Pochi giorni fa documentavamo quello che era il progetto di risoluzione che il governo italiano, in sintonia con i propri partner europei, aveva deciso di attuare in data 28 settembre, in materia di immigrazione, assistenza ai profughi, gestione di coloro che, ritenuti sommariamente irregolari, andavano respinti e ricollocazione nei paesi dell’UE di coloro che invece erano da considerare a pieno titolo degni di status di protezione. Un documento definito “road map“. Giunge ora un documento da Bruxelles in cui si invita l’Italia, ancora una volta, a prendere con la forza le impronte a chi giunge sul proprio territorio, si apre una procedura di infrazione legata al fatto che le impronte non sono state finora sufficientemente prese, si chiede rapidamente la apertura di almeno due hot spot e, dulcis in fundo si riconosce che esiste una difficoltà nella ricollocazione in Europa dei richiedenti asilo in quanto non giungono dai paesi delineati come adatti a tale percorso: Siria, Iraq, Eritrea, Repubblica Democratica del Congo. Una situazione di stallo insomma, frutto anche del fallimento dell’incontro de La Valletta e della difficoltà di veder applicato il Processo di Khartoum. Ma frutto anche dell’impossibilità italiana ed europea a poter risolvere la gestione dell’arrivo di profughi con misure di stampo quasi unicamente proibizionista e repressivo
Ma facciamo un passo indietro. La riunione che si è tenuta in Commissione LIBE del Parlamento Europeo, in data 7 dicembre, alla presenza dei rappresentanti di EASO, Frontex, Save The Children e del responsabile del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno italiano, prefetto Mario
Morcone, dimostra che poco o nulla di quanto prefissato si è realizzato.
Morcone ha illustrato il punto di vista problematico che si trova ad affrontare l’Italia. Ha provato a mettere in chiaro che il sistema hotspots potrà partire di pari passo con il decollo del meccanismo di relocation. Ad oggi la redistribuzione dei profughi, a nostro avviso, è stata in effetti risibile. Nonostante una temporanea diminuzione degli sbarchi, fino alla scorsa settimana erano stati “ricollocate” 130 persone – a fronte di una media preventivata da due mesi di 80 persone al giorno – (altri 18 hanno trovato appena ricollocazione in Finlandia) e lo stesso prefetto ha fatto notare che la tensione innescatasi dopo gli attentati di Parigi ha bloccato le altre 137 persone già pronte per essere trasferite. Gli hot spot, a detta del rappresentante del governo italiano sono pronti (4 su 6 previsti), per i due di Taranto e Augusta si necessita di alcune settimane di intervento ma difficilmente potranno assumere il proprio ruolo in assenza della “solidarietà europea”. Il prefetto ha anche portato un problema su cui le posizioni in Europa non sono univoche. Agli sbarchi via mare si vanno assommando alle frontiere italiane gli arrivi in Friuli di profughi pachistani e afgani che non ricevono protezione internazionale in Austria, Slovenia e negli altri paesi di transito. La richiesta italiana è di garantire protezione e quindi inserimento nei canoni per il ricollocamento almeno dei cittadini afgani, per Mario Morcone l’Afghanistan è infatti ancora un paese in guerra. Peccato che per l’UE di cui anche l’Italia fa parte, l’Afghanistan stia diventando un “paese sicuro” tanto da poter divenire meta di rimpatrio, intanto dalla Turchia. C’è consapevolezza che il confine del Friuli Venezia Giulia sta tornando ad essere fondamentale. Le difficoltà al confine greco-macedone, il tentativo della Repubblica di Macedonia di procedere a fermi ingenti di persone che aspirano ad entrare nell’area Schengen e-da aggiungere – gli accordi che Frontex sembra aver preso con la Grecia, fanno si che Friuli e Puglia – secondo Morcone – diventino gli unici luoghi di arrivo possibile. Sotto processo è l’Agenda Juncker, le cui procedure o si velocizzano o non funzionano con il risultato che anche le persone che ottengono garanzia di protezione umanitaria per poi essere ricollocate in un altro paese, diverso dall’Italia, attendono tempi troppo lunghi, credono di essere stati truffati e fuggono dai centri di accoglienza.
