Tecnicamente si definisce: «l’avvio di un processo per permettere ufficialmente la reintroduzione dei controlli alle frontiere interne nello spazio Schengen per un massimo di due anni. Legalmente, questo deve essere innescato da “gravi carenze” nel controllo delle frontiere di un determinato Stato membro». La traduzione è molto più secca “Chiudere lo spazio Schengen di libera circolazione delle persone”. Insomma il combinato disposto fra l’allarme terrorismo, la percezione esasperata di guerra in atto, la paura e il rifiuto dei profughi sembrano riportare le lancette del tempo del continente indietro di decenni. A quando ad ogni frontiera corrispondeva un controllo
Ne parla con dovizia di particolari in questi giorni Steve Peers, uno dei maggiori esperti di diritto costituzionale dll’UE, particolarmente attivo nei campi del diritto amministrativo, gli affari interni, le relazioni esterne e il rispetto dei diritti umani. Oltre ad essere autore di numerose pubblicazioni in merito e a ricoprire cariche accademiche in Canada e Gran Bretagna, Peers ha lavorato come consulente presso il Parlamento europeo, la Commissione Europea, il Foreign and Commonowealth Office e ONG come Amnesty International State Watch, per citare solo le più note.
In due articoli del suo blog, l’autore apre a questo scenario partendo da documenti appena pubblicati. Il testo “Integrità dello spazio Schengen”, realizzato dal Consiglio d’Europa (14300/15, del 1° dicembre e inviato al COREPER, organismo composto dai rappresentanti degli Stati membri e ai ministri della Giustizia e degli Affari interni che si riunisce in queste ore.
Si individua un punto critico, la Grecia e si parte da questo per elaborare un piano di sospensione che suggerisce intenzioni molto più articolate da applicare a tutta l’area. La clausola individuata è quella delle “gravi carenze” nel garantire, in materia di sicurezza, il controllo della circolazione di chi proviene da paesi terzi. Esisterebbero altre misure, già utilizzate in passato, per sospendere il trattato per periodi non superiori ai sei mesi, (clausola sospensione) ma l’utilizzo del problema “gravi carenze” permette di bypassare i limiti temporali.
A detta dell’autore: «Non è detto che tale intervento riguardi ogni frontiera interna ma l’intenzione sembra essere quella di emettere una sorta di assegno in bianco al Consiglio in tal senso, in nome di meno libertà vs maggiore sicurezza.
Del resto già diversi Stati membri, partendo dall’ “emergenza profughi” hanno imposto temporaneamente il controllo di frontiera all’interno. Si pensi a Francia e Italia a Ventimiglia, al Brennero, a Calais, per non parlare di quanto stia avvenendo nel contesto balcanico. Il Codice frontiere Schengen prevede queste misure, in ragione di minacce gravi per l’ordine pubblico o la sicurezza interna (si pensi a quanto già effettuato durante i vertici mondiali o UE, o durante addirittura manifestazioni sportive). Un diverso insieme di regole si sono applicate in risposta alla ‘primavera araba’ del 2011, quando si verificò uno scontro diplomatico tra Italia e Francia a seguito del tentativo di cittadini tunisini, di andare oltralpe. le norme di Schengen sono state modificate nel 2013, al fine di prevedere la reintroduzione collettiva dei controlli alle frontiere interne per un massimo di due anni. Tali modifiche non possono però stravolgere l’insieme dei trattati che costituiscono l’UE e in cui continuo è il richiamo a Schengen. Dopo gli attentati di Parigi alcuni Stati membri hanno rafforzato i controlli. Ma già prima, il 9 novembre, ricorda Peers, il Consiglio aveva già individuato una serie di misure per attuare punti già concordati. Tutti temi ampiamente già trattati da ADIF: le capacità di accoglienza, i punti di attivazione (sistema hotspots), il trasferimento dei profughi (relocation), il ritorno, la riammissione, la pianificazione delle situazioni emergenziali, il funzionamento dello “Spazio Schengen”, il contrabbando di esseri umani, la politica dei visti, una strategica comune di informazione e uso della politica attraverso l’IPCR (Crisis Response Integrated). In tale occasione, al punto 9 del documento conclusivo, il Consiglio aveva deciso di giungere ad un dibattito approfondito sul funzionamento dello Spazio Schengen, (considerando il periodo da maggio a ottobre di quest’anno) e su quanto è stato insegnato dalle reintroduzioni temporanee dei controlli all’interno. Entro dicembre doveva essere pronta la successiva relazione semestrale ma il testo, è stato comunicato, sarà integrato nel cosiddetto “pacchetto confine su cui si sta lavorando.
