Da alcuni mesi, numerose realtà associative che si occupano di immigrazione a Roma – compresa ADIF – sta provando a ragionare su un sistema di proposte da rivolgere ai candidati sindaci che si apprestano, con le prossime elezioni, a governare la città e la sua Area Metropolitana. La condizione dei richiedenti asilo e rifugiati nella Capitale, così come tante altre questioni di carattere sociale, non vengono coerentemente affrontate da decenni, indipendentemente dal colore politico della maggioranza espressa. Si sono intrecciate costose, cattive e fallimentari politiche repressive ad assistenzialismo caritatevole. Entrambi hanno facilitato il permanere di un regime di emergenza che si sono tradotte spesso in un vero e proprio sistema di corruzione di cui “Mafia Capitale” è l’emblema. Le associazioni che si sono riunite attorno a questo tentativo di elaborare una proposta, che vanno dalla Cgil di Roma e Lazio, all’Arci, ai circuiti di alcuni Centri sociali, realtà complesse raccolte sotto la sigla “Resistenze Meticce”a strutture di intervento come la “Casa dei Diritti sociali, ad ALA, (Assemblea dei Lavoratori dell’Accoglienza), a Libera, a Lunaria, alla Campagna LasciateCIEntrare, hanno elaborato un lungo documento. Pubblichiamo una sintesi di tale testo – a breve sarà disponibile in forma integrale – sperando di poter entrare nel dibattito pubblico e proponendolo anche alle altre città in cui si va al voto, ben sapendo ovviamente che i problemi di Roma non corrispondono esattamente a quelli che emergono negli altri territori. È strutturato sul tentativo di evidenziare criticità specifiche e altrettanto precise proposte, ci hanno lavorato persone solo in pochi casi marginalmente coinvolti direttamente nell’accoglienza e provenienti dal mondo laico. Lo forniamo come, speriamo utile, strumento di lavoro. Questo testo è stato presentato in un incontro a cui erano stati invitati 4 candidati sindaci per Roma ma, in base a diverse ragioni, si sono unicamente presentati il candidato del Pd Roberto Giachetti e quello della sinistra unita Stefano Fassina. Per quasi due ore c’è stato un dibattito serrato in una sala molto affollata e partecipante. Un primo incontro, perché la rete che si è andata costituendo intende relazionarsi ulteriormente sia con i candidati che con quella che sarà la futura amministrazione capitolina.
L’Area Metropolitana ha fra i propri residenti oltre 500 mila persone di origine straniera, stabilmente inserite nelle diverse nicchie economiche e sociali e che spesso vivono più di altre il disagio della crisi. Cittadini per cui il ricatto permesso di lavoro/soggiorno, si unisce alla crescita del disagio e della disoccupazione, all’impossibilità di partecipare alla vita politica della città, alle forme di esclusione imposte da una guerra pilotata fra ultimi e penultimi. Una città in cui accoglienza ed esclusione, convivenza e rifiuto, riscatto sociale e devianza si incrociano, soprattutto nei guasti delle periferie. A pagarne i danni maggiori, oltre ai rom, che restano emblema del rifiuto, ci sono oggi, al centro dell’attenzione, i richiedenti asilo, che passano la vita fra strutture di prima accoglienza straordinarie (CAS) o ordinarie (SPRAR); minori e vulnerabili, persone a cui sembrano preclusi tutti i percorsi che portano ad una completa autonomia. Con queste persone vanno costruiti percorsi comuni per giungere a eliminare alla radice le condizioni di violazione perenne dei più elementari diritti umani.
Roma è la città in cui si sono realizzate, anche in questo campo, le peggiori speculazioni: la vicenda, ancora agli inizi, di Mafia Capitale ne è la dimostrazione inequivocabile. E’ anche la città della delibera n. 140/2015, usata dal Prefetto Tronca per cancellare con un colpo di spugna decine di esperienze di auto-organizzazione e di solidarietà dal basso che hanno garantito sino ad oggi accoglienza e servizi sociali sul territorio.