All’incontro, per EASO (Ufficio Europeo di Sostegno all’Asilo) era presente Jean –Pierre Schembri che ha ricordato come si stia ancora discutendo con il governo per la firma del piano operativo sugli hot spot. I funzionari EASO considerano fondamentali tre funzioni principali in cui si adopereranno: informazioni sulle procedure d’asilo, registrazione, profilo appropriato dei richiedenti che corrispondano alle caratteristiche richieste dagli Stati membri. Di fatto la conferma di un ricollocamento selettivo in cui l’elemento determinante è la decisione del paese di ricollocazione. EASO ha dichiarato di avere un piccolo team a Lampedusa, esperti nella registrazione a Villa Sikania (Ag), un esperto nella questure di Milano e Roma, dove transitano numerosi richiedenti e un gruppo di esperti – anche questi operanti a Roma, nell’Unità Dublino – che dovrebbero contribuire in questo processo di selezione (matching). EASO ha dichiarato di voler investire maggiormente nella collaborazione con le Ong in loco. Ma sono intanto numerosi e di difficile soluzione i problemi che si presentano. Sono poche, fra le persone arrivate, quelle provenienti da “nazionalità ammissibili per le redistribuzioni” (quelle in cui almeno il 75% dei richiedenti protezione viene ammesso nel percorso), la variabilità negli sbarchi fa consigliare ad EASO la realizzazione di “team mobili” per assistere le persone in transito ad esempio in hub come quello di Milano.
Anche Klaus Rösler, Coordinatore per la difesa delle frontiere europee di FRONTEX, intervenuto al dibattito, ha messo in luce il suo punto di vista partendo dai dati in proprio possesso. La diminuzione degli arrivi in Italia sulla rotta mediterranea (11-12%, per circa 144 mila arrivi a cui mancano gli ultimi 4600), la presenza a Lampedusa con 24 funzionari, a Pozzallo con 28 e, al di fuori degli hot spot programmati di Siracusa e Catania, la presenza di 15 team per lo screening. A Lampedusa, nel 2015 risultano arrivate 6028 persone, 3094 ad Augusta. In quest’ultimo posto le condizioni non risultano adeguate per registrazione adeguata, prelievo impronte e identificazione. FRONTEX chiede centri di prima accoglienza che permettano al sistema hot spot di funzionare al 100%. A suo avviso il processo di trasferimento dal punto di sbarco alla destinazione in Italia è costretto in tempi troppo rapidi e questo non permette una registrazione adeguata. Si dichiara di adottare la stessa procedura per quelli che possono godere della protezione internazionale e per quelli che non ne possono godere (ma quanto registrato in questi giorni non chiarisce affatto la adeguatezza delle modalità). A detta del dirigente i migranti devono essere informati sulle possibilità che hanno e FRONTEX deve aiutare le autorità italiane nella registrazione e nel de briefing. FRONTEX che attualmente ha una task force a Catania, operativa fino allo scorso giugno, lavora ancora per lo scambio di informazioni e intende rafforzare il spiegamento di funzionari appoggiando anche missioni congiunte in materia di migrazione nel corso del 2016.
Per Save the Children è intervenuta la coordinatrice Progetti minori migranti, Viviana Valastro. Nonostante nel giugno scorso sia terminato il Progetto Praesidium, il Ministero dell’interno ha dato mandato all’organizzazione di continuare a svolgere il proprio mandato a Lampedusa.
Secondo Valastro l’attivazione dell’hot spot ha prodotto sensibili modifiche, partendo dal fatto che ora i migranti vengono divisi in base alla nazionalità presunta o dichiarata e il personale EASO fornisce la documentazione relativa alla relocation. Le difficoltà sull’isola sembrano forti: è infatti aumentato il numero dei decreti di respingimento dati direttamente a Lampedusa, c’è tensione ad esempio fra “somali” ed “eritrei” (i primi non sono previsti in procedura di relocation a differenza dei secondi) sono insufficienti i mediatori culturali e linguistici, specie di nazionalità nigeriana, creando non pochi problemi per la distinzione dei soggetti più vulnerabili in caso di rimpatrio. La situazione lampedusana resta critica, il Centro ospita in questo periodo 900 persone (il doppio della capienza massima) e questo rende difficili anche i colloqui individuali approfonditi.
