Riprendono le partenze dalla Libia, ma non se ne deve parlare. Il sistema di accoglienza verso una nuova emergenza umanitaria.
1.Fino al 10 marzo il numero dei migranti soccorsi nelle acque a nord della Libia e sbarcati in Italia, non superava di molto quello del corrispondente periodo dello scorso anno, ed ammontava attorno a 10.000 persone. Malgrado le evidenti disfunzioni verificatesi a Lampedusa, Porto Empedocle (Agrigento) e Pozzallo ( Ragusa), si poteva affermare che il sistema degli Hotspot, attivato solo parzialmente, aveva retto solo a Trapani, grazie alla disponibilità del Prefetto ed al contributo delle associazioni e soprattutto della Croce Rossa. Nell’Hotspot di Trapani Milo In tre mesi, da quando è stato riconvertito il CIE precedentemente in attività, a partire dal 28 dicembre, sono stati 2942 i migranti fotosegnalati con il prelievo delle impronte digitali. Questi numeri si spiegano con la provenienza dei migranti che arrivano dalla Libia, nei primi mesi dell’anno. Infatti, a differenza degli anni precedenti, non sono arrivati siriani ed eritrei, che per la più alta probabilità di accoglimento delle loro richieste di asilo in altri paesi che garantivano migliori standard di accoglienza, facevano di tutto per proseguire il loro viaggio senza essere registrati in Italia. In base al Regolamento Dublino III dell’Unione Europea, infatti, per coloro che subivano il prelievo delle impronte digitali in Italia si sbarrava la possibilità di accedere alla procedura di asilo in altri paesi europei, salvo modeste possibilità di deroga, ad esempio per ricongiungimento familiare, che le resistenze della burocrazia rendevano del tutto aleatorie.
Centinaia di migranti, dopo essere stati identificati nell’Hotspot di Milo, sono stati trasferiti nei Centri di Accoglienza straordiaria (Cas) di diverse regioni, come Lombardia, Abruzzo, Marche, Puglia, Toscana, Liguria, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna.
La “relocation europea” prevista dal Piano sull’immigrazione e dalla Roadmap italiana approvate lo scorso anno senza misure vincolanti di carattere legislativo, si è rivelata un totale fallimento, a parte alcune operazioni di immagine, e molte persone che dovrebbero usufruirne restano ancora in attesa della ‘relocation in altri stati dell’Unione Europea,’ presso l’hub di Villa Sikania (Ag), al momento unico Hub regionale per l’accoglienza. e altri in un Centro di accoglienza straordinaria di Marsala(Tp). A fronte delle buone pratiche registrate nell’Hospot di Trapani Milo, malgrado la circolare del Ministero dell’interno dell’ 8 gennaio scorso, proseguono seppure con cadenza attenuata, le prassi di respingimento differito adottate dalle Questure di Agrigento e Ragusa. Le pratiche di sbarco nelle città di Pozzallo, di Augusta (Siracusa), di Messina e di altre città, come Reggio Calabria, Taranto e Cagliari, si svolgono con modalità che non garantiscono una effettiva informazione ed un accesso immediato alle procedure per il riconoscimento dello status di protezione internazionale.
Negli ultimi mesi è cresciuto notevolmente il tasso dei dinieghi sulle richieste di protezione, passando dal 46% del 2015 al 66 % del 2016, ed aumenta continuamente la tensione nei centri di accoglienza di diversa natura, anche a fronte della prolungata inattività ( nei centri SPRAR) e del mancato rispetto delle convenzioni con le prefetture ( per i CAS) da parte degli enti gestori. Particolarmente delicata la situazione dei minori non accompagnati, delle donne, e dei soggetti vulnerabili, costretti ad una convivenza forzata in condizioni assai disagiate nella maggior parte dei centri. Di fatto si sta creando una rete parallela di accoglienza, basata sulla autorganizzazione e sugli spazi occupati che non garantisce alcun diritto ai migranti che sono costretti a farvi ricorso come ultima opportunità, una scelta forzata come la partenza dalla Libia, che si presta però a diventare occasione di scontro sociale, se non di repressione da parte delle forze di polizia.
