Rom e sinti ridotti a homeless in Europa, nell’anno del Giubileo

Dopo la grande cacciata dei rom francesi attuata nell’estate 2010 dal governo Sarkozy – quando centinaia di uomini, donne e bambini vennero sgomberati dai campi e caricati a forza sui voli per Bucarest e Sofia – la Commissione europea assunse la situazione di rom e sinti come una priorità nell’agenda dell’Unione, creando una task force e una rete europea per la Strategia nazionale di inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Caminanti.[1]

Eppure, a cinque anni di distanza, la situazione non è migliorata. La maggior parte dei rom nell’Unione europea è tuttora esclusa dalla possibilità di un alloggio decente, costretta – senza nemmeno un diritto legale a permanere – in siti temporanei privi di servizi igienici o elettricità. In alcuni casi i rom vivono su questi siti già da parecchie generazioni, senza che il carattere di temporaneità ne venga messo in questione. Sgomberarli dalle loro case senza offrire alloggi alternativi permanenti non fa che rafforzare la loro esclusione sociale, educativa e lavorativa, rinfocolando la discriminazione nei loro confronti.

LA SITUAZIONE ITALIANA

In Italia rom e sinti sono circa 160.000,[2] una presenza che corrisponde allo 0,25 – 0,28 per cento della popolazione totale. Si tratta dell’unica minoranza storico-linguistica non riconosciuta,[3] oltre che della più svantaggiata e stigmatizzata, nonostante gli obblighi internazionali e comunitari dell’Italia e gli interventi delle organizzazioni internazionali, come il Consiglio d’Europa, l’OSCE e l’Unione europea.

In maggioranza sono cittadini italiani presenti nel paese sin dal Quattrocento. Molti di loro preferiscono tenere nascosta la propria identità per paura di essere discriminati. Circa 7.000 rom giunsero ai primi del Novecento da Istria e Slovenia. 40.000 giunsero negli anni Sessanta e Settanta dal sud della Jugoslavia.

16.000 trovarono rifugio in Italia dalla ex Jugoslavia, dalla Romania e dall’Albania dopo il crollo dei regimi comunisti nei Paesi dell’Europa dell’est e la guerra dei Balcani. L’ultimo flusso (sul quale non si dispone di cifre attendibili) è formato da persone che hanno lasciato e continuano a lasciare la Romania e la Bulgaria a causa della miseria estrema e del clima di intolleranza verso le comunità rom e sinte.

I rom e sinti stranieri soggiornano in Italia con permessi diversi da quelli “tipici” degli immigrati:

– i rifugiati provenienti dalla ex-Jugoslavia e dal Kosovo hanno presentato domanda di asilo al momento dell’arrivo in Italia, oppure hanno usufruito dei permessi speciali previsti dagli appositi decreti di natura umanitaria che autorizzavano la permanenza dei cittadini provenienti dai paesi della ex-Jugoslavia. Si trattava di permessi di soggiorno provvisori e a scadenza, destinati ad essere revocati a seguito della decisione prevedibilmente negativa della Commissione.

– gli apolidi, in maggioranza provenienti dalla ex-Jugoslavia, sono persone che i paesi di origine non riconoscono come propri cittadini e che non possono avere la cittadinanza italiana perché nate da genitori stranieri, sulla base del principio dello jus sanguinis. L’individuo privo di qualsiasi cittadinanza ha diritto, secondo norme internazionali recepite anche dall’Italia, a specifiche forme di protezione, tra le quali il rilascio di un permesso di soggiorno, ma è molto arduo per un rom o un sinto accedere a quello status. Le norme in materia di accertamento amministrativo della condizione di apolidia prevedono che il richiedente produca una serie di atti e certificati rilasciati dal paese di nascita o di ultima residenza, nonché la documentazione relativa all’iscrizione anagrafica in un Comune italiano. Queste disposizioni sono in larga parte inapplicabili, e danno atto a circoli viziosi. Per i rom e i sinti che chiedano, per via amministrativa o giurisdizionale, il riconoscimento dello status di apolide, la legge italiana prescrive il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa apolidia ma – a differenza di quanto accade con la procedura di asilo, dove il richiedente ha diritto comunque al permesso di soggiorno fino alla conclusione dell’iter – il permesso viene rilasciato solo se lo straniero si trovava già in condizioni di regolarità sul territorio nazionale: un requisito per molti aspetti paradossale, che preclude la regolarizzazione dei richiedenti rom o sinti, la cui condizione di apolidia, nella maggior parte dei casi, non è sopravvenuta durante il soggiorno in Italia, ma si è creata ab origine, prima dell’ingresso, determinando dunque una condizione di irregolarità.[4]

Questo porta alla paradossale presenza di rom e sinti nei Cie, sottoposti a procedimento di identificazione ed espulsione pur avendo famiglia e spesso lavoro in Italia – o addirittura essendo nati in Italia – e non avendo relazioni di alcun genere nei paesi in cui rischiano di essere espulsi, dei quali spesso non conoscono nemmeno la lingua.