Save the Children segnala la mancanza di una procedura specifica per ricollocare i minori stranieri non accompagnati che sono a rischio di essere considerati maggiorenni (per loro dichiarazione) e a volte sono accompagnati da adulti che non sono quelli reali di riferimento.
I membri della commissione hanno posto ai relatori numerose domande: Lopez Aguilar (S&D) ha chiesto se esista un protocollo che permetta agli italiani l’uso della forza per le identificare i migranti e se è poi stato raggiunto un accordo con le Ong, in particolare per le persone vulnerabili.
Helga Stevens (PPE) si è invece preoccupata di sapere quanti dei rifugiati vengono registrati e per quanti avviene lo screening che separa migranti economici da richiedenti asilo. A detta della parlamentare se tale lavoro viene svolto nell’hot spot ma senza informazioni sufficienti il sistema hot spot non avrà esaudito il suo compito.
Angelika Mlinar, dei Liberali austriaci, ha posto i problemi che si stanno verificando dall’estate nel proprio paese. L’Austria può detenere i richiedenti asilo per 36 ore ma la polizia afferma che la richiesta di asilo non è di per sé un motivo per determinare una detenzione che di fatto si traduce anche in onere per lo Stato. Sulla situazione italiana è tornata Marie-Christine Vergiat GUE-NGL secondo cui l’Italia pur non trovandosi nella stessa situazione della Grecia è egualmente sotto pressione avendo in più solo una maggiore esperienza. Domande molto nette: «Come analizzate le evoluzioni dei flussi, e in particolare l’aumento del numero di minori segnalato dalla maggior parte delle Ong? Come vengono trattati? Le ong hanno detto che un certo numero di minorenni vengono passati per maggiorenni: ci sono procedure che permettono di identificare con certezza l’età? In Francia abbiamo avuto una discussione importante in proposito, e in Italia?». Ma entrando poi nel merito del nodo caldo delle relocation ha chiesto cosa fare di chi proviene da un paese in cui si ha meno del 75% di possibilità di veder accettata la propria domanda rincarando la dose con la segnalazione delle Ong che spesso non hanno sufficiente accesso ai richiedenti, se non dopo che la polizia ha fatto prima selezione. La parlamentare del GUE ha inoltre voluto segnalare il caso delle donne nigeriane, espulse quando potrebbero esser vittime di tratta a differenza di altre che dopo qualche giorno hanno avuto una sospensiva dello stesso provvedimento. Ultima ma non meno grave preoccupazione l’ha segnalata in merito alla conformità con il diritto europeo, del trattamento dei minori in Italia.