2. A partire dal 10 marzo, prima ancora che la rotta balcanica fosse chiusa, ammesso che mai quella rotta possa essere davvero sbarrata del tutto, dalla Libia sono riprese le partenze ( ma sarebbe più appropriato dire fughe) di un numero consistente di migranti, che al loro arrivo in Sicilia mostravano segni sempre più evidenti di maltrattamenti ed abusi. Aumenta in modo esponenziale il numero delle giovani donne, prevalentemente nigeriane, molte delle quali incinta malgrado non fossero accompagnate e risultassero di giovane età.
Le operazioni di soccorso si sono svolte in un tratto del mare libico compreso tra 25 e 50 miglia a nord delle coste, in operazioni coordinate dalla centrale operativa di Roma della Guardia Costiera. Alle diverse operazioni hanno partecipato la nave Diciotti, della Guardia Costiera; la romena Mai, inquadrata nel dispositivo Frontex; l’inglese Enterprise, inserita nell’operazione Eunnavfor-Med; e la Aquarius, della Associazione SOS Mediterranée. Hanno operato anche, per conto di Frontex anche una fregata rumena e altri mezzi di supporto.
Ad alcuni degli interventi hanno dato assistenza anche la nave Aliseo, ed altre imbarcazioni della Marina Militare, che operano nel dispositivo Mare Sicuro. Operare a 16 o 24 miglia di distanza della costa di Sabratah o di Zawia, espone i mezzi di soccorso disarmati a pericoli crescenti, in quanto le varie milizie libiche dispongono di gommoni veloci dotati di mitragliere. Con questi mezzi, che servono anche al controllo del movimento dei mercantili e delle petroliere in partenza dai porti libici, si compiono anche attività di blocco dei gommoni dei migranti. Nei giorni scorsi le milizie libiche hanno fermato in mare ed arrestato circa 600 migranti di diverse provenienze nazionali, in prevalenza subsahariani, bloccati a bordo di tre barconi a circa 10 miglia dalla costa della città di Sabratha, mentre erano diretti verso le coste italiane. Lo ha riferito all’agenzia Mena, Ayoub Qassem, portavoce della Guardia costiera locale. Tra di loro anche 60 donne, ed è a tutti noto il destino di abusi che è riservato alle donne in Libia. Secondo quanto riferiscono rappresentanti della Guardia costiera libica, i migranti fermati sono poi stati condotti nel centro che si occupa della ‘lotta contro l’immigrazione clandestina’ a Zawia per poi essere rimpatriati nei loro Paesi di origine, come sarebbe già successo in passato.
Dopo un periodo di relativa stasi le partenze dalla Libia hanno subito dunque una brusca impennata, e si può calcolare che dal 18 al 28 marzo siano arrivate almeno 5000 persone. Nessuna invasione, e si resterà lontani dalle cifre sbandierate dai servizi di informazione che paventano oltre mezzo milione di ingressi, ma un dato rilevante che dovrebbe spingere ad interrogarsi sulle cause ed a predisporre un sistema di accoglienza adeguato. Una progressione che potrebbe far crescere il numero dei migranti sbarcati in Italia a superare la soglia dei 170.000 raggiunta nel 2014. Con un sistema di accoglienza capace di funzionare a regime e di erogare le prestazioni previste dalle convenzioni con un controllo diffuso da parte delle prefetture e con il regolare pagamento degli operatori, non sarebbero cifre da suscitare preoccupazioni. Ma se si guarda allo stato attuale di molte strutture, ed alle prassi applicate dalle autorità amministrative, come sono documentate dalla Campagna LasciateCientrare, le previsioni appaiono sempre più preoccupanti, a fronte di una ulteriore impennata degli arrivi dalla Libia.
3. Il numero degli sbarchi in Sicilia e nelle altre regioni come la Puglia, la Calabria e la Sardegna, è dunque in rapido aumento e molto dipenderà da come andranno le cose in Libia. Non ne parla quasi nessuno. Anche nell’ultima settimana si è sparato all’aeroporto Mitiga di Tripoli e la strada costiera da Bengasi a Tripoli e poi fino al confine con la Tunisia è bloccata da numerosi chek-point sotto il controllo delle diverse fazioni.
