Un senso diverso per l’accoglienza, storie di S.Berillo

Pubblichiamo un articolo per certi versi inusuale rispetto a quanto potete leggere su ADIF. In un contesto in cui l’accoglienza del “sistema Italia” è al tracollo, nonostante i roboanti proclami governativi. Le miserie xenofobe che riempiono il mondo dell’informazione fanno da contraltare alla creazione di allarmi sociali dannosi, falsi e per certi versi anche inutili ad affrontare i problemi che possono sorgere all’avanzare delle mutazioni sociali. Ma esiste altro, esistono tante persone che operano in silenzio e non fanno assistenzialismo ma contribuiscono a costruire convivenza, meticciato, scambio e riscatto sociale. L’esperienza per noi fino a ieri sconosciuta del quartiere di S. Berillo a Catania è una di queste. Ringraziamo di cuore colei che, vivendolo dal di dentro ha provato a raccontarcelo.

di Amelia Petrucci

Ci troviamo a Catania, a S. Berillo, un quartiere centrale dalla storia sfortunata. Nel 1957 infatti è stato sventrato per fare posto a Corso Sicilia, strada a due corsie, sempre trafficata che ospita perlopiù uffici. Se la si percorre per circa 500 metri ci si ritrova a Piazza Stesicoro, dove i turisti fotografano l’Anfiteatro romano, su via Etnea, cuore dello shopping .

Ciò che hanno in comune S.Berillo e il quadretto turistico appena descritto è forse solo il fatto di avere sempre l’Etna, la signora di Catania, sullo sfondo. Quando ci fu lo sventramento, a una parte degli ex abitanti sono state assegnate delle case popolari lontane e mal collegate dal centro. Un’altra parte invece è rimasta nella parte rimanente del quartiere. S. Berillo è molto diverso dal resto del centro. Vie strette, case basse e diroccate, pochi alimentari, fruttivendoli e qualche negozio etnico .L’odore, in particolare, lo differenzia molto; nell’aria viaggiano odori e profumi di cibi senegalesi, marocchini. Le stradine strette sono un brulicare di persone, tra pusher, meccanici e prostitute transessuali, bambini che giocano o che litigano tra urla e schiamazzi vari. Ma S.Berillo non è solo il degrado che tanto è stato messo in evidenza, dal programma “le iene” al documentario “Gesù è morto per i peccati degli altri”. In via Opificio infatti risiede “la casa di quartiere” sede del COMEFà ( l’insieme dei gruppi: Comitato S.Berillo, MElquiades, FAber) davanti ad una ciclofficina/bar, ritrovo culturale e luogo accogliente. Melquiades, di cui io faccio parte come insegnante di italiano agli stranieri, è nato venti anni fa dalla necessità di un gruppo di migranti di creare una rete di persone che si occupassero dell’integrazione dei migranti con il territorio. Le sue attività sono sempre state il corso di italiano di diversi livelli, lo sportello legale, il laboratorio di teatro sociale, tutto gratuito nell’ottica di uno scambio umano, spinto dalla reale voglia di coinvolgere i migranti nelle attività politiche, con la consapevolezza dell’importanza dell’autonomia. Il corso di italiano è finalizzato a rendere indipendenti i migranti dal punto di vista linguistico, ma anche ad informare politicamente, l’idea è quella di creare un luogo dove tutti abbiano la possibilità di esprimersi e stare insieme in un ambiente stimolante. Certo le difficoltà sono molte, soprattutto per il sovraffollamento nelle aule, per la differenziazione di qualsiasi tipo, dall’età al paese di origine, al sesso al livello di conoscenza dell’italiano. Cerchiamo infatti di essere due insegnanti per lezione per meglio gestirci. Crediamo che sia importante trasmettere la conoscenza della nostra lingua, e il momento di interazione arricchisce entrambe le parti. La classe è un ambiente raccolto, e favorisce la nascita di rapporti personali, aiuta a conoscere meglio la realtà migratoria di cui si sente parlare nei media in termini di emergenza. L’emergenza è abbattere il concetto di nazionalità volto a dividere, e lavorare insieme per sentirci realmente uguali nei diritti e solidali gli uni con gli altri. Conoscendo le vere difficoltà che i migranti affrontano durante il viaggio verso l’Italia, e durante la permanenza, si comprende la necessità di “accoglierli”, non nel senso di soccorso da parte attiva a parte passiva, ma nel senso di un rapporto attivo da entrambe le parti, di collaborazione, lavoro e interesse.   La casa di quartiere ospita altri progetti come FAber, un laboratorio di fabbricazione saponi, oggetti in legno, in un’ottica di decrescita. Ogni tanto di domenica si organizzano le Tavolate di quartiere, giornate in cui si mangia insieme, si chiacchiera, in cui gran parte del quartiere è coinvolto. O anche proiezioni di film in casa di quartiere. Sono quindi molte le persone che volontariamente si prendono cura di questo luogo, a discapito di chi ne esalta solamente il degrado ,dipingendo S. Berillo come un luogo senza speranza e per questo affascinante, usando le vere case disabitate perché pericolanti, come fatiscenti scenografie per cortometraggi.