Turchia, il piantone d’Europa. La denuncia di Amnesty International

L’Unione Europea, come abbiamo già avuto modo di segnalare, sta per erogare 3 mld di euro alla Turchia per aiutarla a sostenere l’emergenza profughi paese. Ascoltando gli incontri in Commissione Libe, del 10 dicembre, a precisa domanda è stato risposto che i fondi andranno alle organizzazioni umanitarie che aiuteranno i rifugiati, risulta comunque che il controllo sarà esercitato dalle autorità locali e nazionali turche. Ovviamente un sostegno ai 2.400 profughi (2.200 mila siriani), presenti in territorio turco è da considerarsi doveroso, specialmente tenendo presenti quelle che sono le attuali condizioni in cui questi vivono ma ci si può fidare dell’uso che ne viene fatto? È chiaro che questo fondo servirà ad impedire che i profughi tentino di entrare in territorio UE per chiedere asilo, ma nonostante le aspettative questi continuano a farlo, meglio rischiare la morte (l’ultimo naufragio risale al 19 dicembre) piuttosto che restare in Turchia? Quali sono i motivi? L’Unione europea rischia di rendersi complice di gravi violazioni dei diritti umani ai danni di rifugiati e richiedenti asilo in Turchia. Lo ha dichiarato Amnesty International, in occasione della pubblicazione di un rapporto contenente prove schiaccianti relative a rifugiati e richiedenti asilo fermati illegalmente, tratti in arresto e spinti poi a tornare in zone di guerra da parte delle autorità turche. Amnesty è solita essere estremamente precisa nel fare le proprie denuncie, indicando casi individuali, ricostruiti nel dettaglio e con prove, ma questa volta definisce quanto incontrato come la punta di un iceberg. Mancano ancora indagini approfondite per vedere ad esempio quanti sono i cittadini che, non proveniendo da Siria o Iraq sono già stati deportati in “paesi sicuri” come Pakistan e Afghanistan. Ma le ragioni per cui l’UE ha garantito ingenti finanziamenti al regime di Erdogan sono molto chiare dal punto di vista politico. La Turchia deve svolgere a est quello che fu il ruolo della Libia di Gheddafi a sud, fermare le persone e magari rimpatriarle. Un arma di ricatto potentissima per il governo di Ankara tanto da permettere in breve tempo un ulteriore peggioramento della condizione dei diritti umani, non solo per i profughi, un aumento della repressione verso la popolazione kurda e l’instaurarsi di un braccio di ferro con la Russia pericoloso per la stessa pace mondiale. La denuncia di Amnesty è la fotografia precisa di alcune situazioni smaccatamente critiche che se non affrontate rischiano di provocare danni enormi tanto ai profughi quanto all’intera area. Per questo ci sembra giusto illustrarlo.
Il rapporto, intitolato “Il piantone dell’Unione europea”, denuncia come da settembre, in parallelo con i colloqui tra Turchia e Unione europea in tema d’immigrazione, le autorità di Ankara abbiano fermato centinaia di rifugiati e richiedenti asilo e li abbiano trasferiti in pullman verso centri di detenzione isolati e a oltre 1000 chilometri di distanza. Alcuni di loro hanno riferito di essere rimasti incatenati per giorni, di essere stati picchiati e infine di essere stati rinviati nei paesi da cui erano fuggiti. Il rapporto fornisce forse le risposte che Commissione Europea e governi degli Stati membri non vorrebbero sentirsi ricordare.
Detenzione ingiustificata, maltrattamenti, deportazioni, assenza di difesa e di cure adeguate, sono raccontati in questo testo scaricabile in inglese, con dovizia di particolari, partendo anche da storie individuali ma ricostruendo un quadro di orrore di cui si è di fatto complici.
Già nel novembre 2014 Amnesty aveva denunciato come, nonostante i fondi messi a disposizione dalle autorità turche, centinaia di migliaia di rifugiati siriani erano in condizioni di indigenza, con un accesso insufficiente agli alloggi, all’assistenza sanitaria, all’istruzione. Il 90% dei profughi vive al di fuori dei campi governativi, anche la concessione di permessi di soggiorno per motivi di lavoro non ha migliorato la situazione mentre la nuova legge che riguarda in Turchia gli stranieri e coloro che chiedono protezione internazionale, non ha trovato applicazione pratica, tanto che sono pochissimi coloro che in Turchia chiedono asilo e cercano invece di venire in Europa.
Le cifre della fuga
Fra il 1 gennaio e il 10 dicembre 2015 più di 792 mila profughi sono entrati in Grecia attraverso la Turchia (+ 1300% rispetto al 2014), solo in ottobre sono circa 150 mila, rispetto agli 8500 dell’ottobre 2014 e questo ha portato l’UE a disporre del piano straordinario di finanziamento. Nessuna possibilità di garantire ingressi regolari via terra, basti pensare all’atteggiamento di chiusura totale della Bulgaria, quindi o si muore in mare, (il numero delle vittime di naufragi ha superato le 700 solo nella seconda metà del 2015) o si dovrebbe restare in Turchia. Ma a quali condizioni?