Siamo consapevoli che buona parte dei cambiamenti, anche legislativi, andrebbero prodotti in un quadro nazionale e europeo ma, per le vicende che riguardano rom e rifugiati gli Enti locali possono essere i garanti e i tutori delle politiche d’inclusione, operando un decentramento. In uno slogan: dal territorio della cittadinanza, alla cittadinanza territoriale. I Municipi, in accordo con le strutture del Comune, possono essere protagonisti della risposta a una domanda di accoglienza e di costruzione di ambiti di convivenza.
La discontinuità che chiediamo di veder sperimentata richiede alcune prerogative:
1) Trasparenza per ogni ambito delle politiche di accoglienza, dalla localizzazione e gestione dei centri, a tutto ciò che riguarda l’agire sul territorio.
2) Controllo pubblico, che va garantito mediante un’autorità indipendente, che verifichi tanto le condizioni degli ospiti quanto quelle degli operatori dei centri e il rispetto degli impegni assunti dagli enti gestori.
3) Microaccoglienza. Attraverso il superamento dei grandi centri che si trasformano in ghetti e impediscono il realizzarsi di percorsi di autonomia degli ospiti. Centri con poche persone, rapporto numerico fra ospiti e operatori concordato, ripartizione in appartamenti per portare rapidamente a percorsi di indipendenza.
4) Appalti. Sostituzione nei bandi di affidamento dei criteri di offerta al massimo ribasso o economicamente più vantaggiosi, con quelli che privilegiano la qualità dei servizi e il rispetto di chi lavora.
5) Esclusioni. Coloro che negli anni non hanno ottemperato agli obblighi contrattuali previsti all’atto dell’assegnazione dei centri vanno esclusi da ogni appalto per un periodo proporzionale alle responsabilità. Vanno garantite clausole di salvaguardia sociale per evitare che le negligenze dei gestori ricadano sugli operatori.
6) Partecipazione. Chi intende amministrare Roma deve costruire pratiche concrete di partecipazione alla vita sociale, culturale, politica ed economica della città, valorizzando le diverse provenienze, impedendo di far percepire come minaccia i nuovi arrivati, costruendo pratiche di incontro e di costruzione di una città plurale.
LAVORO E PROFESSIONALITA’
LE CRITICITA’
Il trattamento dei lavoratori da parte degli enti gestori
La collocazione di settori sempre più consistenti ed importanti della pubblica amministrazione al di fuori del proprio ambito di gestione diretta (processi di esternalizzazione dei servizi), ha determinato, in molti casi, condizioni di lavoro povero e mal tutelato, una scarsa qualità dei servizi e scarsa trasparenza nel sistema degli appalti. Il trattamento delle lavoratrici e dei lavoratori nel rapporto con gli Enti Gestori rappresenta una delle maggiori criticità soprattutto per quanto riguarda l’applicazione del CCNL, la regolarità dei pagamenti, l’individuazione, l’utilizzo e il mancato riconoscimento delle professionalità.
Tutele sanitarie
Si rileva un’insufficienza o assenza di tutele sanitarie adeguate per gli operatori, considerando che si tratta di un lavoro ad alto rischio, e l’assenza, nella maggior parte dei casi, della supervisione a livello psicologico per evitare casi di burn-out, rischio molto alto e frequente per chi lavora in questo settore.
Rapporto sbilanciato tra operatori e ospiti
Le condizioni pessime di lavoro degli operatori che caratterizzano molti servizi di accoglienza, ostacolano la costruzione di percorsi per l’autonomia degli ospiti. Tra i fattori che concorrono a determinare questo circolo vizioso vi è lo squilibrio esistente tra il numero di operatori e quello degli ospiti.
LE PROPOSTE
Riconoscimento delle figure professionali che operano nell’accoglienza
La valorizzazione del lavoro e della professionalità degli operatori è una condizione indispensabile per il buon funzionamento del sistema di accoglienza. Si propone il riconoscimento della figura dell’operatore dell’accoglienza che possieda conoscenze e competenze in materia ed esperienza nel settore; la valorizzazione della figura del mediatore interculturale; l’utilizzo al meglio delle figura dello psicologo/sociologo.
Garanzia di una formazione continua
Per tutti questi profili professionali va prevista una formazione di partenza adeguata e una formazione continua attinente al lavoro svolto a carico degli enti promotori, in modo da assicurare un servizio di qualità grazie ad un organico sempre aggiornato e preparato.
