Verso il naufragio dei sistemi di accoglienza in Italia

1.La situazione del sistema di accoglienza italiano è sempre più critica, alla vigilia di una stagione nella quale si può prevedere un rapido incremento degli arrivi. Gli aumenti del numero dei posti disponibili, al di là del conclamato superamento della fase dell’emergenza, rimangono ancorati alla tempistica ed al numero degli sbarchi, e non sono stati attivati, o non sono operativi, i tavoli regionali di coordinamento previsti dalla Conferenza Unificata Stato-Regioni del 10 luglio del 2014.

I trasferimenti dei migranti, dopo l’ingresso nel territorio nazionale per esigenze di soccorso, rimane affidato ai rapporti tra ministero dell’interno e prefetture, senza un reale coinvolgimento dei comuni e delle associazioni indipendenti. Le disposizioni sempre più severe in materia di prima identificazione, con frequenti casi di privazione della libertà personale, hanno aumentato la frequenza dei casi di allontanamento, se non di vera e propria fuga, dal sistema pubblico di accoglienza, con un carico sempre maggiore su strutture private di accoglienza informale. Esemplare il caso di Ventimiglia o altri meno noti nei pressi delle frontiere con l’Austria.

Le iniziative dei sindaci o di qualche procura stanno tentando di criminalizzare anche gli interventi dei cittadini solidali che prestano volontariamente la loro attività di assistenza umanitaria ai migranti costretti a bivaccare per strada. Va ricordato in proposito che secondo l’art. 12, comma 2, del Testo Unico sull’immigrazione n. 286 del 1998, “fermo restando quanto previsto dall’articolo 54 del codice penale, non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato”.

Le proposte più recenti pervenute da Bruxelles e prontamente recepite dal Ministero dell’interno, tendenti ad estendere il cd.“Approccio Hotspot” in diversi luoghi di sbarco, e di utilizzare come Hotspot parte dei centri di accoglienza già esistenti, come il CARA di Mineo e la Caserma Bisconte di Messina, finora utilizzata come centro di accoglienza straordinaria, produrranno il default dell’intero sistema della prima accoglienza, accrescendo la tensione nei centri e causando un numero ancora più elevato di allontanamenti. Persone del tutto prive di informazioni legali cercheranno comunque di lasciare l’Italia e rischieranno di subire arresti e trattenimenti ammjn istrativi, se non vere e proprie deportazioni, come quelle realizzate dall’aeroporto di Genova verso i centri Hotspot sciliani, in un macabro gioco dell’oca, che punisce con il ritorno alla casella di partenza, chi ha deciso di proseguire comunque il suo viaggio verso altri paesi europei. I nuovi HOTSPOT aperti in Sicilia stanno funzionando con modalità assai diverse, in modo conforme alla legge soltanto a Trapani, mentre a Lampedusa e Pozzallo si stanno replicando tutte le distorsioni che negli anni scorsi avevano caratterizzato i CSPA ( Centri di soccorso e prima accoglienza) in funzione in queste due località con modalità diverse, anche a secondo della politica degli sbarchi decisa dalle autorità di governo. A Lampedusa sono ancora frequenti casi di trattenimento prolungato nel centro di Contrada Imbriacola di persone che si rifiutano di farsi prelevare le impronte digitali, per non incorrere nelle storture del Regolamento Dublino, soprattutto adesso che si è diffusa la notizia del sostanziale fallimento della cd. “Relocation” verso altri paesi europei. A Pozzallo permane una situazione di grande promiscuità all’interno di una struttura perennemente sovraffollata, dove non dovrebbero essere trattenuti minori non accompagnati. Va assolutamente chiarito il ruolo ed i livelli di collaborazione tra i funzionari dell’agenzia europea EASO, che dovrebbe sostenere i richiedenti asilo, oltre che i paesi che li ospitano, e gli agenti di Frontex, che hanno il compito precipuo di individuare i migranti da sottoporre alle procedure di rimpatrio forzato. Le disposizioni operative di Frontex non possono prevalere sui principi costituzionali e sulle norme vigenti in Italia, e deve essere assolutamente vietato, prima che si sia data l’opportunità di formalizzare una richiesta di asilo, l’ingresso nei centri di prima accoglienza di agenti consolari dei paesi di origine o di loro interpreti. Altrimenti le procedure di identificazione dei cd. Migranti economici finiranno per ledere del tutto i diritti per un accesso libero ed incondizionato alla procedura di protezione.