Il 24 aprile 2014, la Direzione generale Giustizia della Commissione europea ha avviato una procedura di pre-infrazione nei confronti dell’Italia, indirizzando al Governo una Richiesta di informazioni aggiuntive riguardo a questioni di alloggio dei rom in Italia ai fini della direttiva 2000/43/CE e sottolineando come i campi risultino «limitare gravemente i diritti fondamentali degli interessati, isolandoli completamente dal mondo circostante e privandoli di adeguate possibilità di occupazione e istruzione; è in corso una indagine al termine della quale la Commissione potrà decidere di aprire una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per violazione della direttiva 2000/43/CE sull’uguaglianza razziale e la non discriminazione».

La lettera, che riguardava principalmente la situazione del “villaggio attrezzato” romano La Barbuta, ha portato a maggio di quest’anno a una storica ordinanza del Tribunale Civile di Roma, che ha giudicato discriminatorio e segregante il trattamento inferto ai rom dal Comune di Roma.[5]

LA SITUAZIONE DEI MINORI

Oltre il 60 per cento della minoranza rom è costituita da minori.

A fare le spese degli sgomberi sono soprattutto i più piccoli, che perdono continuamente i riferimenti abitativi e scolastici, le relazioni con maestre e compagni che sono il primo passo per l’integrazione. La Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, nel Rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Caminanti in Italia,[6] afferma che per ciò che «riguarda il livello di scolarizzazione di Rom, Sinti e Caminanti i dati, per quanto sempre difficili da verificare, forniscono un quadro di forte ritardo e di grande penalizzazione. Secondo Opera Nomadi, sarebbero almeno 20 mila i Rom sotto i dodici anni, in grandissima parte romeni e jugoslavi, che evadono l’obbligo scolastico in Italia e si stima che i restanti coetanei Rom e Sinti siano in un generalizzato ritardo didattico di non meno di tre anni».

Le radici di questa scarsa scolarizzazione, scrive il Ministero dell’interno nel rapporto, andrebbero ricercate non tanto nel nomadismo, quanto nelle «difficili condizioni economiche nonché in una certa diffidenza verso la scuola, vista come espressione di una società che si è mostrata ostile e che per la sua azione assimilatrice è vista come pericolosa per la propria identità».

IL SISTEMA DEI CAMPI ISTITUZIONALIZZATI E L’UTILIZZO DEL DENARO PUBBLICO

Quattro quinti dei rom e sinti presenti in Italia vivono perfettamente inclusi nella società: svolgono una regolare esistenza lavorativa e sociale e vivono in abitazioni convenzionali. Un rom su cinque vive invece in stato di emergenza abitativa, in insediamenti formali o informali, i cosiddetti “campi”. Chi vive nei campi costituisce lo 0,06 per cento della popolazione italiana.[7] Per queste persone, la Strategia nazionale di inclusione prevista dalla Commissione europea nel 2011 non ha mai avuto inizio.

L’Italia è il solo paese europeo ad aver fatto dei “campi” un sistema istituzionalizzato, tanto che nel 2000 l’European Roma Rights Centre intitolò Il Paese dei campi un suo rapporto dedicato alla condizione dei rom italiani.[8]

«La causa principale del problema rom in Italia sono i cosiddetti campi nomadi attrezzati, creati e gestiti con denaro del contribuente dalle pubbliche amministrazioni», è l’opinione di Miriam Anati, responsabile dei progetti sostenuti in Italia da Open Society Initiative for Europe, l’ala operativa di Open Society Foundations in Europa. «In molti paesi europei esistono quartieri ghetto, ma in nessun stato membro dell’UE vi sono villaggi creati dalle istituzioni appositamente per concentrarvi persone appartenenti a una singola etnia. Questa si chiama segregazione razziale, e persino la Commissione europea ha recentemente riconosciuto l’equazione “nomadi-rom” celata dal linguaggio dell’amministrazione pubblica italiana. La segregazione è un comportamento vietato da tutte le norme internazionali del dopo-guerra. Ma in Italia è una pratica corrente».[9]