Laura Ferrara EFDD ha domandato, soprattutto al prefetto Morcone se la situazione stia migliorando con la creazione degli hot spot, ricordando che in Calabria (sua regione di provenienza) erano appena sbarcati 905 migranti provenienti dal Nord Africa. Ha cercato di avere anche lei maggiori delucidazioni sulle procedure adottate, particolarmente sui minori soprattutto i tanti che scompaiono all’arrivo. Anche Elly Schlein S&D, reduce da una visita a Ponte Galeria si è rivolta direttamente a Morcone chiedendo cosa accade dopo la registrazione negli hot spot (ancora inattivi). Nel CIE molte delle persone solo una volta arrivate lì sono state adeguatamente informate sul loro diritto di ricevere protezione. E la domanda che ne segue è: Quale criterio viene seguito per smistare i profughi tra CAT 2 e ricollocabili quando Il diritto d’asilo è inviolabile e soggettivo? «A Ponte Galeria – riferisce la Schlein – ho incontrato donne nigeriane colpite da provvedimento di respingimento differito e portate nel Cie, che solo lì hanno potuto fare domanda di asilo. Se il Tribunale convalida o proroga il trattenimento, la privazione della libertà può durare fino 12 mesi a causa delle recenti modifiche introdotte con l’art. 6 del Decreto legislativo 142/2015, che prevede l’attesa dapprima della decisione della Commissione e, in caso di diniego, l’esito del ricorso. Significa attendere in un luogo con bagni rotti, l’acqua calda che spesso manca». L’europarlamentare italiana ha riscontrato nel centro casi di probabili minori considerati maggiorenni in base al metodo del calcolo dell’età sulla misurazione del polso, che lascia molto a desiderare quindi soggetti vulnerabili che non possono stare nei CIE. La stessa ha confermato come anche il diritto alla difesa non sia garantito, «avevano quasi tutti lo stesso difensore d’ufficio». Ha osservato. Secondo Elly Schlein è assurda la condizione per cui prima si fanno partire gli hot spot e poi si garantisce solidarietà a Italia e Grecia per le ricollocazioni. Per Ana Gomez S&D, esistono un hot spot e mezzo, Lampedusa e Lesbos. E ha chiesto: «Lampedusa funziona? Il mio paese, il Portogallo, si lamenta perché non arrivano i rifugiati». Ed è tornata sulla questione dei Minori Non Accompagnati domandando se le Ong si siano dotate di un sistema per impedire che i minori scompaiano.
Ha posto la questione relativa al rapporto fra screening e nazionalità e quanto quest’ultima possa influire per ottenere la qualifica di richiedenti asilo. In riferimento allo smantellamento delle reti criminose in collaborazione con altri organismi, ha poi chiesto se si riesce a tradurre i trafficanti davanti a un giudice e se i rifugiati possano far valere i loro diritti nella lotta contro i trafficanti. Sull’intreccio fra tratta e minori è intervenuta Claude Moraes S&D che ha chiesto anche delle diverse modalità di intervento fra Italia e Grecia.
Prima di lasciare spazio per le risposte la Commissione ha fornito i dati relativi al periodo che va dal 1 gennaio al 31 ottobre. Delle persone arrivate complessivamente, 186 mila, 14.700 sono i minori e circa 20 mila le donne. A proposito dei minori non accompagnati si è disposto un fondo di emergenza apposito per aiutare l’Italia. Ma di minori ne stanno arrivando anche in Grecia, soprattutto da Pakistan e Afghanistan. Cambiano però le nazionalità di provenienza, sono in calo i siriani e gli eritrei mentre aumentano coloro che provengono dall’Africa Occidentale: Nigeria, Gambia, Ghana, Costa D’Avorio e Senegal. Ovviamente è difficile prevedere i prossimi flussi che dipenderanno molto da quanto accade sulla rotta balcanica.
Rispondendo a Vergiat sull’evoluzione dei flussi: nel confronto tra 2014 e 2015 si è detto che, se continuerà a chiudersi il passaggio ai confini di Serbia, Grecia e Croazia, aumenterà il numero di siriani che torneranno verso l’Italia attraverso la Grecia o attraverso l’Albania.
Un punto importante – secondo la Commissione – è che c’è confusione tra asilo e redistribuzione a livello di nazionalità. Non c’è una nazionalità per l’asilo, ma solo per la redistribuzione. Per la rilocazione bisogna essere sopra al tasso del 75%. Per l’asilo si può venire da ovunque, il caso verrà esaminato ai sensi della legislazione in materia, ma non si beneficerà del regime di riallocazione.
