Lettera per Ballarò

Dopo gli ultimi arresti di un gruppo di presunti estortori nel mercato di Ballarò, a seguito di una denuncia presentata da decine di commercianti, in prevalenza immigrati, sui mezzi di informazione si è diffusa l’immagine di un quartiere nel quale gli immigrati, e soltanto loro, avrebbero avuto il coraggio civile di denunciare chi li vessava, arrivando a minacciare con le armi anche i bambini che si trovavano all’interno dei negozi.
Gli arresti degli ultimi giorni seguono fatti gravi ed altri arresti effettuati dopo il tentato omicidio di un giovane gambiano che si era ribellato all’arroganza di chi voleva affermare il suo potere sul quartiere. Un quartiere nel quale negli ultimi mesi si erano poi verificati furti ai danni di cittadini impegnati nella battaglia per la legalità e altri arresti di italiani e stranieri coinvolti nello sfruttamento della prostituzione.
A Ballarò succede, in modo forse più visibile che in altre zone della città, come il Capo o la Kalsa, quello che succede in tanti quartieri di città italiane caratterizzati da una consistente presenza di immigrati e da una crescita esponenziale delle economie illegali. Non esiste un rapporto tra causa ed effetto, e sempre più spesso sono gli immigrati le prime vittime delle attività illegali. I fatti che vengono alla luce sono conseguenza di uno scontro in corso che non divide immigrati e residenti cittadini italiani, ma che attraversa le comunità. Al pizzo non si sono ribellati solo gli immigrati, ed in città, dunque non solo a Ballarò, ci sono tante denunce anche da parte di cittadini che hanno deciso di rompere il muro dell’omertà, assuimendosene tutti i rischi. Molti italiani che abitano e vivono nel quartiere sono impegnati nel difficile compito quotidiano di riaffermare la legalità e di costruire una convivenza possibile. Ed alcuni immigrati che pure risiedono nello stesso quartiere, a differenza della maggior parte dei loro connazionali, hanno legami con attività illegali. Lo confermano le cronache giudiziarie di questi ultimi anni.
Non si deve accentuare dunque una contrapposizione su base etnica, anche se alcune recenti attività delittuose, come la sparatoria in via Maqueda,che ha coinvolto il giovane gambiano, poi sopravvissuto miracolosamente, sono certamente aggravate dall’odio razziale. Occorre invece rafforzare tutte le reti civiche che vedono impegnati insieme immigrati e cittadini italiani, rilanciare le attività sociali nel quartiere, non ghettizzare un intero territorio pieno di contraddizioni ma anche di grandi potenzialità. Insomma, occorre andare oiltre una comunicazione di immagine, specie se questa risulta distorcente rispetto all’impegno quotidiano di tanti, italiani e stranieri, che lottano quotidianamente ed in silenzio per riaffermare il diritto a vivere in condizioni di legalità e di riconoscimento reciproco.