L’accordo tra Unione Europea e Turchia, una truffa che uccide.

  1. Il recente accordo siglato dall’Unione Europea con la Turchia di Erdogan costituisce un capolavoro di ipocrisia già dal suo paragrafo iniziale nel quale la stessa Unione Europea, oltre alla rituale condanna del terrorismo, “in tutte le sue forme”, esprime apprezzamento per gli sforzi di Ankara che si impegna per aprire il mercato del lavoro interno ai siriani che godono del regime della protezione temporanea, per la introduzione di nuovi visti di ingresso, tanto per i siriani che per i cittadini di altri paesi, e per gli sforzi compiuti nel rinforzare le attività della Guardia Costiera e della polizia turca. Un apprezzamento che assume una valenza particolare dopo la diffusione delle immagini da un reporter della BBC e postato su twitter che mostrano come mezzi della Guardia costiera turca attacchino deliberatamente i barchini carichi di migranti in rotta verso le coste delle isole greche, con manovre tanto pericolose da poterne causare l’affondamento.
    In cambio l’Unione Europea concede tre miliardi di euro e facilitazioni ( future) per i visti di ingresso di cittadini turchi nell’area Schengen. Lo scambio viene poi completato dall’impegno della Turchia ad accettare la riammissione di tutti i migranti che a partire dal 20 marzo 2016 arrivassero in Grecia “not in need of international protection” e di riprendere tutti coloro che fossero intercettati nelle acque territoriali turche,“ to take back all irregular migrants intercepted in Turkish waters”. Per queste attività di intercettazione e di rendition si prevede espressamente l’impegno di mezzi della NATO. Oltre nauralmente le numerose pattuglie di Frontex già impegnate nell’Egeo. Il richiamo al principio di “non refoulement” appare meramente formale, di fronte alla tipologia di interventi che si prefigurano, e che sono peraltro già stati anticipati nelle prassi di polizia di frontiera.
    Le riammissioni di immigrati “irregolari” dalla Grecia verso la Turchia dovrebbero “take place in full accordance with EU and international law, thus excluding any kind of collective expulsion”. Non si vede tuttavia, in base agli accordi come sia garantito il diritto ad una produra individuale e l’esercizio effettivo del diritto di ricorso, anche considerando che le decisioni adottate a Bruxelles non si sono tradotte e forse non si tradurranno mai in disposizioni legislative vincolanti né a livello europeo né all’interno degli ordinamenti greco e turco. Di certo l’ipocrisia di questi accordi raggiunge il suo culmine quando si delineano tra gli scopi dell’accordo la fine delle” sofferenze umane” ed il ripristino dell’ordine pubblico .Il richiamo alla registrazione ed all’accesso individuale alla procedura di protezione internazionale, in collaborazione con l’UNHCR ed in conformità con le Direttive dell’unione Europea in materia di accoglienza e di procedure, non garantisce affatto che tutte le persone che chiederanno di essere ammessi a tali procedure possano effettivamente accedervi. Di fatto si obbligano tutti i migranti a fare richiesta di asilo in Grecia o a subire la condizione di migranti irregolari e dunque di essere deportati in Turchia. Senza la modifica del regolamento Dublino III, che assegna ancora al paese di primo ingresso l’accoglienza e l’esame dei richiedenti asilo che vi accedono, questa previsione condanna la Grecia ad una sicura crisi umanitaria, ed accentua molto il rischio che un numero elevato di migranti resista alla registrazioneforzata tramite il prelievo delle impronte digitali. Dopo il rituale paragrafo destinato allo scambio degli agenti di collegamento tra Grecia e Turchia, gli accordi prevedono che “the costs of the return operations of irregular migrants will be covered by the EU”. Non si comprende entro quale limite di risorse e come dovrebbero essere individuate nel bilancio dell’Unione oltre ai tre miliardi, che potrebbero presto diventare sei, già elargiti alla Turchia.

