Manifesto per una controffensiva intellettuale e politica

Il testo che volentieri pubblichiamo è uscito su Le Monde il 27/28 settembre scorso. Da quei giorni sono passati mesi che hanno modificato in maniera forte la vita politica, sociale e intellettuale francese ed europea. Su questo testo si è avuto in Francia dibattito, sono usciti ulteriori interventi, speriamo di creare discussione anche in Italia partendo da assunti che in parte ma in profondità riguardano i temi da noi seguiti

Geoffroy de Lagasnerie* e Edouard Louis.**

Traduzione dal francese di Annalisa Romani.
Qualche mese fa pensavamo: «La nostra generazione vive nel caos e nell’incubo. Abbiamo
toccato il fondo». Oggi la situazione continua ad aggravarsi.
Ci sono state
Le immagini di decine di migliaia di migranti che fuggono la guerra, la distruzione e la miseria,
e che non trovano in Europa un luogo di protezione e di accoglienza, uno spazio di ospitalità.
Ma dei paesi che che tentennano, che smistano, che inviano la polizia, creano dei campi,
chiudono le frontiere.
C’è stata
La desolazione con cui abbiamo assistito quest’estate alla gestione della situazione in Grecia,
la brutalità con cui le istituzioni europee hanno imposto l’austerità a un paese già devastato
dalla povertà. E questo perché l’euro si è rivelato uno strumento in contrasto con le scelte democratiche,
che rende impossibile qualsiasi politica alternativa in Europa.
C’è stato
Lo spettacolo avvilente della sinistra socialista al potere in Francia, di cui ci si chiede che
cosa la leghi ancora alla sinistra. Il disgusto che ispira l’asse Macron-Valls, che utilizza esclusivamente
il linguaggio dell’ordine, della regressione sociale, e la sfiducia che ne consegue.
Come ha potuto la sinistra arrivare fin qui? La Francia, per esempio, come ha potuto diventare
per i migranti un luogo da cui fuggire e non un punto di arrivo?
E c’è, infine, questa circolazione in continuo aumento nello spazio pubblico dei discorsi sempre
più vicini a quelli dell’estrema destra. Che spesso li precedono e di fatto li alimentano, al
punto che quest’ultima vi si riferisce e vi si ispira. Alcuni pensatori conducono, in modo sempre
più forte, un’offensiva per imporre all’interno dello spazio pubblico le pulsioni più pericolose:
populismo, islamofobia, misoginia, xenofobia, omofobia, antisemitismo o razzismo.
E parlano di censura non appena sono criticati e definiti per quello che sono («non si può più
dire niente!»).
A causa di queste dinamiche politico-intellettuali di massa, s’installa una tendenza generale. E
non è esagerato affermare che oggi sono molti quelli che vivono nello sconforto e nella tristezza.
Per la maggior parte di noi fare l’esperienza della politica significa ormai sperimentare
l’impotenza.
Quante persone, in occasione degli incontri, dei colloqui, ce ne hanno parlato. Erano spesso
pervase dall’emozione, generata da un sentimento di collera e, allo stesso tempo, da un’incapacità
di agire e di esprimersi. Come se le strutture politiche e democratiche contemporanee
fabbricassero della spoliazione, dell’impossibilità a intervenire.
Che cosa fare? Come parlare? Che cosa dire? Come dire altro, rispetto a ciò che è predeterminato,
ecc.?
Archeologia del silenzio :
Da qualche settimana, due dibattiti sono posti troppo spesso in modo distinto : quello della
prossimità manifesta e sempre più forte di un certo numero di saggisti e scrittori alle tesi dell’estrema
destra da un lato, e, dall’altra parte, il silenzio degli intellettuali sui problemi politici.
Come non vedere che questo forma una sola e unica configurazione ? Se noi dovessimo
fare un’archeologia del silenzio, vi scorgeremmo tre motivazioni :
1 Esiste oggi una fascinazione per l’estrema destra : è sufficiente pubblicare, come
Houellebecq, un libro volgarmente islamofobo per essere in prima pagina. Questa polarizzazione
di una grande parte dello spazio mediatico-intellettuale attorno a questioni nauseabonde,
conduce molti di noi a non riconoscersi più nei termini prescritti, e dunque a fuggire lo spazio
pubblico. Il silenzio degli intellettuali è anche lo sconforto di fronte a questa situazione.
2 La mancanza del discorso critico si spiega anche attraverso le campagne di diffamazione