Monitoraggio e controllo in itinere ed ex post. Il rispetto dei CCNL e della normativa in materia di tutela del lavoro dovrebbe essere oggetto specifico dei controlli in itinere ed ex post dei servizi erogati, anche in concerto e in collaborazione con le OO.SS. dei lavoratori.
Definizione della clausola sociale
La definizione della c.d. clausola sociale riveste un ruolo prioritario, garantendo la continuità della prestazione lavorativa e la tutela occupazionale che al momento non viene garantita nei casi di avvicendamento dell’ente gestore.
Un rapporto equilibrato tra numero di operatori e di ospiti
La definizione precisa ed adeguata del rapporto numerico tra operatori e ospiti modificherebbe strutturalmente il funzionamento del sistema di accoglienza e favorirebbe un rapporto tra operatori e ospiti basato su cooperazione e dialogo, al fine della costruzione condivisa di progetti e della promozione dell’autonomia, lavorando sull’inserimento nel tessuto sociale e sulla costruzione di reti con il territorio.
Ripensare il sistema pubblico dell’accoglienza
Si potrebbe infine avviare una riflessione sul processo di internalizzazione dei Centri di accoglienza, nella consapevolezza che tale argomento non può che iscriversi nell’ambito più generale di una riflessione sulla sedimentazione progressiva dei processi di esternalizzazione compiuti dalla pubblica amministrazione ed essere valutato considerando come elementi prioritari la qualità dei servizi, la tutela occupazionale e il più efficiente utilizzo delle risorse pubbliche.
LE COMMISSIONI TERRITORIALI
LE CRITICITA’
Composizione. La composizione delle Commissioni è un punto particolarmente delicato e dolente, non essendo chiaro quali siano esattamente i criteri che presiedono ad essa ed il ruolo di ciascun componente.
Tempi di decisione. L’incertezza dei tempi di decisione e il loro prolungamento in caso di ricorso contro un eventuale diniego determinano un aggravio dei costi del sistema di accoglienza ed un ritardo dei percorsi d’inclusione.
Preparazione ai colloqui inadeguata. I gestori dei centri di accoglienza sottovalutano l’importanza che riveste la preparazione dei richiedenti asilo al colloquio con la Commissione, non investendo le risorse e le competenze necessarie.
Scarsa formazione dei membri e degli operatori dei centri di accoglienza.
LE PROPOSTE
Ampliamento del numero e dell’organico delle Commissioni operanti su Roma. A supporto del lavoro delle Commissioni potrebbe intervenire il personale pubblico, in mobilità volontaria, da reperire all’interno dei più generali processi di mobilità fra strutture pubbliche (si pensi alle province).
Esatta definizione dei criteri di composizione delle Commissioni e del ruolo assegnato ai singoli membri.
Investimento da parte egli enti gestori di competenze e risorse adeguate nella preparazione dei richiedenti protezione al colloquio della Commissione.
BANDI, SISTEMI DI CONTROLLO, SISTEMI DI ACCREDITAMENTO
LE CRITICITA’
Progressiva intensificazione del processo di esternalizzazione dei servizi sociali. Esso è determinato in primo luogo (ma non solo) dai tagli alla spesa pubblica e in particolare sociale imposti a livello nazionale ed europeo.
Approccio emergenziale. La mancata pianificazione di un sistema nazionale di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati, capace di far fronte alla domanda esistente, è all’origine dell’approccio emergenziale che ha caratterizzato le politiche di accoglienza in particolare dal 2011 in poi e causato la coesitenza di due sistemi paralleli di affidamento dei servizi: quelli “ordinari” (Sprar, Cara) e quelli “straordinari” (CAS).
Affidamento dei servizi per brevi periodi (8 mesi, 1 anno). Non sono rispettate le indicazioni contenute nelle Le Linee guida per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali pubblicate dall’Anac con Delibera N. 32 del 20 gennaio 2016 che suggeriscono un arco temporale (3 anni) per gli affidamenti dei servizi.
Sistema di pagamento. L’incertezza e il ritardo dei tempi di pagamento comportano tensioni finanziarie che spesso causano l’abbassamento della qualità dei servizi, il peggioramento delle condizioni di accoglienza, la tardiva o la mancata retribuzione degli operatori.