2. Ma la parte più infame degli accordi riguarda lo scambio tra migranti irregolari che la Turchia si impegna a riprendere dopo le procedure di riammissione, ed una limitata quota di richiedenti asilo che dalla Turchia potrebbero passare lealmente in Grecia. Una previsione che richiama il bluff delle rilocazioni promesse fino a 160.000 persone a Grecia ed Italia nel corso del 2015, e limitate finora a meno di mille persone, dai due paesi. Si prevede così che “for every Syrian being returned to Turkey from Greek islands, another Syrian will be resettled from Turkey to the EU taking into account the UN Vulnerability Criteria. A mechanism will be established, with the assistance of the Commission, EU agencies and other Member States, as well as the UNHCR, to ensure that this principle will be implemented as from the same day the returns start. Priority will be given to migrants who have not previously entered or tried to enter the EU irregularly”.
Qui gli accordi dimostrano la loro natura fraudolenta perchè si fa riferimento soltanto ai siriani e soltnto ad una parte di essi che presentano particolari requisiti di vulnerabilità. Si tratta di un “resettlement” che non risolvera se non in minima parte la grave crisi umanitaria che affligge i siriani intrappolati in Turchia, e non si fa alcun riferimento neppure agli altri potenziali richiedenti asilo “in chiaro bisogno di protezione”, come gli eritrei o gli iracheni, che sarebbero condannati a restare a tempo indeterminato in Turchia, senza il riconoscimento di uno status preciso. Ma il trucco più feroce sta nel tetto massimo che si pone a queste operazioni di scambio, un massimo di 72.000 persone, oltre le quali nessuno, anche se di nazionalità siriana, potrà avere diritto all’ingresso legale nell’Unione Europea. Se si pensa che nelle isole greche arrivano mensilmente oltre 50.000 persone, si può prevedere che in poche settimane l’accordo tra Unione Europea e Turchia avrà già esaurito il suo potenziale di ingresso legale consentito in Europa. Non si comprende su quali basi la Turchia, che avrà già incassato almeno tre miliardi di euro, potrà essere obbligata ad accettare la riammissione di un numero di migranti irregolari in misira superiore a queste 72.000 persone che sarebbe trasferibili in Europa.
Gli accordi sottolinenao il plauso del Consiglio europeo per un meccanismo di scambio tanto efficiente, lasciano aperta la possibilità di una rinegoziazione, comunque senza alcun effetto vincolante, qualora “these arrangements not meet the objective of ending the irregular migration and the number of returns come close to the numbers provided for above”. Se il numero delle riammissioni in Turchia dovesse eccedere, come appare certo, il numero delle persone ( al massimo 72.000) che potrebbero essere ammesse nell’Unione Europea con il resettlement “this mechanism will be discontinued”. Dopo che la Turchia avrà però incassato tre miliardi di euro e consistenti vantaggi politici e militari. Un vero affare per il governo di Erdogan che avrà così mezzi e legittimazione per dedicarsi alla repressione della minoranza curda.

3. Nella parte finale dell’accordo la Turchia si impegna ad assumere ogni misura per prevenire l’apertura di nuove rotte per l’immigrazione “illegale” verso l’Unione Europea, dimenticando che l’immigrazione irregolare rappresenta al momento l’unica via di fuga consentita ai richiedenti asilo che si rivolgono all’Europa, ed apre anche la strada a nuovi accordi bilaterali tra la stessa Turchia ed i paesi confinanti per il successivo respingimento di coloro che vi dovessero arrivare irregolarmente. L’intesa stipulata tra l’Unione Europea e la Turchia, pur affermando il carattere individuale delle procedure di respingimento e di espulsione apre la strada per una grave e generalizzata violazione del divieto di espulsioni e di respingimenti collettivi affermato dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dall’art. 4 del quarto Protocollo allegato alla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo, alla quale la Turchia, che pure la aveva sottoscritta si sottrae ormai da anni, con il ricorso alle clausole in deroga ed alle riserve. La Commissione ed il Consiglio Europeo continuano a fare finta di non conoscere le decine di sentenze di condanna della Turchia da parte della Corte Europea dei diritti dell’Uomo per gravissime e reiterate violazioni di norme inderogabili della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell?uomo, in particolare degli articoli 3, che vieta la tortura o altri trattamenti inumani o degradanti, 5 che afferma il diritto alla libertà personale, 6 che sancisce il diritto ad un equo processo e 13 che garantisce il diritto effettivo di difesa.

La ridistribuzione dei richiedenti asilo già prevista nel mese di maggio non si è realizzata, il Regolamento Dublino III, che bloccava nei paesi di primo ingresso i migranti che venivano identificati, con riferimento all’Italia, non è stato modificato, e deii cinque Hot Spots che si sarebbero dovuti aprire in Italia ed in Grecia entro il 30 novembre ne funzionano soltanto una decina, nella più totale incertezza legale ed amministrativa. Rimangono aperte, a livello europeo, numerose procedure contro paesi che non rispettano i diritti fondamentali dei migranti e le procedure in materia di accoglienza e procedure di protezione internazionale previste dalle Direttive e dai Regolamenti dell’Unione Europea.