Questa la testimonianza di Santino Spinelli: «Sono lager democratici. Io mi chiedo: per decenni abbiamo combattuto contro l’apartheid in Sudafrica. Perché lo accettiamo a casa nostra? […] I nostri popoli hanno iniziato il nomadismo perché spinti dalle persecuzioni. E la persecuzione continua anche oggi, e anche in Italia, perché nel 2007 non si possono proporre “campi attrezzati”».[10]

Il “sistema dei campi” fu consolidato nel maggio 2008, in seguito alla dichiarazione – da parte del governo Berlusconi – dello “stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità nomadi” in Campania, Lazio e Lombardia, decretato per gestire una situazione di “grave allarme sociale”.[11] Da quel decreto derivarono una serie di ordinanze riguardanti la regione Lazio, tra cui la nomina di un commissario straordinario[12] e l’adozione del cosiddetto Piano nomadi “per la gestione dei villaggi attrezzati per le comunità nomadi”.[13] Oltre 6.000 persone vennero trasferite all’interno di insediamenti formali allestiti dal Comune di Roma e affidati a cooperative e associazioni responsabili della gestione, della manutenzione ordinaria e della fornitura di servizi essenziali, con una spesa stimata, tra il 2009 e il 2013, di oltre 100 milioni di euro.

Ad aprile 2013, la Corte di Cassazione dichiarò l’illegittimità dell’“emergenza nomadi”, non rilevando un nesso di causalità tra la presenza di rom e una straordinaria turbativa dell’ordine e della sicurezza pubblica.[14]

A peggiorare questa già gravissima situazione, sono venute le speculazioni mafiose e clientelari. «Noi quest’anno abbiamo chiuso con quaranta milioni di fatturato, ma tutti i soldi e gli utili li abbiamo fatti sui zingari, sull’emergenza alloggiativa e sugli immigrati, tutti gli altri settori finiscono a zero», ha detto Salvatore Buzzi nella famosa intercettazione telefonica che ha dato inizio all’inchiesta denominata Mafia capitale. [15] Massimo Carminati, l’uomo accusato di essere il “boss” di Mafia Capitale, parlava al telefono dell’assegnazione di fondi pubblici per rifinanziare i campi nomadi della cooperativa gestita da Buzzi: «Tutti i campi nomadi che ci stanno a Roma sono gestiti da loro».

Le recenti inchieste giudiziarie riguardanti l’amministrazione capitolina hanno evidenziato come alcuni elementi della gestione dei “campi nomadi” rientrasse in un sistema corruttivo finalizzato all’assegnazione di appalti e finanziamenti pubblici che ha portato negli ultimi anni a un peggioramento delle condizioni di vita delle comunità rom, alla loro segregazione e a uno spreco di risorse pubbliche: nel solo 2013 e nella sola Capitale sono stati impegnati oltre 22 milioni di euro, di cui circa il 60 per cento rappresentato dai soli costi di gestione degli otto “villaggi della solidarietà” e dei tre centri di raccolta.

Rom e sinti sono ostaggio di politiche che ne fanno un capro espiatorio mentre si avvantaggiano della loro segregazione, e che dunque hanno tutto l’interesse a mantenere lo status quo.

Nel solo 2014, a Roma sono stati erogati 1.315.000 euro per perpetuare un tale sistema: denaro che si sarebbe potuto spendere per trovare soluzioni abitative dignitose, conformi alle direttive europee.

GLI SGOMBERI FORZATI A ROMA

Negli ultimi cinque anni a Roma si è registrata una presenza costante di circa 2.200–2.500 rom di origine prevalentemente rumena che abitano in insediamenti spontanei precari, i cosiddetti insediamenti informali o, nel linguaggio dell’Amministrazione e di buona parte dei media, insediamenti “abusivi”.

In una città che ha 2.872.021 abitanti, queste persone rappresentano lo 0,09% della popolazione. Buona parte di essi vive a Roma da anni, si tratta di famiglie spesso con minori al seguito che migrano prevalentemente per motivi economici.

