Se i rom “dettano legge”

manifestazione 25 febbraio 2008 comitato rom sinti insieme 053

Le associazioni rom chiedono il riconoscimento della loro minoranza, ma con strategie diverse, e con due distinte proposte di legge. Ecco la posta in gioco del dibattito

 

Tutelare il romanès, cioè la lingua dei rom e dei sinti, e chiederne il riconoscimento ufficiale da parte dello Stato italiano: è questa la battaglia che da alcuni mesi coinvolge (e infiamma) molte associazioni di rom attive sul territorio nazionale.

È una battaglia che viene da lontano, da quando il Parlamento approvò (correva l’anno 1999) la legge 482, cioè la prima norma per il “riconoscimento delle minoranze linguistiche storiche”: un provvedimento atteso da tempo, richiesto a gran voce da quelle centinaia di migliaia di cittadini che, pur italiani a tutti gli effetti, parlano una prima lingua diversa dall’italiano (si pensi ai tedeschi dell’Alto Adige o agli sloveni del Friuli).

I rom furono, allora, esclusi dall’elenco delle minoranze riconosciute, e non ebbero così i diritti previsti dalla legge 482: il diritto a utilizzare il proprio idioma negli uffici e nei tribunali, il diritto ad avere mediatori e interpreti, la possibilità di accedere a finanziamenti per l’editoria in romanès (giornali, case editrici, ecc.). Rom e sinti vennero trattati ancora una volta come estranei, benché siano presenti in Italia dagli inizi del XV secolo, e dunque – per citare l’esempio tratto da un bel libro di Lorenzo Monasta – siano arrivati prima del pomodoro con cui condiamo la pasta o la pizza (come dire: più italiani di così…).

Diritti linguistici, diritti sociali

Per migliaia di rom e sinti, tuttavia, il diritto all’uso della lingua è forse l’ultimo dei problemi: molti vivono segregati nei campi, negli insediamenti di baracche e tende, sotto i ponti, ai margini delle nostre città. Le (poche) statistiche disponibili ci restituiscono il quadro di una minoranza discriminata, impoverita, esclusa [si veda ad esempio qui e qui]. Per chi vive in queste condizioni, i bisogni primari sono dunque la casa e il lavoro, non certo il diritto (pur sacrosanto) all’uso della propria lingua.

Gli intellettuali e gli attivisti rom sanno però che l’esclusione sociale e la discriminazione linguistica sono due processi profondamente connessi, quasi due facce della stessa medaglia. I cosiddetti “zingari” sono da sempre considerati “alieni”, intrusi, ospiti sgraditi quando non pericolosi invasori: per questo non si riconosce il romanès come lingua minoritaria italiana, e per lo stesso motivo si promuovono politiche di segregazione.

La proposta della Federazione Rom e Sinti Insieme

Proprio il nesso tra i due aspetti (linguistico e sociale) ha spinto alcune organizzazioni rom a elaborare una proposta di legge – per così dire – “ad ampio raggio”, finalizzata cioè a contrastare le diverse forme di discriminazione. Così, il testo proposto tra gli altri dalla Federazione Rom e Sinti Insieme – una delle principali sigle dell’associazionismo rom – non si limita ad aggiungere il romanès alla lista delle lingue tutelate dalla 482, ma propone un ventaglio molto ampio di provvedimenti: dal diritto alla casa alla libertà religiosa, dalla tutela della famiglia alle pari opportunità per le donne rom e sinte.

Nell’articolato si trovano per esempio numerose disposizioni relative all’edilizia residenziale pubblica (le cosiddette “case popolari”). Tra le proposte più rilevanti (art. 27) c’è quella di riservare, all’interno delle graduatorie, delle “quote speciali” per i rom e i sinti che abitano nei campi-nomadi in corso di sgombero, o quella di garantire ai rom assegnatari “speciali modalità e tipologie di alloggi” (assicurando ad esempio la convivenza delle “tipiche” famiglie allargate, o predisponendo microaree, spazi residenziali non in muratura, e in generale “alloggi conformi alle esigenze e alla cultura dei Rom e dei Sinti”). La Federazione Rom e Sinti Insieme e gli altri promotori hanno avviato una raccolta firme: l’obiettivo è quello di trasformare il testo in una proposta di legge “di iniziativa popolare”, costringendo il Parlamento a discutere e ad esprimersi con un voto.

La proposta della Fondazione Romanì

Non tutti, però, condividono questo approccio. La Fondazione Romanì – altra sigla storica dell’associazionismo “etnico”, radicata soprattutto tra i rom abruzzesi – ha deciso di non sottoscrivere il progetto di legge, e ha elaborato un testo alternativo.

Nella presentazione della proposta, la Fondazione spiega di aver predisposto un articolato volutamente «asciutto, essenziale, perché quello che vogliamo è un riconoscimento altrettanto essenziale: il romanès come lingua minoritaria storica e come patrimonio non solo della comunità di minoranza ma, più ampiamente, della Repubblica».

In questo caso, dunque, la proposta si limita ai soli diritti linguistici: si tratta di una autolimitazione voluta perché – spiegano ancora gli estensori – «diversi tentativi di emendare la legge 482 allargando la sua portata sono falliti, anche in ragione di alcuni articoli che, di fatto, avrebbero potuto creare situazioni oggettivamente poco gestibili».