Sembra però che sulla questione libica e sulle partenze di migranti da quel paese sia calato il silenzio stampa. Come se gli italiani non dovessero sapere cosa sta succedendo davvero in un paese cruciale, non solo per il transito dei migranti. Gravi responsabilità dei grandi canali di informazione che bombardano senza soluzione di continuità solo notizie che riguardano l’emergenza terrorismo. Si vuole diffondere creare altra paura oltre a quella, legittima, che tutti proviamo, ostaggi di una guerra che altri hanno dichiarato. Commentatori frettolosi insistono sulla tesi dei vasi comunicanti e ritengono che questo aumento delle partenze dalla Libia sia legato alla chiusura della rotta balcanica. ma così non fanno capire nulla di quello che sta veramente succedendo in Libia e nei paesi confinanti. E nel Mediterraneo si continua a morire.
Fa davvero paura la mancanza di informazioni sulla base delle quali si dovrebbero programmare i trasferimenti delle persone che vengono sbarcate dopo le operazioni di soccorso e la delega in bianco ai servizi segreti, come ha fatto il governo Renzi, prima di frenare precipitosamente sull’ipotesi di un intervento militare sul terreno in Libia. Si prepara lo stato di polizia in nome dell’emergenza. Di certo le condizioni del nostro sistema di accoglienza e la conclamata impraticabilità del metodo Hotspot di fronte all’arrivo di un numero più elevato di persone, in assenza di qualsiaisi possibilità di previsione degli arrivi, rischia di fare esplodere anche in Italia una vera e propria crisi umanitaria, con gravi ripercussioni nei rapporti tra gli stessi immigrati presenti nelle strutture di accoglienza e la popolazione residente. Una crisi umanitaria che potrebbe essere pretesto, ancora una volta per adottare soluzioni emergenziali, come si sta già profilando in provincia di Messina, dove si fa largo ricorso a strutture militari come ex caserme, se non a vere e proprie tendopoli, come quella aperta da tempo nel campo sportivo ubicato dietro al Palaspedini. Sembra che l’unica preoccupazione sia costituita dalla identificazione dei migranti attraverso il prelievo delle impronte digitali, nell’ambito di attività di indagine che portano spesso a risultati eclatanti sulle pagine dei giornali, senza però trovare un successivo riscontro in fasi procedimentali nei Tribunali. E il quadro si potrebbe complicare ulteriormente se in Libia lo scontro armato tra le diverse fazioni dovesse trasformarsi in una guerra civile vera e propria.
4. Lo “stato di emergenza” si verifica anche a bordo di alcune navi dell’Agenzia Frontex e dell’operazione europea EUNAVFORMED che pattugliano il Mediterraneo centrale che, lontano da occhi indiscreti, stanno diventando grandi collettori di persone soccorse da altri mezzi, ma che sono trasbordati su quelle navi, prima di essere sbarcate a terra, in Sicilia o in altre regioni italiane. Le informazioni che si forniscono a terra dopo gli sbarchi sono differenziate a seconda dei gruppi di migranti ai quali si rivolgono.
In modo sempre più evidente, a fronte della notizia di continui trasbordi da un mezzo di promo soccorso ad una unità di Frontex, una parte del lavoro di preidentificazione si è svolto a bordo delle navi di Frontex che in qualche caso hanno rallentato la loro marcia di avvicinamento ai porti, come la SIEM Pilot in rotta verso Pozzallo a 5 nodi di media… per arrivare al momento dello sbarco a terra con la maggior parte dei naufraghi già selezionati e diretti quindi con i pullman verso i centri di accoglienza, oppure, a seconda dei casi, verso gli Hotspot, come quello di Trapani Milo, se non verso i centri di identificazione ed espulsione per un immediato respingimento, quando questo non fosse stato eseguibile in tempi brevi.
La identificazione e selezione dei naufraghi, perchè di questo si dovrebbe trattare, e non di “clandestini”, una serie di interviste con l’attribuzione dell’età e della nazionalità, cominciano subito a bordo delle navi militari o dei mezzi di Frontex, dove si attiva anche la caccia agli scafisti. Quando si arriva nel porto di destinazione, il destino della maggior parte dei migranti è già segnato dalla schedatura fatta dagli agenti di Frontex o da altri agenti di polizia presenti a bordo.
Ci saranno coloro che vengono ritenuti migranti economici, e quelli che saranno valutati come meritevoli di protezione. sempre che accettino di rilasciare le impronte digitali. In caso contrario si prospetta il prolungamento del trattenimento. Senza che nessuno sia stato minimamente informato dei propri diritti. Una sperimentazione continua di prassi di polizia che non rispettano le direttive dell’Unione Europea in materia di accesso alla procedura di protezione internazionale.