Dopo gli attentati, nelle conclusioni adottate il 20 novembre, si è convenuto di attuare un rafforzamento alle frontiere esterne.
La presidenza del Coreper ha concluso i lavori il 26 novembre affermando che i ministri saranno invitati prossimamente a tenere un incontro sul funzionamento di Schengen, partendo da un documento della presidenza. È stato pubblicato un questionario ed è emerso un documento basato sulle risposte date.
Il primo elemento critico rilevato deriva dal fatto che nelle “sospensioni temporanee a Schengen” (art 25) non c’è stata sufficiente collaborazione fra gli Stati membri. Sono mancate consultazioni preventive, il rafforzamento dei controlli, soprattutto tra i valichi di frontiera. Questo ha portato profughi e migranti a non essere “sufficientemente filtrati ed è mancato anche un controllo sul loro transito.
A causa di questo, secondo il Coreper, si sono ostacolate le possibilità dei paesi vicini a prepararsi e a poter gestire i flussi migratori. Anche le procedure approvate nel marzo 2015 per una maggiore condivisione, non risultano essere state rispettate, non si è riusciti a far circolare fra gli Stati le informazioni necessarie.
Quindi una richiesta di maggior condivisione, in caso si decida di applicare l’Art 25 per informare gli altri Stati membri con un anticipo sufficiente e per ridurre l’impatto negativo che la reintroduzione dei controlli determina.
Resta la “necessità di garantire le frontiere esterne”. Da questo punto di vista il documento parla di migranti irregolari, invece che di profughi, entrati in UE, magari via mare e poi usciti per rientrare in altri paesi, utilizzando le cosiddette “frontiere verdi”, quelle terrestri. A detta di Frontex, fra gennaio e ottobre 2015 sono stati rilevati 1,2 milioni pronti all’attraversamento “illegale” con un incremento, rispetto allo stesso periodo del 2014 del 431%. Molti hanno poi attraversato le frontiere senza essere intercettati.
Con il tema della lotta al terrorismo, il Consiglio ha determinato, il 20 novembre, che alle frontiere esterne vadano distribuite squadre di intervento rapido (RABIT) e agenti di polizia. I RABIT, verranno presto distribuiti sulla Balkan Route, ritenuta la più complessa, e comunque sulle “frontiere terrestri verdi” per garantire che ogni attraversamento avvenga solo ai valichi, salvo le eccezioni previste. L’aumento dei controlli, rispetto a quella che continua ad essere considerata immigrazione clandestina, dovrebbe portare nelle intenzioni a far sì che chi è entrato in Area Schengen senza essere stato registrato non dovrebbe restarvi per troppo tempo inosservato. Ed è su queste basi che si propone un operazione di Frontex ai confini settentrionali della Grecia.
Nel testo si propongono quindi banche dati pertinenti per registrare i migranti irregolari ma, per affrontare le carenze nei controlli alle frontiere esterne, già diversi Stati hanno applicato temporaneamente gli articoli 23 e 25 di Schengen. Un prolungamento dei termini (6 mesi) richiederebbe l’applicazione dell’art.26. Se ci sono “gravi e persistenti carenze in materia di controllo alle frontiere esterne (art. 19.bis) il funzionamento dello spazio, senza controlli all’interno è considerato come messo a rischio e in tal caso tramite l’art 26, il controllo interno può essere portato a 2 anni. Si invita quindi la Commissione a presentare una proposta in base al quale uno o più stati membri possano ripristinare il controllo alla frontiera a tutti o in parti specifiche delle loro frontiere interne.