Con le Decisioni UE n.1523 del 14 settembre 2015 e n.1601 del 22 settembre 2015  del Consiglio e del Parlamento europeo, basate sul sistema di risposta di emergenza, previsto dall’art. 78, pf. 3 del TFUE, sono state adottate una serie di misure temporanee, come la cd. Relocation, o ricollocazione in altri paesi europei, ma adesso sembra che queste misure, oltre ad essere non più temporanee, siano del tutto paralizzate dai veti degli stati membri.

Occorre prendere atto che la Relocation verso altri paesi europei è al momento fallita, sono appena 670 circa, alla fine di maggio 2016, le persone ricollocate in altri stati dell’Unione Europea, ed oltre 800 persone sono ancora in attesa di conoscere quale sarà la destinazione finale, promessa loro mesi fa. Particolarmente difficile la situazione degli Hub regionali di Siculiana, vicino Agrigento, una vecchia struttura alberghiera, l’Hotel Villa Sikania, riconvertita in CAS e poi in HUB di smistamento, e di Castelnuovo di Porto, vicino Roma, una struttura che oggi ospita circa 900 persone tra cui alcune centinaia proprio in attesa di Relocation.

  1. Rimane assai critica la situazione nei centri di seconda accoglienza, centri SPRAR o ancora CAS, destinati impropriamente a richiedenti asilo, dove sarebbero alloggiate la maggior parte delle 70.000 persone attualmente in procedura per il riconoscimento di uno status di protezione.

Il d.lgs. n. 142/15, all’art. 8, sancisce che il Sistema di accoglienza dei richiedenti la protezione internazionale in Italia si basa sulla leale collaborazione fra i livelli  di governo interessati, secondo le forme di coordinamento nazionale e regionale di cui al  successivo art. 16 che istituisce e definisce le competenze ed il funzionamento del Tavolo  nazionale e dei Tavoli regionali. Nello stesso articolo vengono indicate strutture che svolgono le funzioni di soccorso e prima assistenza, mentre si definiscono poi le misure per la  prima accoglienza (gli Hub previsti dal piano diventano centri governativi) . Lo stesso decreto individua poi le misure straordinarie e temporanee di accoglienza in caso di insufficienza di posti nelle precedenti strutture (gli attuali CAS), mentre tratta separatamente principi e percorsi per l’accoglienza dei minori. Di fatto si è creato un sistema con molte sovrapposizioni, spesso con caratteristiche assai diverse tra loro, se ci sono casi di buona accoglienza, se ne riscontrano tutti i giorni altri nei quali non si rispetta neppure la dignità della persona. L’accoglienza in tendopoli, soprattutto, non può diventare uno standard di accoglienza duraturo, come avviene da due anni al Palaspedini a Messina, e come si vorrebbe fare adesso per creare un maggior numero di posti in strutture già esistenti e sovraffollate. Anche i livelli di affollamento nelle camerate dei centri ubicati in strutture murarie, come alla Caserma Bisconte a Messina, o nel grande capannone al porto di Pozzallo appaiono in contrasto con l’esigenza di garantire agli “ospiti” un trattamento non disumano e degradante.

 Il numero dei posti disponibili negli SPRAR è ancora troppo basso, e non si è riusciti ad imporre a tutti i comuni un impegno effettivo nella direzione dell’accoglienza diffusa sul territorio, con gravi rischi di sovraccarico nelle aree nelle quali si sono registrate le maggiori disponibilità.

