Il caos mediorientale, non solo Siria e Iraq ma anche la mai risolta questione palestinese, quella kurda e quella che riguarda lo Yemen, le tensioni dei Paesi del Nord Africa, dall’Egitto alla Libia – per ora – i disastri militari, economici e ambientali nell’Africa Sub Sahariana, determinano una condizione di accerchiamento a cui semplicemente l’UE non sa e non vuole rispondere con gli strumenti giusti.
Si accetta un accordo ricatto con il regime di Erdogan in Turchia affinché oltre 2 milioni di richiedenti asilo non entrino in Europa, un accordo che prevede l’erogazione in totale di 6 miliardi di euro per “accogliere” i profughi e tenerli lontani. Si potranno rimandare in Turchia persone considerate non in condizione di restare in Europa in cambio di profughi siriani vulnerabili, uno ne riconsegno e uno ne prendo, in una logica di osceno mercato di esseri umani contrario a qualsiasi convenzione internazionale.
L’idea stessa di Unione Europea, su questo accordo, è semplicemente morta. Se 7 anni fa l’Italia berlusconiana sviluppava un meccanismo altrettanto scandaloso con il regime libico (soldi e strutture in cambio di centri di detenzione e impedimenti alle partenze) oggi il sistema acquista dimensione continentale e di vera e propria vendita delle persone. Al parlamento europeo si affannano, i difensori dell’accordo a dichiarare che i fondi verranno gestiti da organizzazioni umanitarie, che ci saranno controlli e che i diritti umani dei profughi saranno garantiti.
Basta essere andati in Turchia o, peggio ancora nei luoghi di frontiera con la Grecia per vedere come questi vengono rispettati. Bastonate a chi prova a imbarcarsi, rimpatri forzati, campi di detenzione in cui si muore e si soffre, se va bene, condizioni di abbandono senza speranza nella maggioranza dei casi.
Le risorse che verranno donate non solo consentiranno al regime turco di mantenere una potentissima arma di ricatto e uno strumento in più per poter entrare, con i propri tempi e senza modificare la propria concezione di “diritti umani”, in Europa, ma intanto di fare piazza pulita delle opposizioni non solo kurde ma soprattutto della sinistra che vanno crescendo nel Paese.
Un accordo che oltre che offrire indirettamente armi alla Turchia costringe il governo greco a svolgere il lavoro sporco. In Grecia, in isole come Kos e Lesbos, in luoghi divenuti simbolo come Idomeni, si svolgeranno le operazioni di scambio delle persone, di rottura dei destini e delle vite di tanti. Forse, ma solo per ora, i profughi siriani e iracheni ancora avranno scampo. Ma per chi arriva da paesi come il Pakistan o l’Afghanistan che è difficile considerare sicuri, scatteranno i rimpatri coatti, senza badare alle conseguenze.
I restanti paesi balcanici ergono muri. Materiali e in filo spinato come hanno già fatto in Bulgaria, Slovenia, Ungheria e Macedonia, accompagnati da militarizzazione dei territori, caccia al profugo, xenofobia dilagante che ormai prende il sopravvento in tutto il centro Europa anche laddove, come in Polonia, di profughi se ne contano pochi. E si militarizzano i confini in Austria, a Calais fra Francia e Regno Unito, a Ventimiglia e sul Brennero, per l’Italia, si chiede di rafforzare i controlli nel Nord Est.
Insomma la fine anche di quel misero accordo di libera circolazione che era l’area Schengen, misero perché di fatto già separava cittadini europei, che passano senza controllo, dagli altri, sottoposti alle stesse, se non più severe norme di sicurezza.
E a dare un ulteriore colpo di maglio ad un Unione, mai nata in realtà come spazio dei popoli, provvedono anche, in maniera speculare, gli attacchi di un terrorismo di stampo fascista come quello del Daesh.
Provvede direttamente, costruendo anche nei luoghi che non sono di frontiera, la logica della paura come condizione immanente. Provvede indirettamente, attraverso scelte politiche e modalità di fare informazione che non aprono a soluzioni. A volte bastano piccoli (si fa per dire) aspetti per rendere l’idea.
Dal giorno degli attentati che hanno funestato Parigi, 74 cittadini sospettati di legami col terrorismo sono stati espulsi dall’Italia. Non si sono fatte indagini, non si è cercato di capire se realmente erano interni a reti criminali da smontare e distruggere, li si è presi per quanto hanno (forse) detto e li si è rimpatriati. Presi di notte e mandati a casa in poche ore, senza neanche interrogatori, senza neanche voler comprenderne la reale pericolosità.