Personale EASO è presente in Italia e fa sì che venga ben effettuato il processo di valutazione dei singoli casi. Si chiede all’Italia, partendo dal quesito di Laura Ferraara, di aprire più hot spot (in Calabria, caso da lei citato, non ce ne sono e Lampedusa non può reggere questo ritmo. Per Save the Children due terzi dei minori giunti in Italia non erano accompagnati. Di questi circa 3000 eritrei e 1700 egiziani, poi somali e di altre nazionalità. Quelli che scompaiono cercano di raggiungere paesi dove hanno parenti o conoscenti, per prevenirne la scomparsa occorre farli rientrare nella procedura di relocation. Ma la procedura per chi ha i requisiti dura almeno un anno e quindi molti partono da soli. Anche l’identificazione è fondamentale e non esiste un protocollo a cui attenersi per verificare con certezza la minore età. Esiste un testo già pronto in materia, condiviso da regioni e associazioni che dovrebbe solo essere approvato. Intanto si continua ad usare l’esame del polso che non è in grado in alcun modo di dare un’indicazione certa sull’età di una persona. Per le vittime di tratta mancano poi i posti in accoglienza, anche quando si riesce a togliere le ragazze dallo sfruttamento.
Criticando la Coordinatrice di Save the Children, il prefetto Morcone insiste sul fatto che l’Italia non effettua respingimenti ma provvedimenti di allontanamento entro 7 giorni dal territorio nazionale. «L’Italia – afferma – ha commissioni con all’interno l’Unhcr. Puntiamo a una riforma del sistema d’asilo ma non siamo d’accordo ad abbandonare un sistema di decisione collegiale che per noi è elemento di equilibrio, e di certezza per il richiedente asilo. Prossimamente registreremo i colloqui su dischetto perché la procedura sia ancora più trasparente». E se il prefetto ammette la criticità della situazione sulla frontiera slovena, la cui soluzione dipenderà dagli “accordi di polizia”, si è molto risentito con chi come Aguilar ha accusato l’Italia di un approccio securitario dicendo semplicemente che da noi questo non c’è. Morcone parla di “uso della forza proporzionato” e di videoregistrazione delle situazioni di difficoltà. Altre testimonianze, raccolte ad esempio in passato a Pozzallo smentiscono quanto affermato. Sembra a detta del prefetto che tutto vada bene in Italia: le Ong hanno accesso ovunque, in Italia si prendono le impronte e si fanno identificazione più che negli altri paesi (numeri riscontrabili in Eurodac) e i richiedenti asilo non vengono tenuti in detenzione ma in un centro di accoglienza fino a quando la sua posizione non viene definita. In detenzione, secondo il prefetto, ci sta solo chi è socialmente pericoloso o chi va espulso e riaccompagnato nel proprio paese. Il Responsabile del Dipartimento Libertà Civili del Viminale ha effettuato una vera e propria puntuale difesa da ogni attacco, ha detto alla parlamentare Vergiat che i minori egiziani, mandati dalle famiglie alla ricerca di un futuro, non vengono espulsi da minori. L’interesse del minore prevale sempre ma cosa accade, come spesso capita quanto il minore diviene maggiorenne? Ha rivendicato, rispondendo a Laura Ferrara, il lavoro svolto in presidium con OIM, Save the Children, Croce Rossa e Unhcr. Complimentandosi con Elly Schlein che ha “abilmente” parlato di respingimento differito, ha ribadito che da noi si fanno solo allontanamenti e che, attraverso convenzioni importanti e onerose con Unhcr e Oim, i migranti sono bene informati sui loro diritti. Tutto bene insomma, piena collaborazione con FRONTEX ed EASO, pronta la prima spedizione in Portogallo, mentre per il “traffico” di donne dalla Nigeria, il problema non è secondo Morcone nell’assenza di strutture ma nello sradicare le persone dal contesto di sfruttamento. Ha negato che siano state rimandate in Nigeria ragazze senza autorizzazione del magistrato e, dopo aver enunciato gli accordi di riammissione bilaterali ha esortato la Commissione a finalizzare accordi di questo tipo con tutti i 28 Stati membri, avvalendosi anche di voli FRONTEX. Ed è stato proprio il rappresentante dell’Agenzia, Klaus Rösler a ribadire in finale che la cooperazione tra UE e FRONTEX è uno strumento strategico. È stato firmato un accordo operativo che ampli l’ambito dei dati personali che possono essere utilizzati dall’Agenzia e trasmessi all’UE. Il tentativo è quello di condividere con Europol e in Eurosur le informazioni analitiche e poter operare congiuntamente. Un proclama da caccia grossa, si direbbe.