Di certo un meccanismo di selezione, spesso sulla base della provenienza nazionale, e preidentificazione che andrà in crisi, non appena il numero dei migranti aumenterà ancora, come è successo in questi ultimi giorni, con il salvataggio di quasi 1500 persone in meno di 48 ore.
Nel pieno di una stagione segnata da stragi di stampo terroristico in diverse parti del mondo, nessuno si commuove più per i migranti che vengono uccisi nei loro viaggi o che annegano in mare, le stragi degli scorsi anni, con centinaia di corpi in fondo al mare sono dimenticate, anzi l’opinione pubblica si lamenta per quelli che vengono soccorsi. Per molti, che hanno ampio spazio nei media più seguiti, dovrebbero essere rinviati indietro, nelle mani dei loro torturatori. Neppure le parole del Papa trovano riscontro nelle scelte dei politici e dei vertici di polizia. E sulla pelle delle persone migranti e di chi li assiste è sempre campagna elettorale.
Al di là delle parole e degli appelli, rimangono segni di violenza e di abusi sui corpi di chi viene fatto sbarcare in Italia dopo essere stato soccorso in acque internazionali. Una scelta di soccorso imposta dalle convenzioni internazionali, oltre che dalla coscienza umana. Sono tutti migranti forzati. A tutti coloro che arrivano dalla Libia, sul baratro della guerra civile, una guerra che l’Unione Europea continua a sottovalutare, deve essere riconosciuto almeno un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Anche ai cittadini del Bangladesh, ai pakistani, ai gambiani, ai quali le Commissioni territoriali riservano sistematicamente un diniego, definendoli come migranti economici.
5. Il ruolo dell’Italia nello scacchiere libico appare sempre più modesto, a parte le basi militari concesse con troppa facilità, dopo lo schieramento a terra di forze armate britanniche, e la concorrente attività di gruppi militari di varia nazionalità, per non parlare dei bombardamenti mirati con i droni. Di certo va evitata l’avventura di un intervento militare che potrebbe avere conseguenze incalcolabili, ben oltre la mera finalità di ridurre le partenze di migranti verso l’Europa. Ma è in Italia che occorre prepararsi di fronte ai prevedibili sviluppi che si potranno verificare in Libia.
Occorre rivedere tutto il sistema della prima accoglienza in Italia, soprattutto in quei luoghi che, già da tempo Centri si soccorso e prima accoglienza al di fuori delle regole, adesso sono stati presentati all’opinione pubblica come Hot Spot, magari “sperimentali” ma dove continuano tutte le prassi già denunciate da tempo, da singole associazioni e da grandi organizzazioni umanitarie.
Il Centro “Hotspot” di Lampedusa deve essere riconvertito al più presto in Centro di soccorso e prima accoglienza ( CSPA), con il rigoroso rispetto di quanto previsto dall’art. 22 del Regolamento di attuazione n.394 del 1999, in base al quale la permanenza in queste strutture deve essere quanto più breve possibile e nella prassi non superiore a 48-72 ore..Dovrà prevedersi un sistema di trasferimento rapido dei migranti soccorsi e sbarcati a Lampedusa, anche con il ricorso a mezzi aerei, come si faceva già negli anni precedenti, in modo da garantire sempre una congrua disponibilità di posti nella struttura di prima accoglienza di Contrada Imbriacola.
Dovrà interrompersi la prassi tuttora in corso, di mantenere a tempo indeterminato in uno stato di trattenimento nel centro dell’isola, quanti subito dopo lo sbarco, rifiutano di farsi prelevare le impronte digitali. Questa prassi di polizia rischia di reiterare quelle “condizioni disumane e degradanti” all’interno del centro in perenne sovraffollamento, e quella negazione dei diritti di difesa, che, appena lo scorso settembre del 2015, hanno portato ad una condanna dell’Italia da parte della Corte Europea dei diritti dell’Uomo ( caso Khlaifia). Una sentenza contro la quale il governo Renzi ha tuttavia presentato ricorso, in continuità con i governi precedenti.