di cui le grandi figure intellettuali sono state l’oggetto dagli anni ’80. Il mondo letterario
e intellettuale, nella sua composizione attuale, è un prodotto dell’ingiuria : questo clima d’insulto
ha finito per scoraggiare e reprimere le energie dissidenti.
3 C’è infine una responsabilità che appartiene alle logiche interne ai campi letterari o
scientifici. Gli scrittori, i sociologi, i filosofi, non osano investirsi. Per i primi intervenire significherebbe
una minaccia alla purezza della letteratura, per gli altri significherebbe rendere
opinabile la validità del sapere che producono. Nei campi letterari e scientifici regna un’ingiunzione
alla depoliticizzazione (l’amore delle parole, la ricerca per se stessa, ecc). La politica
è rappresentata come un rischio, una stigmate – quando è il disimpegno che dovrebbe piuttosto
essere visto come un problema.
Non si può, tuttavia, accontentarsi di esprimere il rammarico per la situazione senza interrogarsi
sui mezzi per creare nuove strutture. Non sono perse tutte le speranze.
I vari Gauchet, Onfray, Finkielkraut, Debray, si accaniscono a negare chi siano veramente, a
mentire. E questa è la prova che la sinistra continua a dominare simbolicamente. In Francia
«intellettuale di destra » resta un ossimoro, o meglio : un’impossibilità. E non possiamo che
rallegrarcene.
Principi
Se si vuole ridefinire e trasformare la scena intellettuale e politica, è urgente adottare qualche
principio etico per il pensiero e l’azione.
1. Il principio del rifiuto : sottrarsi ai dibattiti imposti, rifiutarsi di considerare certi ideologi
come interlocutori, certi temi come discutibili, certi problemi come pertinenti.
Questi temi rendono il confronto tra le idee impossibile, allontanarli è la condizione del dibattito.
Al mito dello spazio pubblico come luogo unificato di deliberazione, bisogna opporre
l’idea secondo cui ci sono problematiche incompatibili tra loro. Loro parlano esclusivamente
di nazione, di popolo, di sovranità o d’identità nazionale, di disgregazione. Noi vogliamo parlare
di classe, di sfruttamento, di violenza, di repressione, di dominazione, d’intersezionalità.
Sono queste le due scene possibili e irriducibili l’una all’altra. Da questo punto di vista, combattere
ciò che oggi pretende di avere l’egemonia discorsiva, coincide a volte più col tacere
che con l’essere complici.
2. Il principio di nominazione : chiamare gli individui per quello che sono, non ratificare
più i loro tentativi di falsificazione, non accettare di presentare come opinioni soggette al dibattito
ciò che sappiamo, attraverso la conoscenza, essere falso. Le presunte minacce che farebbero
pesare i migranti sull’unità della Francia o dell’Europa, i rischi della teoria del genere,
non sono argomenti di discussione, sono insulti e menzogne.
3 Il principio di ridistribuzione della vergogna : trasformare la scena vuol dire cambiare
lo spazio del dicibile. Il problema in fondo non è il « silenzio degli intellettuali . Il problema è
chi parla e chi tace. Ci sono degli individui che preferiremmo tacessero, non attraverso la forza,
come non si mancherà di accusarci, ma al contrario facendo loro comprendere che il loro
discorso non merita nient’altro che il disprezzo. Gli ideologi dell’estrema destra possono ben
pensare quello che vogliono, l’essenziale è che non osino più dirlo senza incorrere nel discredito.
« La civilizzazione dei costumi » di cui parla Nobert Elias non è la scomparsa totale dei
pensieri più orribili, è una società in cui coloro che vorrebbero le formule siano portati a controllare
le pulsioni.
4 Il principio d’intervento: intervenire, occupare lo spazio il più spesso possibile. Insomma,
far vivere la sinistra.

*Geoffroy de Lagasnerie è filosofo e sociologo. Insegna all’Ecole Nationale Supérieure d’arts
di Parigi-Cergy. È autore di Logique de la création (Fayard, 2011), La Dernière leçon de Michel
Foucault (Fayard, 2012), L’Art de la révolte, Snowden, Assange, Manning (Fayard,
2015), Juger (Fayard, 2016).
**Edouard Louis è scrittore. Ha pubblicato En finir avec Eddy Bellegueule presso la casa editrice
Seuil nel 2014. Questo libro è stato tradotto in più di 20 lingue. In Italia è stato pubblicato
nel 2014 da Bompiani con il titolo Il caso Eddy Bellegueule.