Sul sovraffollamento delle strutture di accoglienza incidono in misura notevole i ritardi di accesso alla procedura, in media quattro mesi dalla prima manifestazione di volontà per compilare il modello C 3, e gli esiti negativi delle stesse. I ricorrenti che fanno ricorso hanno diritto all’accoglienza fino all’esito definitivo del ricorso giurisdizionale e questa circostanza produce un crescente sovraffollamento dell’intero sistema di accoglienza. La soluzione non è certa quella adottata da alcuni gestori, o suggerita da qualche prefettura, di porre termine alle misure di accoglienza, non appena venga notificata la prima decisione di diniego da parte della Commissione territoriale, che potrebbe pure rivedere in autotutela il suo precedente diniego. Inoltre, se le decisioni delle Commissioni territoriali, che esaminano mediamente 16 persone al giorno, dovessero continuare ad accentuare l’attuale trend negativo, con una media attuale del 70% di dinieghi assoluti di status, con punte fino al 90% in Sicilia, ad esempio ad Agrigento, si può prevedere che già nei prossimi mesi, non meno di 50.000 persone, che non saranno neppure nelle condizioni di presentare un ricorso, saranno rimesse per strada, ed abbandonate alla condizione di irregolarità. Né si vedono risorse e garanzie dei diritti fondamentali per l’esecuzione di eventuali misure di rimpatrio, qualora si dovessero adottare provvedimenti di espulsione.

Occorre riconoscere un permesso di soggiorno per motivi umanitari a tutti coloro che sono soccorsi in mare e dunque fanno ingresso nel territorio dello stato per esigenze di salvataggio. Persone nei confronti delle quali può scattare ancora oggi la denuncia per il reato di immigrazione clandestina, un reato che serve soltanto ad ingolfare i tribunali e che il Parlamento non è riuscito ad abrogare per preoccupazioni di evidente carattere elettorale. Solo in questo modo si potrebbe decongestionare il lavoro delle Commissioni territoriali che  dovrebbero essere chiamate a quel punto a pronunziarsi soltanto sulle richieste di asilo o di protezione sussidiaria. Con la concessione più rapida di un permesso di soggiorno per motivi umanitari si favorirebbe il turn-over nel sistema di accoglienza, con un notevole risparmio economico e con maggiori possibilità di integrazione sociale.

Purtroppo le politiche europee sembrano orientate in senso sempre più repressivo. Una direzione che si è già dimostrata foriera di fallimenti, ma che i vertici di Bruxelles non abbandonano. La proposta dell’Unione Europea che vorrebbe imporre all’Italia l’apertura di 1500 nuovi posti nei CIE ( Centri di identificazione ed espulsione) appare moralmente impresentabile e giuridicamente in contrasto con la Direttiva 2008/115/CE sui rimpatri, che limita il ricorso al trattenimento amministrativo ai solo casi nei quali l’espulsione appare praticamente eseguibile. I provvedimenti di espulsione che dovessero essere adottati dalle prefetture su vasta scala, nei confronti di coloro che dopo il diniego non avessero presentato un ricorso giurisdizionale, appaiono del resto ineseguibili se si considera la situazione nei paesi di origine dei “denegati” e la mancanza di accordi bilaterali di riammissione. Né si può pensare di delegare a Frontex la stipula di accordi con i paesi di origine né, tantomeno, l’esecuzione di quelle che sarebbero per le modalità e per la natura dei provvedimenti che sottendono, vere e proprie espulsioni collettive, vietate dall’art.4 del Quarto Protocollo allegato alla CEDU.

Per quelle che potranno presentare ricorso giurisdizionale, sempre che non si frappongano altri ostacoli all’accesso al patrocinio a spese dello stato, si profilano tempi lunghissimi di attesa, anche fino al 2018, per una decisione di primo grado da parte del Tribunale, e non sembra garantito neppure per loro la prosecuzione dell’accoglienza in centri pubblici, anche a fronte di diffusi comportamenti arbitrari dei gestori, dopo la notifica della decisione di diniego.