Secondo il rapporto di Amnesty, detenzioni e deportazioni di chi ha tentato di fuggire dalla Turchia prima della firma dell’accordo con l’UE, sono illegali. Chi le ha attuate va indagato, chi le ha subite va risarcito e soprattutto occorre una supervisione indipendente per monitorare l’applicazione degli accordi presi affinché siano in conformità con la legge e con gli standard internazionali sui diritti umani. Amnesty ha condotto in ottobre e novembre una serie di interviste (alcune telefoniche) con 50 rifugiati. I ricercatori hanno anche incontrato i parenti dei rifugiati, girato per numerose città del paese, incontrato i funzionari Unhcr, del governo turco, delle organizzazioni della società civile, e hanno chiesto di poter entrare in due centri. Il governo turco ha consentito l’accesso al campo Düziçi, nella provincia di Osmaniye mentre non hanno permesso l’ingresso nel Erzurum Removal Centre, nella provincia di Erzurum.
I racconti raccolti da Amnesty convergono terribilmente. Da settembre, molti di quelli che hanno tentato di uscire irregolarmente dalla Turchia sono stati presi e condotti in autobus in centri di detenzione nel sud e nell’est del paese, isolati, privati del telefono cellulare, della possibilità di incontrare avvocati e familiari, per settimane e anche fino a due mesi. Nessuna motivazione è stata fornita rispetto alle ragioni della loro detenzione, fra loro uomini, donne e anche bambini. Non sono chiare le ragioni per cui alcuni siano stati immediatamente rilasciati mentre altri abbiano subito anche pesanti maltrattamenti (chi scrive è portato a ipotizzare gli antichi meccanismi della corruzione) ma per Amnesty quanto appurato è la punta di un iceberg.
Alcune vicende si tingono di nero: un gruppo di prigionieri è riuscito a contattare Amnesty ma poi è scomparso, il 26 novembre sono emerse notizie in merito ad un gruppo di 60 kurdi provenienti da Iran e Iraq, prima detenuti e minacciati di espulsione, poi divisi. Tramite coordinate GPS si è riusciti a scoprire che alcuni di loro erano stati trasferiti a Kocaeli, in Turchia occidentale. Il 27 novembre l’ultimo messaggio ad Amnesty da uno dei rifugiati: «Per favore aiutateci!». Poi il silenzio.
Una famiglia siriana ha raccontato di essere stata presa mentre era a cena in un ristorante a Bodrum, sul mare. Sono stati portati in stato di detenzione al campo Düziçi ad oltre 1000 km. Altri sono stati fatti scendere da un bus e portati via mentre urlavano in arabo: «Vogliamo morire in mare». Alcuni sono riusciti a conservare i cellulari e a girare, video, a scattare foto che sono divenute prove. E nel campo hanno incontrato siriani, afghani, sudanesi, iraniani e iracheni.
Detenzione arbitraria
Secondo le leggi turche, chi non arriva dalla Siria – i cui profughi sono considerati tali – possono essere trattenuti solo in alcune circostanze, in attesa della valutazione della richiesta di asilo o della deportazione. Ma la legge è poco chiara rispetto ai rifugiati siriani, che non dovrebbero fare richiesta individuale non potendo essere, in caso di diniego, deportati in Siria. Chi è stato detenuto non è stato informato delle ragioni del trattenimento mentre, secondo le autorità turche si tratta di “motivi di sicurezza” o perché “avevano commesso crimini”. Amnesty ha documentato per sole 3 persone l’ordine di espulsione consegnato a mano, per gli altri la detenzione ha significato l’essere stati privati di ogni contatto con l’esterno, gli agenti di polizia dei centri affermavano, in tutti i casi documentati da Amnesty che la legge non permetteva di incontrare avvocati e parenti.
Sono stati rilevati 3 casi accertati di maltrattamenti e numerosi racconti che inducono a credere che il fenomeno sia molto diffuso. Ci sono foto di lividi e contusioni e racconti circostanziati, come quello di un uomo di 40 anni tenuto da solo, nel centro di Erzurum per sette giorni con mani e piedi legati insieme. L’uomo, indicando una etichetta portata da un suo amico dal Erzurum Removal Center, finanziato per l’85% dall’UE, ha detto: «Io sono stato torturato sotto questa etichetta». Etichette di questo tipo, che indicavano come il centro era frutto della collaborazione fra UE e Turchia, sono visibili in gran parte degli oggetti di uso comune presenti nel campo come letti, asciugamani e armadi. Come a dire l’UE contribuisce a quello che voi vivete. Alcune donne hanno raccontato di essere state costrette a denudarsi, di fronte alle guardie femminili, hanno opposto resistenza ed è stato detto loro, ridendo, che se non si fossero spogliate sarebbero rimaste lì.
