Le manifestazioni dei musulmani contro il terrorismo hanno avuto scarsa partecipazione, e la Lega lamenta l’«ambiguità» dell’Islam italiano. Ma i numeri la smentiscono
Nell’ultima puntata della trasmissione “La Gabbia”, condotta da Gianluigi Paragone, è andato in scena l’ennesimo anatema contro il cosiddetto “islam italiano”. Oggetto degli strali di Viviana Beccalossi (Fratelli d’Italia) e Massimiliano Fedriga (Lega Nord) sono state le manifestazioni dei musulmani all’indomani della strage di Parigi: secondo i due ospiti in studio, queste iniziative sono andate quasi deserte, il che dimostrerebbe la scarsa sensibilità di molti “islamici”, se non addirittura una loro connivenza con il terrorismo.
Ricapitoliamo in breve la questione. Il 21 Novembre, pochi giorni dopo i drammatici eventi di Parigi, le principali organizzazioni dell’Islam italiano hanno convocato tre cortei – a Roma, a Genova e a Milano – per manifestare solidarietà alle vittime degli attentati, e per condannare fermamente il terrorismo dell’Isis.
A Roma – secondo una fonte non esattamente neutrale come il quotidiano Il Tempo – i manifestanti erano appena 400. A Milano l’agenzia Agi ha parlato di 3.500 persone in piazza. A Genova, secondo La Repubblica, erano non più di 150. In totale, coloro che hanno manifestato contro il terrorismo sono stati poco più 3.500, a fronte di una popolazione di credenti stimata attorno a un milione e 600mila persone: dunque, solo un musulmano su 450 ha scelto di andare in piazza. Un po’ poco, non c’è che dire.
Quanti italiani hanno manifestato?
Ma la scarsa partecipazione dei musulmani dimostra davvero la loro tolleranza, o connivenza, nei confronti del terrorismo? Una conclusione del genere è del tutto priva di fondamento, e per capirlo basta fare qualche raffronto numerico: quanti italiani (musulmani e non) hanno manifestato contro gli attentati?
All’indomani dei fatti di Parigi, si sono tenuti presidi di solidarietà in tutto il paese. Nessun quotidiano, a quanto ci risulta, ha fornito stime sui partecipanti, il che fa nascere il sospetto che non fossero manifestazioni esattamente oceaniche: ma lasciamo perdere le illazioni, e prendiamo qualche esempio in cui siano disponibili i numeri.
Dopo la strage di Charlie Hebdo, all’inizio del 2015, circa 300 persone (ripetiamo: trecento) hanno partecipato a un presidio di solidarietà a Roma, davanti all’Ambasciata francese. La Capitale conta 2milioni e 800mila abitanti, quindi solo un romano su 2.800 era presente alla manifestazione: una cifra sei volte inferiore rispetto a quella dei musulmani di Sabato scorso, per dire. Se dovessimo dedurne che quasi tre milioni di cittadini di Roma sono conniventi con gli assassini di Charlie Hebdo, dovremmo trasferire la residenza del Papa a Pontida per motivi di sicurezza…
E ancora: in questi giorni, a scendere in piazza sono stati soprattutto i ragazzi delle scuole e delle università: in tutta Italia si sono tenuti presidi e cortei studenteschi, ai quali hanno partecipato – così ci dice La Repubblica – 35mila persone in tutto. Secondo i dati del Miur gli studenti in Italia sono circa 4milioni e 200mila (1milione e 600 mila universitari e 2milioni e 600mila nelle scuole superiori). Quindi, uno studente su 122 ha partecipato ai cortei: una proporzione ottima, ma che dire degli altri 121 ragazzi che sono rimasti a casa? Tutti complici dell’Isis? Tutti fiancheggiatori dei terroristi?
Ricatti
È evidente che il ragionamento di Beccalossi e Fedriga fa acqua da tutte le parti. Del resto, quel che viene fatto pesare sui musulmani italiani è una sorta di perenne ricatto: o manifestate – in massa – contro i terroristi, o siete conniventi con loro.
Quando sono emersi gli scandali legati alla pedofilia dei preti, nessuno ha chiesto ai cattolici di manifestare in massa. Nessuno è andato a controllare quanti fedeli denunciano i parroci pedofili, come invece hanno fatto i redattori di Libero a proposito dei musulmani. Nessun giornalista si è recato davanti alle chiese, all’uscita dalla messa, per capire se i cattolici “condannano la pedofilia”.
L’atteggiamento di molti media nei confronti dell’Islam è improntato al sospetto, e questo non aiuta a capire. Anzi, getta fumo negli occhi e autorizza interpretazioni fuorvianti.
Spiegazioni
E difatti, se si toglie di mezzo la facile equazione che fa di ogni musulmano un possibile terrorista (o un amico dei terroristi, o connivente con loro), si possono trovare mille spiegazioni al relativo flop dei cortei di questi giorni.
In primo luogo, l’Islam è una religione e non un partito politico: i suoi adepti si ritrovano per pregare, per studiare il Corano o per celebrare le ricorrenze religiose, non per protestare o per organizzare cortei. La stessa idea di una manifestazione di musulmani è del tutto inedita nel nostro paese: nemmeno la recente “legge anti-moschee” della Regione Lombardia ha indotto i fedeli a scendere in piazza. Non bisogna stupirsi dunque se, di fronte a una iniziativa così inusuale, molti siano rimasti a casa, o abbiano preferito partecipare alle manifestazioni “miste” (quelle convocate dai sindacati o dalle associazioni nelle varie città italiane).
In secondo luogo, lo strumento del corteo, o del presidio, come modalità di espressione del pensiero è in declino in tutta Italia almeno a partire dagli anni ’80 (quando non a caso si cominciò a parlare di “riflusso”, dopo la stagione delle mobilitazioni sessantottesche). Nel nostro paese si fanno sempre meno manifestazioni nazionali, e con sempre minor partecipazione: non si vede perché i musulmani debbano fare eccezione.
Nella puntata de La Gabbia, Corradino Mineo ha avanzato una terza ipotesi: molti musulmani non hanno partecipato perché irritati dall’eccessiva enfasi data dai media ai fatti di Parigi, e dalla relativa indifferenza con cui sono stati accolti invece gli attentati di Beirut e Bamako. È un’ipotesi tutta da verificare, ma è plausibile: e non indica una qualche “connivenza” col terrorismo, ma al contrario una maggiore sensibilità alle sue conseguenze nel mondo.
Naturalmente, queste sono solo ipotesi. Per capire cosa sia esattamente successo, e cosa si muova nell’immaginario e nella sensibilità dei musulmani italiani, occorrerebbero ricerche specifiche. Servirebbero approfondimenti, capacità di dialogo, curiosità, studio: tutte cose lontane dalla mentalità di un Fedriga o di una Beccalossi.
Sergio Bontempelli