Ventimiglia, Chiasso, Brennero, Udine . Si sbarrano le frontiere interne dell’Unione Europea, mentre la Relocation fallisce e non si modifica il Regolamento Dublino.
Il Capo del Dipartimento Libertà civili del Ministero dell’interno Mario Morcone ha ammesso recentemente il sostanziale fallimento delle misure di relocation adottate lo scorso anno dalla Commissione Europea per condividere tra tutti i paesi UE gli oneri dell’accoglienza dei profughi che arrivavano in Grecia ed in Italia. Solo poche centinaia di persone sono state “rilocate” dall’Italia verso altri paesi europei e nei centri definiti come Hub per l’accoglienza, a Siculiana in Sicilia ed a Castelnuovo di Porto, vicino Roma, centinaia di persone attendono di essere finalmente trasferite in un paese dell’Unione Europea nel quale trovare una residenza stabile e completare le procedure per il riconoscimento di uno status di protezione internazionale. Si tratta soltanto di eritrei, siriani e irakeni, in misura minore, che ormai sembrano condannati alla dispersione ed a gravi stati di disagio psichico, come recentemente ha documentato un importante rapporto di Medici senza frontiere.
La situazione rischia di aggravarsi ulteriormente perché in molti paesi europei si sta scatenando una vera e propria caccia al profugo ed i partiti di destra utilizzano singoli episodi di cronaca, per criminalizzare tutti i rifugiati che negli anni scorsi venivano accolti con discrete possibilità di integrazione. Il caso più recente riguarda oggi la Germania, dove, dai fatti di Colonia in poi, una parte crescente dell’opinione pubblica critica le scelte di apertura praticate lo scorso anno nei confronti dei siriani. La situazione di rispetto dei diritti umani dei migranti nei paesi orientali dell’Unione Europea è talmente allarmante, per la gravità degli abusi e delle violenze che si regstrano, da fare riflettere sull’opportunità che questi paesi continuino a fare parte dell’Unione Europea. La riapertura della rotta balcanica, con la concessione di visti di ingresso ai profughi siriani, irakeni ed afghani, costituisce la soluzione necessaria per evitare una gigantesca emergenza umanitaria con l’arrivo del prossimo inverno.
I riflessi di questa situazione di guerra ai migranti che si è scatenata in Europa si avvertono alle frontiere interne, con la proclamazione dello stato di emergenza in Francia, a seguito dell’attacco terroristico di Nizza, e con il ripristino dei controlli Schengen, a tutte le altre frontiere. La decisione del Regno Unito di uscire dall’Unione Europea sta già mostrando i primi devastanti effetti alla frontiera tra la Francia e la Gran Bretagna, con code chilometriche che bloccano per giorni anche i viaggiatori europei ed il traffico merci. Una misura ben visibile della disfatta dei controlli alle fontiere interne.
Si usa il pretesto del controllo dei movimenti secondari dei richiedenti asilo che provengono da paesi terzi per bloccare in realtà la mobilità dei lavoratori migranti cittadini europei, che al di là degli allarmi sul terrorismo internazionale, costituivano e costituiscono l’obiettivo della Brexit e di tutte le trategie nazionaliste di difesa dei lavoratori autoctoni di fronte alla crisi irreversibile del welfare europeo. Ormai tra dichiarazioni di stato d’emergenza e ripristino temporaneo dei controlli di frontiera, è l’intero sistema delle frontiere Schengen che sta andando in crisi. E intanto si moltiplicano le aggressioni ai danni di cittadini stranieri.
Questa crisi della libertà di circolazione nello spazio Schegen è ben percepibile a Ventimiglia, a Como/Chiasso, al Brennero, a Tarvisio/Udine ed alle altre frontiere nazionali. Italia la situazione alle froniere rischia di aggravarsi ancora nelle prossime settimane, per effetto del blocco dei migranti che cercano di transitare verso altri paesi europei, e per il numero crescente di persone che dopo avere rilasciato in Italia le impronte digitali, vengono trovate in altri paesi Schengen e quindi respinti di nuovo verso le frontiere italiane.
Altri “respingimenti” informali sono in corso alle frontiere italiane, da Ventimiglia soprattutto, verso le regioni meridionali, con provvedimenti di polizia che non appaiono fondati su basi legali certe, e che sono eseguiti senza alcuna garanzia di difesa per i migranti che ne sono destinatari. Una scelta aggressiva da parte del ministero dell’interno che non risolve i problemi ma rischia soltanto di creare irregolarità e frustrazione. Si deve respingere qualunque tentativo di utilizzare gli Hotspot in funzione detentiva, o la frequente situazioni di minori non accompagnati rinchiusi in questi centri in promiscuità con adulti.
Le prospettive non sono purtroppo migliori per quanti riescono ad entrare nel circuito di accoglienza con la proposizione di una domanda di protezione internazionale. Il numero assai elevato di dinieghi adottati dalle Commissioni territoriali, attorno al 60 per cento delle richieste, comporterà la riproduzione di una situazione generalizzata di irregolarità, considerando che diverse decine di migliaia di richiedenti asilo riceveranno un provvedimento di diniego che non sarà facile impugnare, anche per le crescenti difficoltà di accesso al patrocinio a spese dello stato.
Nel frattempo il sistema di accoglienza italiano si dimostra inadeguato a reggere il blocco in Italia della maggior parte dei migranti che sbarcano, quando arrivano vivi, e che, anche se in misura simile a quella degli anni precedenti, rimangono ad occupare posti che non si riesce ad aumentare con lo stesso ritmo degli arrivi che si registrano durante la stagione estiva.