Un documento trapelato suggerisce che il paese che ha “carenze sistemiche” tali da non poter controllare le frontiere esterne sia la Grecia. Addirittura si afferma che alcuni Stati membri stiano prendendo in seria considerazione l’ipotesi di espellere la Grecia dal sistema Schengen a causa di una errata gestione dei rifugiati e delle frontiere esterne. In questa maniera qualsiasi “Stato Schengen” potrebbe decidere di mantenere o introdurre controlli, forse – come suggerisce Peers, non tutti lo faranno ma molto già di fatto lo fanno. Si tratta di una vera e propria minaccia, fondata sull’idea di sospendere Schengen facendo ricadere la responsabilità sulla Grecia ma che oltre a far crescere seri dubbi giuridici, è errata dal punto di vista politico.
I problemi greci sembrano utilizzati come comodo alibi. Nel testo che trapela, si fa esplicito riferimento alla prosecuzione dei controlli in vigore (ad esempio fra Austria e Germania) e fra gli altri Stati e la Grecia.
Il parere dei singoli Stati resta fondamentale e quindi il percorso che si va determinando dovrebbe iniziare con una “raccomandazione della Commissione a seguito di una “valutazione Schengen”, anche dopo le modifiche del 2013 per capire se i singoli Stati assolvano o meno ai propri compiti di sorveglianza verso l’esterno. Se ci sono lacune gravi in un paese allora si può raccomandare lo stesso di prendere misure specifiche. Fra queste raccogliere l’assistenza di Frontex o presentare a Frontex stessa dei progetti. In assenza di risultati tangibili dopo 3 mesi, il processo potrebbe essere esteso, in “casi eccezionali” (?) in cui vi sono gravi minacce per l’ordine pubblico o la sicurezza, nell’intero spazio Schengen. Si potrebbe addirittura giungere a raccomandare agli Stati membri, come ultimo tentativo, quello di introdurre i controlli solo contro tale Stato inadempiente, per sei mesi rinnovabili fino a 2 anni.
Il Consiglio deve agire su proposta della Commissione, ma gli Stati membri possono chiedere alla Commissione di fare una proposta in tal senso. Si cammina sul filo del rasoio perché accettando tale raccomandazione, il Consiglio dovrà valutare i rimedi messi in campo, la proporzionalità della misura attuata, le tipologie di assistenza UE fornite o che avrebbero potuto essere richieste, l’impatto sulla libera circolazione.
Intanto la Commissione ha adottato una valutazione Schengen sulla Grecia, come sugli altri paesi, ma non è ancora pubblica. Poi ci vorranno almeno 3 mesi per comminare una sanzione alla Grecia ma si sta tentando di accelerare il processo. «Il documento predisposto dal Consiglio – a detta di Peers – non tenta nemmeno di valutare se si applicano criteri di merito. L’intenzione sembra essere semplicemente di trovare un modo per giustificare un periodo lungo di controllo alle frontiere interne già reintrodotto da alcuni stati». Le raccomandazioni non sono di per se vincolanti ma la Grecia potrebbe citare in giudizio il Consiglio davanti alla Corte di Giustizia Europea e in teoria anche i viaggiatori individuali potrebbero citare gli Stati membri, di fronte ai giudici nazionali per contestare, anche se indirettamente, l’illegittimità della raccomandazione. I giudici nazionali potrebbero vedersi costretti a rinviare simili provvedimenti alla Corte Europea. Ma quali sono le colpe della Grecia? In primis non aver accettato il sostegno di Frontex a fronte dei tanti richiedenti asilo e gli aiuti umanitari per assisterli. Ma se la Grecia è obbligata dai trattati ad accettare l’aiuto di Frontex non è affatto obbligata a controllare il numero di rifugiati che arrivano dalle frontiere esterne. Una situazione che secondo Peers è ricca di equivoci. Chi afferma che il diritto comunitario impone accoglienza ai rifugiati e garantire l’ingresso alle frontiere, mentre invece si realizza la “Fortezza Europa” mentre contemporaneamente l’UE è criticata, perché non protegge sufficientemente i propri confini. Dal punto di vista giuridico, secondo Peers, entrambe le opinioni sono sbagliate.
Il codice Schengen esenta infatti i rifugiati dalle norme che penalizzano i cittadini non comunitari per l’ingresso non autorizzato attraverso i confini. C’è inclusa una deroga che riguarda anche coloro che “chiedono asilo”. Come molti sanno, in base alla specifica direttiva UE, agli Stati membri si impone di trattare non solo le richieste di asilo presentate nel proprio territorio ma anche quelle effettuate alla frontiera, obbligo non sempre rispettato. Anche il tema del “valico di frontiera” è complesso e controverso e non è colpa della Grecia se non riesce ad applicarlo. In pratica è difficile per i veri rifugiati raggiungere il territorio europeo senza rischiare di annegare o di dover dare soldi ai trafficanti e la Grecia da parte sua, non può tenere fuori abbastanza persone.