Nei documenti europei adottati nel corso del 2015 in materia di immigrazione e di rapporti con i paesi terzi, fino alle ultime frenetiche riunioni di queste settimane, sembra tutto chiaro, con indicazioni immediatamente operative e con scadenze assai precise. Tuttavia l’Unione Europea non ha mai adottato in materia di ammissione al territorio europeo o di respingimento, e tanto meno in materia di Hotspot, un atto che avesse carattere legislativo, come una Direttiva o un Regolamento. Si può dunque rilevare come, sul piano del diritto dell’Unione Europea, i respingimenti collettivi verso la Turchia tali rimangano malgrado la proclamata natura individuale delle procedure previste nell’accordo appena concluso con la Turchia, e come gli Hot Spots, che poi ne sono il presupposto, siano ancora privi di una qualsiasi “base legale”. Come del resto avviene anche nel diritto interno, sia in Grecia che in Italia.
Lo stesso Consiglio europeo alcuni mesi fa aveva riconosciuto la carenza di basi legali ed aveva invitato I legislatori nazionali a provvedere, ma adesso si stipula un accordo che ha decorrenza immediata, contando sulla piena funzionalità di strutture che non esistono o che non hanno ancora una base legale certa. E per ovviare a questo difetto di legittimità dei luoghi che si vorrebbero utilizzare come Hotspot, si inventano le “pratiche hotspot”, in modo da lasciare indefinita la natura giuridica dei luoghi di prima accoglienza, comunque inaccessibili per avvocati ed organizzazioni indipendenti, e la condizione giuridica delle persone che vi sono trattenute. Ancora più indecifrabili le procedure e le modalità di ricorso effettivo per le persone che dalla grecia dovrebbero essere riammesse in Turchia, dopo essere state giudicate, non so comprende bene da chi e con quali possibiolità di ricorso, come migranti “illegali”, in Italia si direbbe “migranti economici”. Uno degli strumenti che saranno certamente utilizzati sono i cosiddetti RaBIT ( Rapid Border Intervention Team Mechanism) squadre incaricate di procedere ai rimpatri previsti, parte di un progetto di “aiuto” agli Stati membri in difficoltà e di cui la Grecia aveva chiesto l’utilizzo nel 2010. Azione rinvigorita come da documento nel settembre 2015

Le prospettive sulla rilocazione di 120-160.000 migranti da Grecia ed Italia verso altri paesi europei, una linea di intervento, che si sarebbe dovuta assortire alla entrata in funzione degli Hot Spots, e che potrebbe rendere credibile la logica dello “scambio” prevalsa adesso negli accordi tra Unione Europea e Turchia, hanno sortito intanto effetti minimi, nell’ordine di qualche centinaio di persone. La decisione della Germania di garantire accoglienza ad oltre un milione di persone, se profughi siriani, eritrei o irakeni, ha rotto tutti gli assetti delle frontiere europee ed ha innescato una reazione difensiva da parte di molti paesi che si rifiutano ormai a dare corso alle operazione di “relocation” proposte dalla Commissione Europea. Dopo la chiusra delle frontiere anche da parte della Germania, si moltiplicano le barriere ed i muri tra i diversi paesi europei, con la sospensione parziale della libertà di circolazione dettata dal Regolamento Schengen, e più di recente con lo sbarramento della frontiera tra Grecia e Macedonia. L’inasprimento dei controlli sulla cd. “rotta balcanica” determina adesso una ripresa delle partenze dalla costa libica, dopo una fase di forte calo, dovuto anche alle condizioni sempre più critiche della sicurezza su territori nei quali si espandeva la presenza militare dello stato islamico. Ovunque è ripresa la conta dei morti, in mare e nei corsi d’acqua che separano gli stati balcanici.

In definitva con gli accordi conclusi tra l’Unione Europea e la Turchia si è violata la Convenzione di Ginevra, che non disvrimina tra i potenziali richiedenti asilo a seconda del paese di origine, ed afferma all’art. 33 il principio assoluto ed inderogabile del “non refoulement”e si sono violate le Direttive dell’Unione Europea in materia di prootezione internazionale che prevedono garanzie precise per tutti i potenziali richiedenti asilo, obblighi di informazione e diritti di difesa che non possono essere negati da un accordo intercorso tra gli organi europei, ma non ratificato dal Parlamento, ed uno stato terzo. Accordi dunque che non impongono alla Grecia ( né all’Italia) l’adozione di una lista di “paesi terzi sicuri” e che dunque nonpossono discriminare, a seconda della nazionalità, chi entra a qualsiasi titolo nel territorio dello stato e vanta il diritto soggettivo perfetto di accedere senza indugio ad una procedura di asilo. Riuslta anche gravemente violata per intero la Direttiva sui rimpatri 2008/115/CE che al momento della sua adozione fu definita come la Direttiva della vergogna, ma che oggi appare assai più garantista dei principi sottesi agli accordi infami stipulati dall’Unione Europea con la Turchia di Erdogan. Appare sempre più evidente come L’Unione Europea voglia trasformare gli Hot Spots in zone franche sottratte alla giurisdizione e legittimare pratiche di respingimento altamente informali. I nuovi accordi stipulati con la Turchia costituiranno un ulteriore giustificazione di prassi di polizia arbitrarie, verso identificazioni forzate ed espulsioni collettive. I controlli di massa che non garantiranno la sicurezza di nessuno. Per questo motivo si sono inviati centinaia di agenti di Frontex e di funzionari di Easo per controllare l’operato delle forze di polizia in Grecia, come in Italia, al fine di garantire il maggior numero possibile di identificazioni, anche con il ricorso all’uso della forza, pure quando appare evidente come il meccanismo della rilocazione risulti bloccato.
I tentativi di accordi di riammissione con i paesi di origine non modificheranno la situazione alle frontiere Schengen ma violeranno i diritti fondamentali della persona. Ed il costo in termini di vite umane o di destini segnati per sempre sarà elevatissimo. Un costo che sarà ben difficile riversare soltanto sui corpi dei migranti respinti o confinati, un costo umano che potrebbe ben presto scaricarsi su tutti i cittadini europei.