Si ribadisce la più netta opposizione verso la militarizzazione della prima accoglienza, con le limitazioni dell’accesso alle zone portuali di sbarco, come si sta verificando da mesi nel porto di Catania. Si denuncia il ricorso all’uso della forza da parte della polizia nei confronti di chi si rifiuta di rilasciare le proprie impronte, all’esclusivo fine di non subire le conseguenze dell’iniquo Regolamento Dublino, e non certo perché vogliono delinquere in Europa.
Le associazioni umanitarie devono avere libero accesso alle zone di sbarco, anche per le necessarie attività di mediazione e di individuazione dei soggetti vulnerabili o dei minori non accompagnati, attività che le forze dell’ordine ed i pochi rappresentanti delle organizzazioni umanitarie convenzionate non riescono ad assolvere.
Per chi non ha documenti validi, e comunque non intende presentare immediatamente una richiesta di asilo, si può considerare il prelievo delle impronte digitali solo ai fini del sistema AFIS, senza un immediato trasferimento dei dati nel sistema Dublino-Eurodac, almeno fino a quando le procedure di ricollocamento ( relocation) non rispetteranno i tempi e gli impegni presi dagli stati europei. In ogni caso si dovrà tenere conto della volontà del richiedente asilo, e della possibilità già accordata dall’attuale Regolamento Dublino III di ricongiungimenti fino al terzo grado di parentela con familiari già residenti in altri stati dell’Unione Europea.
Il Centro di primo soccorso ed accoglienza (CSPA) di Pozzallo, oggi ridefinito Hotspot, deve essere ristrutturato, ridotto nella massima capienza consentita e aperto alle associazioni indipendenti e in tutti i centri di prima accoglienza deve cessare la prassi del trattenimento prolungato di chi resiste al prelievo forzato delle impronte digitali. Vanno sospesi i rimpatri immediati di persone che subito dopo lo sbarco non hanno avuto alcuna occasione di un accesso effettivo alla procedura di asilo, nè hanno potuto esercitare i diritti di difesa previsti dalla legge contro le misure di rimpatrio con accompagnamento forzato.
Occorre sottrarre alla discrezionalità delle forze di polizia, nell’ammissione alla procedura per il riconoscimento dello status di protezione internazionale, magari sulla base della provenienza nazionale e degli accordi di riammissione esistenti con i paesi di origine. In Italia non è in vigore una lista di “paesi terzi sicuri”, e la categoria del “migrante economico” utilizzata poche ore dopo lo sbarco costituisce un uso distorto ed illegittimo della discrezionalità amministrativa.
La prassi dei respingimenti differiti deve essere superata perché si può tradurre in respingimenti collettivi vietati dall’art. 4 del Quarto Protocollo allegato alla Cedu. Va abrogato l’art. 10 comma 2 del T.U. 286 del 1998 perchè norma palesemente in contrasto, per come viene applicato, con gli articoli 3, 13 e 24 della Costituzione italiana. Altrimenti vanno sollevati ricorsi contro i provvedimenti di “respingimento differito”e in quella sede si deve arrivare ad un pronunciamento della Corte Costituzionale.
Va rivisto il ruolo delle organizzazioni già coinvolte in passato nel Progetto Praesidium, scaduto il 30 giugno 2015, soprattutto nella prima identificazione, nella individuazione dei soggetti vulnerabili, delle vittime di tortura, delle vittime di tratta e dei minori non accompagnati. Attività che sempre più spesso sono svolte dai volontari presenti agli sbarchi. Fino a quando i porti non saranno del tutto blindati.
Occorre denunciare pubblicamente il fallimento dei piani di rilocazione (relocation) dall’Italia verso altri paesi europei, e sollecitare, anche per questa ragione, una modifica sostanziale del Regolamento Dublino, con il riconoscimento di un diritto di asilo “europeo”valido in tutti i paesi UE.
Vanno aperti canali umanitari, per evitare che i migranti debbano affidarsi a trafficanti senza scrupoli, che soprattutto nei mesi invernali, possono lucrare su viaggi della disperazione che si concludono in naufragi o che comportano un numero sempre più elevato di vittime per la fame ed il freddo. Va altresì garantita la possibilità di raggiungere legalmente altri paesi europei con documenti di viaggio rilasciati dalle autorità italiane, attraverso le rappresentanze diplomatiche o consolari all’estero.