In questo campo Amnesty non è stata ammessa mentre i suoi ricercatori sono entrati in quello di Düziçi, per l’esattezza il 2 dicembre. Hanno trovato 377 cittadini siriani (il campo, considerato “di accoglienza” e non di detenzione è stato aperto a settembre e da allora ha ospitato oltre 1500 persone) che, secondo le autorità turche erano senza fissa dimora o impiegati nell’accattonaggio. Le stesse autorità hanno dichiarato che all’apertura era stato utilizzato per accogliere chi era divenuto minaccia per l’ordine pubblico, tentando di andare in Grecia, che non erano entrati di propria volontà e che non potevano uscire dal centro. O meglio per poter uscire si doveva dimostrare di avere un alloggio, un lavoro, i mezzi per mantenersi, oppure per tornare volontariamente in Siria. Al di là delle convenzioni internazionali non rispettate, le autorità turche hanno anche affermato che le persone erano contente di stare nel centro, le 30 fughe in poco tempo dimostrano quanto sia vero.
Deportazioni
Secondo Amnesty è stato violato il principio di non refoulemont. Le autorità hanno in alcuni casi disposto il rimpatrio forzato in Siria e Iraq e in altri lo hanno attuato indirettamente esercitando pressioni sui rifugiati, minacciando ad esempio detenzione a tempo indeterminato. Negli ultimi mesi risultano certamente espulse oltre 100 persone in Siria e Iraq, di alcuni si ha testimonianza completa perché dopo essere stati deportati sono riusciti a rientrare irregolarmente in Turchia portando con se prove di essere rientrati nei rispettivi paesi. Si usano vari sistemi di coercizione per indurre a firmare “rimpatri volontari”. Ad una donna siriana, madre di 4 figli, rispettivamente di 12, 10, 8 e 3 anni è stato chiesto di firmare un foglio in turco per il rimpatrio volontario. Lei ha detto di non capire cosa ci fosse scritto, in risposta le è stato detto che non erano tenuti a tradurre e che se non firmava, lei e i suoi figli, sarebbero rimasti a Düziçi. Altri a Erzurum, fra cui un bambino di 3 anni, sono stati costretti con la forza a lasciare le impronte per il rimpatrio volontario e poi consegnati al valico di frontiera di Hatay, controllato dal gruppo armato Ahrar al Sham, altri ancora sarebbero stati consegnati al gruppo Jabhat al Nusra, legato ad Al Qaeda.
I funzionari del campo di Düziçi hanno mostrato ad Amnesty un modello in bianco tradotto in arabo recante la frase, “Ho bisogno di tornare nella Repubblica Araba della Siria” ma non è chiaro se si tratti di un modello standard o di un foglio locale. Nessuno dei deportati ha avuto copia del documento firmato.
Nelle conclusioni per Amnesty è «difficile evitare di affermare che il trattamento illecito della Turchia nei confronti di rifugiati e richiedenti asilo che tentano di fuggire e vengono catturati, sia stato innescato dalle richieste logistiche e politiche esercitate sulla Turchia da parte dell’UE per fermare i profughi. Il fatto che la detenzione e le deportazioni siano ancora eccezionali non le rende scusabili. Prove inconfutabili dimostrano che le autorità turche detengono persone vulnerabili, come donne e bambini in una condizione simile al sequestro. […] Anche forzare le persone a tornare in Siria e Iraq è tanto irragionevole quanto illegittimo». Amnesty si domanda se, visto che tali pratiche sono state adottate durante i negoziati UE Turchia, ora che l’accordo è in vigore, quale sarà il futuro?
Amnesty fa delle raccomandazioni tanto al governo turco quanto all’UE.
Al primo chiede, di assicurarsi che ogni detenzione risponda a criteri di legittimità e proporzionalità, in base a valutazioni individuali, che i rifugiati e i richiedenti asilo siano informati in lingua a loro comprensibile, garantire nei centri l’ingresso di avvocati, parenti, medici, organizzazioni indipendenti per i diritti umani e Unhcr. Chiede indagini per le detenzioni illegali che comprendano il risarcimento delle vittime.
L’UE dovrebbe poter attuare una supervisione indipendente, il Gruppo di lavoro UE-Turchia, sulle migrazioni, istituito per sorvegliare l’attuazione del piano di azione, dovrebbe riferire periodicamente sul rispetto dei diritti umani e dovrebbe includere attori indipendenti (istituzioni per i diritti umani, parlamentari, esponenti della società civile) che dovrebbero avere regolare accesso alle strutture predisposte, sorvegliando l’effettiva attuazione delle raccomandazioni. Amnesty International chiede che venga sospesa ogni modalità di finanziamento a strutture che attuano detenzione illegale e deportazioni e pone come questione urgente la definizione di azioni immediate e concrete per implementare luoghi di reinsediamento e di altre vie legali che permettano a rifugiati e richiedenti asilo di raggiungere l’Europa.