La Grecia non sta fallendo nell’obbligo di fermare i richiedenti asilo alle frontiere esterne semplicemente perché questo obbligo non esiste, anzi ha il dovere di non farlo. Il numero dei profughi ma anche le difficoltà della Grecia avevano già indotto la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a non rimandare in Grecia i profughi (sospendendo di fatto “Dublino “e l’UE ha adottato recentemente decisioni per alleviare l’onere della Grecia spostando profughi in altri paesi europei.
E si utilizza il fatto che al confine greco arrivano anche molte persone a cui viene rifiutato l’asilo per giustificare le sanzioni verso Atene. Secondo l’UNHCR, metà delle persone che arrivano a Lesbos, destinazione principale, vengono da Siria e Iraq, paesi con il maggior tasso di riconoscimento dello status di rifugiato, gli altri da paesi diversi, con tassi di riconoscimento dello status più bassi. Per questo l’UE chiede alla Grecia di accettare l’aiuto di Frontex e delle altre agenzie, per garantire un ruolo di coordinamento nella raccolta di impronte digitali e di registrazione delle persone che arrivano. Questo farebbe parte del Diritto Comunitario anche se si tratta dell’ennesima imposizione politica alla Grecia.
Ma c’è un altro elemento che Peers ben rileva ed è il legame fra le carenze greche e la reintroduzione di controlli contro la Grecia o altri Stati membri. Non c’è alcun nesso perché non ci sono frontiere terrestri violate. Il controllo verso la Grecia sarebbe insomma una misura totalmente sproporzionata.
Ma il controllo si vuole estendere alle frontiere di altri Stati Schengen? Peers suggerisce che il Consiglio vuole questo. Il legame c’è: si arriva in Grecia, si cerca di arrivare in Austria o Germania ma anche in questo caso si tratta di un problema del Sistema Asilo UE e non dei controlli alle frontiere greche. Le norme in vigore non tengono conto che si passa in altri Stati membri perché il Regolamento Dublino è elaborato in base a numeri non corrispondenti al presente e che non dipendono certamente dalla Grecia. Nei quotidiani inglesi (non in quelli italiani che dovrebbero essere più interessati) emergono tanto le accuse che alcuni Stati rivolgono alla Grecia quanto le contro- accuse dirette all’UE e in un certo senso sembra di riassistere al tentativo operato per costringere la Grecia a lasciare “temporaneamente” la “zona euro”. Ma ci sono anche molte differenze. Sulla carta c’è un processo per sospendere temporaneamente le regole Schengen, ma la Commissione, che ha fatto di queste regole il suo punto forte, sarebbe disposta a suggerirne la sospensione con quello che comporta? «Minacciare la Grecia – dice Peers – è legale, ma è saggio? Sarebbe molto meglio moltiplicare gli sforzi per aiutare a realizzare centri di accoglienza dignitosi che oggi non ci sono e migliorare i percorsi di trasferimento». Peers suggerisce di lavorare con la Turchia per migliorare le condizioni di vita dei rifugiati lì e non costringerli a cercare di venire in Europa, ma è praticamente – a nostro avviso -impossibile sostenere in questo sforzo un governo come quello turco, con le sue ambigue quando non criminali politiche militari. Sulla sospensione temporanea di Schengen, Peers suggerisce una modifica legislativa del codice (con clausole per la scadenza) senza minacciare inutilmente la Grecia ma modificando le norme di controllo in prossimità delle frontiere interne attraverso controlli occasionali, in caso di applicazioni disfunzionali delle norme comunitarie di asilo. A noi queste modifiche non convincono. Meglio pensare a come incrementare il sistema di asilo a livello europeo, garantire un passaggio sicuro per le persone che fuggono e modificare come UE la politica estera disinnescando le aree di conflitto. Altro che prendersela con la Grecia, altro che tornare alle frontiere chiuse. Di muri ne abbiamo già abbastanza e non sono serviti ad altro che a creare sofferenze.
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