Vanno incrementati i posti dei centri SPRAR ( Servizio nazionale di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) e garantiti standard dignitosi per gli altri centri di primissima e di prima accoglienza e dei CARA, evitando gestioni opache e concentramenti di persone in luoghi che sfuggono a qualsiasi possibilità di controllo. Vanno in particolare evitate modalità di trasferimento tra i diversi centri che interrompano i processi di integrazione e allunghino l’iter burocratico per il riconoscimento di uno status definitivo di soggiorno. Va chiuso al più presto il CARA di Mineo, ancora aperto malgrado numerose indagini giudiziarie sulla sua gestione, ed oggi rilanciato dalla proposta del Ministero dell’interno che lo vuole utilizzare in parte ( fino a 600 posti) come un Hotspot per l’identificazione e la selezione dei migranti appena sbarcati nei porti siciliani. Una utilizzazione che di fatto è già pronta, se si pensa ai 200 migranti trasferiti a Mineo dopo l’ultimo sbarco di qualche settimana fa a Palermo. Se gli Hotspot appaiono già del tutto privi di base legale, la implementazione del cd. “Approccio Hotspot” a Mineo solleva dubbi di legittimità ancora più gravi ed espone a pesanti responsabilità le autorità amministrative che disporranno i provvedimenti relativi a questo cambiamento parziale di destinazione.

  1. Occorre attivare un monitoraggio indipendente dei centri di accoglienza, delle diverse tipologie, oggi esistenti nel territorio. In particolare occorre verificare la corrispondenza delle dotazioni di personale e delle professionalità richieste con lo schema tipo di convenzioni sottoscritte dagli enti gestori. Al fine di garantire una migliore programmazione del collocamento e dei trasferimenti delle persone vanno riattivate tutte le sedi di confronto tra istituzioni e tra queste e le associazioni. Ma si deve anche assicurare un puntuale pagamento dei corrispettivi previsti dopo il controllo delle rendicontazione. Nell’attuale situazione stanno resistendo solo gli operatori economicamente più forti, che hanno ampie riserve di liquidità, con un ulteriore effetto di monopolio di fatto che non giova agli operatori più piccoli che si vorrebbero inserire nel sistema di accoglienza diffusa. Nonostante l’intervenuto ampliamento dei posti disponibili nei centri di prima accoglienza e nella rete SPRAR, l’elevato numero di richiedenti asilo aventi diritto all’accoglienza rende ancora necessario mantenere l’operatività di quelli temporanei  attivati dai Prefetti ai sensi dell’art. 11 d.lgs. n. 142/15 (comunemente denominati  Centri di Accoglienza Straordinaria – CAS). Il sistema composto da dette strutture ha  incrementato la capacità da 35.011 posti al 31 dicembre 2014, a 76.683 posti al 31 dicembre 2015. La fase dell’emergenza non è dunque stata superata, malgrado le affermazioni in tal senso da parte del governo.

Nelle diverse strutture di accoglienza va garantito un rilancio dei servizi di interpretariato e di mediazione linguistica e culturale, con adeguati finanziamenti, con percorsi di formazione, con un albo dei mediatori e soprattutto con un loro capillare impiego agli sbarchi, nei centri di accoglienza e nelle strutture di servizio dove ancora oggi sono spesso del tutto assenti. Si dovrà superare la utilizzazione di mediatori poco professionalizzati, reclutati su base volontaria. Vanno incentivate le scuole di italiano per stranieri, anche al fine di consentire scambi con scuole di diverso ordine e grado nei quali gli interventi dei giovani migranti potrebbe contribuire al superamento di quelle barriere che sono prodotto dalla scarsa conoscenza dei migranti e  dei loro percorsi di vita.

