si continuerà soltanto a trattare dell’immigrazione e dell’asilo come settori separati dal resto della società, si potranno soltanto contare altri morti.
Non basta partecipare alle commemorazioni senza neppure denunciare gli abusi all’interno dei centri Hotspot, come a Lampedusa, dove i minori vengono trattenuti oltre ogni limite di legge. Senza evidenziare l’involuzione antidemocratica che li sottende, strettamente legata al diffondersi del populismo nazionalista, non si potranno neppure denunciare gli accordi bilaterali che producono stragi, e la negazione reiterata dei diritti fondamentali, che dovrebbero spettare ad ogni persona umana in quanto tale.