Mancanza di un sistema di monitoraggio e controllo dei servizi adeguato, efficiente, trasparente. Manca un riscontro dei servizi di accoglienza erogati che consenta, anche attraverso lo strumento dei bilanci sociali, una valutazione della qualità dell’accoglienza in termini di efficacia degli interventi di inclusione e di orientamento sociale, la verifica della garanzia dei diritti dei lavoratori, il riconoscimento delle loro qualifiche e competenze, del rispetto del contratto nazionale di lavoro e della clausola sociale, della tutela della loro salute.
Sistemi di accreditamento e disciplina dei requisiti di accesso inadeguati. Mancata esclusione delle cooperative coinvolte nelle indagini di Mafia capitale dall’accesso ai bandi di appalto dei servizi, verifica insufficiente dei requisiti anti-mafia individuali dei rappresentanti legali; inadeguata valorizzazione della qualità dei servizi offerti; progressiva concentrazione della gestione dei servizi nelle mani di pochi enti di grandi dimensioni e primato del criterio di offerta economicamente più vantaggiosa a discapito del rispetto degli standard di qualità e dei diritti sul lavoro sono le criticità principali.
LE PROPOSTE
Escludere la spesa sociale dal patto di stabilità. Occorre garantire risorse sufficienti a far fronte alla domanda sociale esistente espressa complessivamente dai cittadini italiani e stranieri.
Il ruolo d’indirizzo e coordinamento dei servizi deve essere pubblico e gestito dall’ente locale. La formula della co-progettazione, frutto della collaborazione tra enti pubblici e soggetti di terzo settore, potrebbe favorire progetti innovativi e di alta qualità.
Riforma del sistema di affidamento dei servizi. I criteri del massimo ribasso e dell’offerta economicamente più vantaggiosa dovrebbero essere sostituiti da criteri che premino la qualità sociale e la sostenibilità dei servizi di accoglienza.
Recupero e valorizzazione del patrimonio pubblico a uso sociale. Consentirebbe di scorporare dai bandi l’individuazione e la messa in opera delle strutture di accoglienza e di rimuovere uno dei fattori che favoriscono la corruzione e il cattivo utilizzo delle risorse pubbliche.
Trasparenza delle gare di appalto, delle convenzioni stipulate, delle attività di monitoraggio e di controllo dei servizi. E’ la condizione indispensabile per “liberare” il sistema di accoglienza metropolitano dai fenomeni di corruzione, garantire una gestione di qualità dei servizi e il corretto impiego delle risorse pubbliche. Significa: libero accesso di soggetti terzi agli atti pubblici che intervengono nella procedura di affidamento dei servizi e alle strutture di accoglienza.
Sistema dei requisiti di accesso ai bandi. I requisiti di accesso ai bandi per qualsiasi tipologia di accoglienza devono prevedere la garanzia degli standard minimi di qualità dei servizi erogati. In ogni caso devono essere garantiti: la mediazione linguistico-culturale; l’orientamento e accesso ai servizi del territorio, la formazione e riqualificazione professionale; l’orientamento e accompagnamento all’inserimento lavorativo, abitativo, sociale e legale; la tutela psico-socio-sanitaria. Requisiti richiesti: la pregressa idoneità delle strutture di accoglienza utilizzate, l’applicazione dei CCNL, l’effettivo impiego di tutte le figure professionali previste, l’invio di CV firmati e datati da parte degli operatori, un rapporto equilibrato tra numero di operatori impiegati e numero di richiedenti asilo ospitati, idonee e dettagliate procedure finalizzate a garantire la effettiva tracciabilità dei flussi finanziari, il rispetto degli obblighi di trasparenza e anticorruzione.
Un monitoraggio e un controllo efficace che coinvolga i migranti. Potrebbe essere svolto da una commissione mista composta da rappresentanti dell’ente locale, di organizzazioni indipendenti della società civile e dei migranti. Dovrebbe riguardare l’effettività dell’erogazione e il livello di qualità dei servizi, il rispetto dei diritti dei lavoratori e degli obblighi di trasparenza e anticorruzione.