Vanno riattivati i Consigli territoriali per l’immigrazione e si dovranno stabilire occasioni di confronto periodico con gli uffici stranieri della Questura al fine di velocizzare le procedure anche attraverso il contributo delle associazioni, degli uffici comunali e e degli operatori professionali. Va allargata la partecipazione ai Tavoli che programmano gli interventi nelle situazioni di sbarco e di prima assistenza. L’emergenza che si prospetta nei prossimi mesi, e che appare già evidente dalla Sicilia fino a Ventimiglia ed ai valichi del Brennero e di Tarvisio, può essere affrontata solo con il concorso delle istituzioni pubbliche e  del privato sociale.

Se non si modifica il Regolamento Dublino III, e si bloccano al contempo le frontiere interne mentre si respinge la maggior parte delle domande di protezione internazionale, si determinerà una situazione insostenibile per i diversi sistemi di accoglienza in Italia.

Chi pensa di affrontare le questioni dell’accoglienza con misure da ordine pubblico o con le denunce produrrà soltanto tensione e scontro.

Il d.lgs. n. 142/2015 ha attribuito ai Tavoli di coordinamento regionali, presieduti dal Prefetto del comune capoluogo, le funzioni connesse alla assegnazione dei richiedenti la protezione internazionale, all’ individuazione delle strutture destinate all’accoglienza temporanea come pure all’interazione necessaria alla redazione del Piano nazionale integrazione. Bisogna restituire un ruolo alla società civile solidale impegnata nei territori e funzionalità agli organismi esistenti, o da costituire come ad esempio i Tavoli di coordinamento regionale per l’accoglienza, e aumentare i canali di partecipazione, riconoscendo il ruolo essenziale delle organizzazioni non governative anche nelle attività di prima assistenza e di accompagnamento nelle strutture di prima accoglienza.

Occorrono certo nuove norme in materia di protezione internazionale, che superino gli attuali ritardi burocratici e mantengano il diritto per tutti di accedere alla procedura e di avere un esame serio ed imparziale del proprio caso su base individuale, senza il facile ricorso alla categoria di “migrante economico” stampata magari su qualche “foglio notizie”, o di “paese terzo sicuro” verso i quali respingere con procedure sommarie anche i richiedenti asilo. Ed è urgentissima una sospensione o una riforma completa del Regolamento Dublino III, la principale ragione delle tensioni che si verificano in Italia al momento della prima identificazione. Ed occorre facilitare la concessione dei documenti di viaggio da parte delle Questure. Dove oggi prevale la discrezionalità amministrativa occorre inserire un chiaro limite di legge, ricordando che per l’art. 10 della Costituzione la “condizione giuridica dello straniero” è dettata dalla legge e non può essere conformata sulla base della mera discrezionalità amministrativa.

Dal punto di vista delle proposte che richiedono un intervento del Parlamento bisogna riaprire canali legali di ingresso per lavoro e provvedere ad una regolarizzazione permanente in favore di chi è stato costretto ad entrare irregolarmente ed ha prestato per anni la sua attività lavorativa in condizioni di grave sfruttamento o ha perduto il permesso di soggiorno ma si può venire a trovare in un tempo successivo nelle condizioni di potere regolarizzare la sua posizione con la stipula di un contratto di lavoro. Occorre rompere il legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro e stabilire forme di ingresso regolare e possibilità effettive di regolarizzazione permanente in presenza di requisiti certi ed obiettivamente verificabili ( lavoro e residenza stabile). Allo strumento ipocrita di regolarizzazione “una tantum” delle sanatorie o alla regolarizzazione che si verificava con i decreti flussi annuali, oggi sospesi, va sostituita la possibilità permanente di regolarizzazione per chi matura requisiti di stabilità e di inserimento lavorativo e sociale in Italia.