Sono mesi che indichiamo le possibili soluzioni di un problema che riguarda un numero assai linitato di persone, rispetto ai migranti richiedenti asilo in altri paesi, e che potrebbe essere risolto se non si fosse condizionati dai sondaggi e dalle minacce dei partiti populisti che sparano a zero su qualsiasi proposta ragionevole, pur di colpire indiscriminatamente i migranti e tutti coloro che si battono per una maggiore coesione sociale.
Di fronte al fallimento della relocation e della mancata modifica del regolamento Dublino, il governo italiano deve adottare un provvedimento che riconosca ai migranti che sbarcano dopo essere stati soccorsi nelle acque a nord della Libia, un permesso di soggiorno per protezione temporanea, in base all’art. 20 del TU 286 del 1998 in materia di immigrazione. Tale permesso di soggiorno dovrà essere consegnato con un documento di viaggio valido per l’uscita dall’Italia come si fece nel 2011 a seguito della cd. Emergenza Nordafrica.
Le prevedibili reazioni europee vanno contrastate con un rilancio da parte italiana delle richieste di modifica del Regolamento Dublino III e per un effettivo avvio della relocation promessa lo scorso anno e fin qui realizzata solo simbolicamente. Occorre riaprire canali di ingresso protetti e legali verso l’Unione Europea, con procedure unificate che permettano il riconoscimento della protezione internazionale con un documento di soggiorno valido in tutti gli stati dell’Unione. Va denunciato e immediatamente sospeso l’intesa illegale raggiunta il 18 marzo scorso tra l’Unione Europea e la Turchia.
Non si può continuare ancora a legittimare la condizione del lavoratore straniero assoggettato ad una condizione servile. In un mercato del lavoro caratterizzato da vaste aree di evasione fiscale-contributiva e dalla piaga del caporalato e del lavoro nero, le politiche di inclusione non possono che partire da un ripristino delle condizioni di legalità nella stipula e nella gestione dei contratti di lavoro. Ne guadagnerebbero le casse dell’INPS e soprattutto la condizione giuridica dei migranti sarebbe garantita. Occorre per questo una regolarizzazione permanente a regime legata anche allo svolgimento di lavori socialmente utili, che superi la distinzione pretestuosa tra richiedenti asilo e migranti economici, e riconosca a tutti il diritto al lavoro e ad una retribuzione dignitosa, in linea con i parametri indicati dall’art. 36 della Costituzione italiana.
Le procedure di protezione internazionale vanno semplificate, ma non nella direzione che si sta seguendo adesso, tendente ad accelerare i provvedimenti di diniego e conseguentemente le misure di allontanamento forzato dal territorio dello stato. Occorre riconoscere in tempi più rapidi la protezione umanitaria nel senso già indicato dalla Giurisprudenza e favorire la conversione dei permessi di soggiorno in permessi per lavoro o per studio. Va garantito il patrocinio gratuito in tutte le fasi dei ricorsi, e deve essere bloccato il tentativo di creare un doppio binario processuale per svuotare i diritti di difesa dei richiedenti asilo denegati.
La situazione dei minori stranieri non accompagnati va risolta con il rilascio immediato di permessi di soggiorno per minore età, senza lasciare la sola via della richiesta di asilo, e soprattutto senza lasciare trascorrere un anno prima di avviare le procedure amministrative, che poi cessano perché i minori raggiungono la maggiore età. Vanno istituiti al più presto centri specializzati per minori non accompagnati, ma senza superare il numero massimo di 30-40 minori per struttura. Le pratiche di accertamento dell’età vanno perfezionate e rese meno invasive possibile. Devono essere aumentati i mediatori linguistico-culturali presenti nelle strutture di accoglienza. Occorre istituire un monitoraggio indipendente delle strutture di accoglienza in modo da evitare sprechi ed abusi.
Le persone vittime di tratta o di grave sfruttamento lavorativo, devono avere accesso alle misure di protezione sociale indipendentemente dalla denuncia degli sfruttatori, e vanno seguite da personale altamente specializzato, secondo le indicazioni del piano nazionale antitratta, recentemente approvato, ma ancora privo di adeguati finanziamenti per l’avvio delle attività e dei progetti che prevede. Vanno istituiti tavoli di coordinamento regionali e canali di raccordo tra le organizzazioni umanitarie e le istituzioni che non espongano a rischi personali né gli operatori, né le potenziali vittime.
Se è vero che le politiche dell’immigrazione e dell’asilo hanno ormai una rilevanza europea, il governo italiano non può continuare a proporre misure che vanno soltanto in senso repressivo, come gli accordi con i paesi terzi al fine della riammissione o del blocco dei migranti, inseriti nel Processo di Khartoum, e ripresi dal Migration Compact, politiche che alla fine producono l’effetto ben visibile di consegnare il nostro paese al ruolo di stato cuscinetto, sottomesso alle scelte che maturano a Bruxelles o nelle sedi delle agenzie europee come Frontex o Eunavfor Med. Soltanto con politiche inclusive, aderenti alla collocazione geografica dell’Italia nel Mediterraneo ed alle sue tradizioni costituzionali, sarà possibile opporsi a quella deriva sicuritaria che rischia di importare in Europa quello stato di emergenza permanente che cancella i diritti fondamentali delle persone e si mostra finalizzato al sacrificio delle libertà personali, dunque della democrazia, senza riuscire a garantire quella sicurezza che si promette soltanto a parole.