È solo una pennellata sommaria di quello che succede in Africa, continente disseminato di profughi, mentre l’Europa urla all’invasione per numeri decisamente più ridotti (e in parte composti proprio da esuli africani). Per Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni), l’87% dei 60 milioni di rifugiati globali – la metà sono minori – sono nel Sud del mondo, 15 milioni solo in Africa. In Europa, picco 2015, ne sono arrivati appena 1 milione. Più siriani che in Europa Lontano dagli occhi, lontano dal cuore, l’Africa è un continente dove abbondano materiali preziosi, terre fertili, immensa povertà e campi per profughi che scappano di paese in paese, uno più instabile e pericoloso dell’altro.
L’Africa è un bellissimo continente ricco di culture, lingue, popoli. E purtroppo guerre che li distruggono. Eppure accoglie più siriani di quanto non faccia il vecchio continente (solo il 15% dei 6 milioni che si calcola abbiano lasciato il paese in guerra ha raggiunto l’Europa, mentre in Egitto, Algeria e Mauritania ce ne sono centinaia di migliaia per paese). Anche chi riesce a scappare dalla guerra in Yemen lo fa principalmente verso l’Africa: solo in Somalia, dove c’è un altro tragico conflitto da 25 anni, si calcola siano arrivati almeno 40 mila yemeniti. Lo Yemen a sua volta ospita da decenni almeno 2 milioni di profughi tra cui proprio i somali, oltre ad eritrei, etiopi, siriani: incredibilmente nel 2015, a guerra in corso, vi sono arrivati via mare quasi 100 mila immigrati (lo Yemen è l’unico paese della penisola arabica ad aver firmato la Convenzione delle Nazioni Unite per i rifugiati e di conseguenza a prestare aiuto ai richiedenti protezione umanitaria).
Tornando in Africa, in Zambia ad aprile è esplosa un’ondata xenofoba, in particolare nella capitale Lusaka e dintorni, dove si trovano profughi, rifugiati, immigrati. Intanto la Repubblica Centrafricana, sconquassata dall’instabilità politica, deve gestire circa un milione di dislocati interni. Sovraffollamento raro a vedersi Alta natalità, basse aspettative di vita, infezioni, malattie, scarsa istruzione, violenza sessuale: nei campi profughi africani si vive e si muore né meglio né peggio che negli angoli di inferno dai quali si fugge. In Sud Sudan ci sono oltre due milioni di profughi interni, i cosiddetti Internal displaced persons: «Persone che i soldi per muoversi non li hanno proprio e che mai arriveranno in Italia o in Europa, ma saranno sempre a rischio di carneficine, stragi, strupri, cannibalismo», racconta un cooperante. Parla di un paese bellissimo, attraversato dal Nilo, con una terra fertile che potrebbe sfamare tutta la popolazione e oltre, eppure in una delle condizioni di povertà più estreme del pianeta. E che accoglie 700 mila etiopi, mentre i suoi cittadini fuggono: quelli verso l’Uganda sono aumentati da 63 al giorno nel 2015 ai 200 attuali. A fine marzo, intanto, Pam (Programma alimentare mondiale) e Unchr denunciavano la profonda crisi umanitaria nei campi del Burkina Faso: carenza di cibo, acqua, medicine, di cui per un giorno hanno scritto alcune righe anche i giornali italiani. A rischio sono soprattutto i 33 mila malawiani, che però si rifiutano di tornare nel proprio paese, dove peraltro soffrono di condizioni drammatiche i mozambicani ospitati nel campo di Kapise, in «una situazione di sovraffollamento raro a vedersi», dicono i rapporti di Medicine Sans Frontieres. Il Kenya rimane a ragione méta ambita dai turisti.
Ma fuori dai suoi paradisi naturalistici a gennaio morivano di colera dieci profughi somali nel campo di Dadaab (350 mila residenti, costruito nel 1991 e fino all’anno scorso considerato il più grande del mondo). A maggio, nonostante gli appelli dell’Onu e delle associazioni umanitarie, il governo di Nairobi ha confermato l’intenzione di chiudere tutti i campi profughi, considerati covo di terroristi di Al-Shabab: decisione che metterà a serio rischio oltre 600 mila persone, molte delle quali nate e cresciute lì dentro. Dove andranno? Non è difficile prevedere, per alcuni, la traversata verso l’Europa. In Tanzania, i profughi del Burundi hanno raccontato che uomini delle milizie del loro governo si sono intrufolati nei campi profughi sotto mentite spoglie, per continuare l’azione di minaccia e violenze sui rifugiati politici. Bujumbura ha smentito, intanto almeno mille persone ogni settimana fuggono dal Burundi per entrare in Tanzania; altre centinaia scappano in Uganda, Ruanda e nella Repubblica democratica del Congo, paese che già ospita altri 4 milioni di stranieri e per il quale l’Onu a settembre aveva lanciato l’ennesimo allarme guerra civile.
Enormi azioni economiche Quanto all’Europa, mentre chiude le porte, non si esime dal giocare partite di potere economico che rendono nazionale rifugiati Alta natalità, basse aspettative di vita, infezioni, malattie, scarsa istruzione, violenza sessuale: nei campi profughi africani si vive e muore né meglio né peggio che negli angoli di inferno da cui si fugge l’Africa, e il mondo, più instabile e insicuro. Francia, Sudafrica e Russia, a inizio 2016, hanno inviato in Burundi contingenti militari a sostegno del contestato presidente Pierre Nkurunziza, ma soprattutto a tutela dei loro investimenti nelle miniere di nichel, «materiale senza il quale è difficile oggi immaginare il mondo» si legge in un opuscolo, che ne magnifica l’impiego in ogni settore produttivo del pianeta. Pazienza se per la comunità internazionale sarebbe proprio il presidente Nkurunziza a destabilizzare la quasi-pace ritrovata nel paese…
È solo un esempio di quel che accade in Africa, continente solcato da flussi inarrestabili e incrociati di profughi, che in parte debordano verso le nostre coste. E dove non è certo una soluzione creare i “campi di detenzione” ai quali pensano gli strateghi europei, che sognano di rispedire gli immigrati al mittente, o di fermarli in Turchia, Egitto o Tunisia, dove già da anni, in campi profughi più o meno ufficiali, vivono milioni di disperati, abbandonati dagli uomini e da Dio. La soluzione sarebbe una sola. Lo dicono gli operatori della cooperazione internazionale, lo ha detto chiaro papa Bergoglio ai leader europei, lo sintetizza Romano Prodi, oggi impegnato in Africa per l’Onu in Africa: «Il continente nero conta un miliardo di abitanti, a metà di questo secolo saranno due miliardi. L’Europa deve aiutare l’Africa con enormi azioni di carattere economico e politico. Solo così potrà controllare il flusso di coloro che scappano dalla miseria». E svuoterà un bacino di sofferenze, di cui conosce solo i rigurgiti marginali.