  1. Nel sistema italiano di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati. le principali criticità non emergono soltanto dal quadro normativo, che non riesce a mutare per il blocco del DDL Zampa in Parlamento, quanto piuttosto dalle prassi. Situazioni quali quelle che periodicamente si registrano nei CPSA di Lampedusa e di altri porti siciliani, o nelle comunità di accoglienza, si pongono in palese violazione con gli standard internazionali e nazionali di tutela dell’infanzia e dell’adolescenza. Oltre a essere lesive della dignità dei minori coinvolti, il rischio è che gli stessi si allontanino dalle strutture in cui sono accolti e si trovino esposti a situazioni di pericolo. Peraltro, i ritardi nella nomina del tutore legale o nel trasferimento in strutture di accoglienza adeguate rallentano l’avvio dei percorsi di inserimento sociale dei bambini e degli adolescenti.

In tutte le procedure che riguardano i minori non accompagnati, dovrebbe prevalere il loro superiore interesse, principio guida per ciascun attore coinvolto a vario titolo nella presa in carico, nell’assistenza e nell’accoglienza di queste persone vulnerabili. Perché tale principio trovi piena realizzazione è necessario che si ponga al centro la singola persona con tutte le sue peculiarità, con la sua storia individuale e le sue precipue esigenze. Come la Corte costituzionale italiana e la Corte europea dei diritti umani hanno costantemente ribadito, i bambini e gli adolescenti stranieri sono innanzitutto dei minori d’età e, in quanto tali, debbono beneficiare di una tutela rafforzata che possa offrire loro riparo dalla situazione di vulnerabilità in cui versano.

Per i numerosi minori stranieri non accompagnati che arrivano in Italia con segni fisici e psichici di tortura o di altri trattamenti disumani o degradanti vanno apprestate tutele specifiche e tempestive, a partire dalla prima accoglienza, nella quale va evitata la ricorrente promiscuità con adulti, causa di altre possibili violenze. Vanno facilitati tutti i percorsi che portano alla nomina di un tutore ed alla conferma dei documenti di soggiorno anche dopo i diciotto anni, ed anche quando non ci siano i presupposti per il riconoscimento di uno status di protezione internazionale o umanitaria. L’accesso alle procedure per il riconoscimento di uno status di protezione internazionale deve essere quanto più rapido possibile. Il sistema di accoglienza per minori non accompagnati va rifinanziato, e vanno sostenuti soprattutto i comuni più vicini ai luoghi di sbarco, che sono poi quelli su cui ricadono gli oneri maggiori. Nessuno a Roma o a Bruxelles può pensare di scaricare su comuni delle zone di sbarco i costi esorbitanti di una prima accoglienza che spesso si protrae per mesi, in assenza di trasferimenti verso le strutture del sistema SPRAR.

Occorre garantire la nomina più tempestiva dei tutori su base volontaria, attivando processi di formazione e monitoraggio, e semplificare le procedure per il rinnovo dei permessi di soggiorno per minore età al compimento del diciottesimo anno di età, anche per non appesantire eccessivamente il lavoro delle commissioni territoriali competenti a decidere sulle richieste di asilo. Occorre considerare in ogni caso come meritevole di protezione umanitaria il minore giunto in Italia a chiedere protezione, come le Commissioni stabilivano fino allo scorso anno, e come è stato invece contrastato dalle più recenti posizioni trasmesse dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo alle Commissioni territoriali.

Si deve anche evitare che la prassi introdotta da alcune questure, che per la conversione del permesso di soggiorno richiedono il passaporto rilasciato dal paese di origine, possa impedire il completamento dei percorsi di inserimento intrapresi dai minori non accompagnati dopo il loro arrivo in Italia. Qualunque ostacolo frapposto al mantenimento di uno status legale, come anche le difficoltà nei rinnovi e nelle conversioni dei permessi di soggiorno, e la resistenza a rilasciare i permessi di soggiorno per minore età con la necessaria tempestività, considerando che la metà dei MSNA giunge in Italia all’età di diciassette anni, rischiano di riprodurre una condizione irregolarità che su persone tanto giovani potrebbe avere effetti catastrofici per tutta la loro vita con costi sociali incalcolabili.