Problema rimosso in maniera propagandistica ma non affrontato con l’intelligence necessaria, per trovare i nessi che magari attraversano il continente e provare a disarticolarne la potenza. Sarà una coincidenza ma laddove si fanno indagini ci sono innocenti che vengono rilasciati con tante scuse – magari persone con opinioni detestabili ma opinioni -, e colpevoli a cui si impedisce di compiere attentati.
Accanto a queste decisioni fondamentalmente stupide si è scelta la militarizzazione delle città. Vedere le stazioni della metropolitana di Roma riempite di militari con mitra d’ordinanza, vedere nelle altre città europee simili dimostrazioni di potenza bellica dovrebbe produrre un effetto rassicurante. Invece induce nella paura, nell’idea che qualcosa potrebbe da un momento all’altro accadere.
Le persone comuni si rendono conto di quanto siano inutili simili ostentazioni di ragazzini in divisa, destinate al massimo a scoraggiare da qualche borseggio, o a fermare cittadini migranti scelti a caso. Attacchi come quello di Bruxelles dimostrano come non sono i militari ad un angolo a poter impedire il peggio ma è un lavoro comune fondato sulla condivisione dei sistemi di sicurezza europei che possono intanto almeno tentare di parare i colpi.
L’UE ha sistemi condivisi per quanto riguarda il controllo e il contrasto alla circolazione di migranti irregolari, di profughi che cercano di vivere in un Paese diverso da quello in cui sono finiti. Gli Stati membri sono severi e rigidi in questo ed anche efficienti. Ma chi ha compiuto gli attacchi di Parigi e Bruxelles era ed è cittadino europeo e in quanto tale non presente in queste banche dati se non precedentemente schedato.
Le misure che si vogliono prendere vanno in questo senso? Bah, lo scetticismo è d’obbligo il codice per registrare i viaggi compiuti in aereo o treno che deve permettere una schedatura, la stessa chiusura di Schengen, con maggiori controlli alla frontiera non danno grande affidamento.
Fanno pensare ai Daspo negli stadi sportivi che vengono tranquillamente violati, a quanto sempre negli stadi riesce impunemente ad entrare, a quello che accade laddove non è previsto – sempre utilizzando il paragone sportivo – possa accadere qualcosa. La repressione in quanto tale, come unico strumento di risposta è semplicemente inadeguata, impraticabile e spesso insufficiente.
Ma allora diviene fondamentale tornare alla risposta iniziale. Quella per cui si considera l’UE avviata verso il suicidio. Se un continente di 510 milioni di abitanti non è in grado di dare risposte comuni in politica estera, non finanziando guerre e dittatori e non riuscendo a reggere il peso di un milione di profughi che temporaneamente avranno bisogno di sostegno, questa UE è inutile.
Se si continua ad impedire ai pochi che ancora cercano di entrare per trovare migliori condizioni di vita senza dover ricorrere ai trafficanti di esseri umani ma con meccanismi di ingresso regolari, perché la prima soluzione garantisce lavoro a basso costo e possibilità di attaccare i livelli salariali di autoctoni e di chi è arrivato anni prima, questa UE è dannosa.
Se si decide che alcune economie debbano poter monopolizzare i settori produttivi e restare competitivi su scala globale mentre altre, dal Sud Europa al Nord Africa, debbono sprofondare ed accettare il ruolo di produttori di merce di scarso valore, con bassi salari pessime condizioni di vita e livelli di consumo poco superiori alla sussistenza, questa UE è destinata a sparire, risucchiata dalle prospettive che nascono nei grandi paesi emergenti, i BRICS ad esempio.
Potrà sembrare assurdo ma un continente che accettasse non la rivoluzione socialista ma le idee di un economista come Stiglitz secondo cui minori sono le diseguaglianze e maggiore è lo sviluppo, potrebbe rompere il meccanismo infernale in cui si è precipitati e che ci sta portando verso la catastrofe.
L’Europa potrebbe ridivenire un modello alternativo, capace di costruire consenso e speranza per affrontare le disperazioni globali. Potrebbe divenire esempio per le economie in crescita in cui tuttora la concentrazione di ricchezze è nelle mani di elites e per gli altri vige la povertà estrema. Una migliore redistribuzione delle risorse non costringerebbe alla fuga, una fine dei conflitti non produrrebbe la necessità degli esodi.
Oggi, tornando al “terrorismo” si parla di islamismo radicale, ad alcuni (ed io sono fra questi) convince di più parlare di islamizzazione del radicalismo. Perché di cambiamenti radicali, o che almeno producano effetti radicali, ce ne è bisogno. Fino a quando 63 persone avranno lo stesso patrimonio di 3,5 miliardi di uomini e donne, ce ne sarà sempre bisogno.
E se la lotta per l’eguaglianza potesse tornare a divenire l’alternativa alla guerra e al terrorismo?