Non viene precisato cosa si intenda per «situazioni oggettivamente poco gestibili», ma non è difficile immaginarlo: la proposta di “quote riservate” nelle graduatorie per le case popolari – avanzata dalla Federazione Rom e Sinti Insieme – potrebbe facilmente innescare conflitti, e alimentare lamentele sui presunti “privilegi degli zingari”.

Per questo, la Fondazione Romanì ha presentato un testo di legge davvero asciutto ed essenziale, con appena sei articoli e poche, semplici disposizioni: inserimento (non obbligatorio) di corsi sulla cultura rom nelle Università (art. 3), provvidenze per l’editoria (art. 4), promozione di un lavoro di standardizzazione della lingua (in quanto lingua orale, il romanès presenta numerosi dialetti e infinite varianti sia nel lessico che nella pronuncia).

OsservAzione e le associazioni “miste”

Accanto all’associazionismo che potremmo definire “etnico” – composto cioè da gruppi di rappresentanza dei rom e dei sinti – esiste in Italia un universo molto variegato di organizzazioni “miste”, in cui operano sia i rom sia gli attivisti gagé (non rom): tra le molte sigle, soprattutto locali, si possono ricordare ad esempio il Naga di Milano, l’Associazione 21 Luglio di Roma o il centro di ricerca-azione “OsservAzione”.

Alcuni gruppi hanno aderito ad una delle proposte in campo, ma vi sono anche coloro che hanno deciso di non schierarsi nella contesa. Tra questi spicca OsservAzione, che in un proprio documento ha formulato critiche dettagliate a entrambe le proposte.

OsservAzione non è ovviamente contraria al riconoscimento dei rom come minoranza, ma sostiene un disegno di legge risalente al 2007, promosso da vari parlamentari e voluto fortemente dall’allora deputata di Rifondazione Comunista on. Mercedes Frias. Si tratta di un testo molto breve, che si limita ad emendare la legge 482, aggiungendo il romanès alla lista delle lingue tutelate: un approccio “minimale”, non troppo lontano da quello della Fondazione Romanì (con la differenza che quest’ultima insiste sulla standardizzazione della lingua, un tema del tutto assente nella “proposta Frias”).

Le critiche di OsservAzione

OsservAzione è critica soprattutto nei confronti della proposta della Federazione Rom e Sinti Insieme: per il gruppo fondato da Piero Colacicchi, infatti, le violazioni dei diritti dei rom vanno contrastate non con leggi “ad hoc” – pensate esclusivamente per rom e sinti – ma mediante l’applicazione e il rafforzamento delle norme più generali di uguaglianza.

L’associazione insiste sul «carattere universale – erga omnes – dei diritti», e ribadisce che «un diritto fondamentale deve valere per chiunque: la sua violazione – per quanto temporaneamente limitata a una sola minoranza – ne compromette l’universalità». Per dirla in modo semplice: se i rom sono confinati nei campi, la soluzione non è una “legge speciale”, ma una battaglia complessiva contro ogni forma di ghettizzazione e di marginalizzazione.

OsservAzione critica in particolare le misure proposte dalla Federazione Rom e Sinti Insieme sulle case popolari: perché solo ai rom deve essere garantita la possibilità di vivere in nuclei familiari allargati, di usufruire di spazi esterni o di forme specifiche di abitare? Questi diritti non dovrebbero essere garantiti piuttosto a tutti i cittadini che ne avanzino richiesta? Anzi, è proprio a partire da queste esigenze – cioè dalla pluralità di forme di vita sociale e familiare – che andrebbero ripensate le politiche abitative: perché non sta scritto da nessuna parte che le “case popolari” debbano assumere la forma di appartamenti in condominio, in anonimi “casermoni” di periferia.

Che cos’è la “cultura rom”?

Il documento di OsservAzione critica il concetto di “cultura” che emerge dai testi di legge. Secondo il gruppo fondato da Colacicchi, infatti, non esiste una “cultura rom” immobile, sempre uguale a se stessa, condivisa da tutti i rom e i sinti: «la cultura è, per definizione, un oggetto dinamico e dai confini sfuggenti», si legge, «ed è patrimonio mobile dei singoli individui, che la modificano secondo le rispettive strategie».

In quest’ottica, dunque, definire la “cultura rom” con un insieme di tratti sempre uguali a se stessi (la famiglia allargata, i mestieri tradizionali, ecc.) rischia di essere schematico e riduttivo. «Una legge che legittima un modello di “famiglia rom”», aggiunge OsservAzione, «rischia di tagliar fuori la pluralità di modelli di vita dei rom».

Anche nelle comunità cosiddette “zingare”, insomma, coesistono diverse visioni del mondo, differenti relazioni familiari, persino conflitti di genere e generazionali: «sono state le femministe rom», conclude Osservazione, «a spiegarci che il patriarcato, le relazioni ineguali tra uomo e donna, così come i conflitti su ruoli e identità di genere, attraversano anche l’universo rom. Prefigurare per legge un modello di “famiglia rom” rischia di occultare conflitti, contraddizioni e cambiamenti che si producono ogni giorno tra i rom, come all’interno di qualsiasi gruppo».

Sergio Bontempelli