Nessuna delle famiglie incontrate dall’Associazione 21 luglio nel corso degli anni persegue uno stile di vita nomade, tuttavia la maggior parte di loro è stata ripetutamente costretta a trovare rifugio in diverse parti della città, in seguito alle operazioni di sgombero forzato di cui è stata vittima, in un perverso e costoso “gioco dell’oca” che viola sistematicamente i diritti umani. [16]

Le operazioni di sgombero che colpiscono le famiglie rom che abitano negli insediamenti informali di Roma:

  • non vengono mai accompagnate dalle appropriate garanzie procedurali prescritte dagli standard internazionali sui diritti umani;
  • si tratta di provvedimenti collettivi che non tengono in considerazione le circostanze individuali di ciascuna famiglia;
  • vengono spesso notificati esclusivamente per via orale;
  • non sono supportati, salvo rarissime eccezioni, da alcun atto formale che preveda modalità di ricorso.
  • In molte occasioni durante lo sgombero vengono arbitrariamente distrutti beni di proprietà delle famiglie.
  • Nei casi in cui viene offerta un’alternativa abitativa alle famiglie sgomberate, questa si limita a un’accoglienza temporanea esclusivamente per le mamme con bambini, una soluzione che prevedendo la separazione del nucleo familiare che viene sistematicamente rifiutata.
  • In rare eccezioni viene offerta una soluzione abitativa alternativa in strutture di accoglienza per soli rom, dalle condizioni al di sotto degli standard e dal carattere monoetnico, quindi inadeguate.

Uno degli argomenti principali che le autorità della capitale utilizzano per giustificare gli sgomberi forzati di famiglie rom riguarda la precarietà igienico-sanitaria degli insediamenti informali. Sebbene le condizioni abitative degli insediamenti informali siano oggettivamente inadeguate, gli sgomberi forzati:

  • non fanno che riprodurre altrove l’inadeguatezza dell’alloggio;
  • accrescono la vulnerabilità ed esacerbano le condizioni di vita delle persone coinvolte, che finiscono per essere ripetutamente spostate da una parte all’altra della città.

A oggi non risulta che il Dipartimento Politiche Sociali di Roma abbia mai promosso e realizzato un piano di intervento sociale. Questo comporta:

  • una escalation delle tensioni sociali;
  • un approccio di mero ordine pubblico imperniato sugli sgomberi forzati che lede i diritti umani, non risolve il “problema” ed è economicamente insostenibile;
  • un quadro di intervento estremamente frammentato, confuso e privo di coordinamento, improntato a una visione emergenziale;
  • sistematica assenza di predisposizione delle appropriate tutele procedurali durante le operazioni di sgombero.[17]

IL GIUBILEO

Il 13 marzo 2015 Papa Francesco ha annunciato il Giubileo Straordinario della Misericordia. Per gestire l’organizzazione del grande evento – che avrà inizio l’8 dicembre 2015 e terminerà il 20 novembre 2016 e vedrà l’arrivo nella Capitale di milioni di pellegrini e visitatori da tutto il mondo – è stata creata una speciale cabina di regia alla quale partecipano Governo, Comune di Roma, Regione Lazio e Vaticano.

In seguito all’annuncio, il tasso di sgomberi forzati di famiglie rom è sensibilmente aumentato, passando da una media di meno di tre sgomberi al mese nei primi tre mesi dell’anno a una media mensile di quasi dieci da marzo a settembre. Gli sgomberi forzati realizzati in occasione del precedente Giubileo del 2000 portarono a parlare di “Giubileo nero degli zingari”. La preoccupazione dell’Associazione 21 luglio si è tradotta in una richiesta formale di informazioni al riguardo alle autorità di Roma la quale, fino ad oggi, è rimasta inevasa.

Questi i dati della denuncia fatta della campagna Peccato capitale:

– Nel 2013 vi furono 54 sgomberi forzati, circa 1.250 persone coinvolte, per una spesa stimata di 1.545.000 euro;

– Nel 2014 vi furono 34 sgomberi forzati, circa 1.150 persone coinvolte, per una spesa stimata di 1.315.000 euro;

– Nel 2015, prima dell’annuncio del Giubileo, sono stati eseguiti 7 sgomberi forzati, circa 100 persone coinvolte, per una spesa stimata di 120.000 euro;

– Nel 2015, dopo l’annuncio del Giubileo (13 marzo 2015), sono stati eseguiti 64 sgomberi forzati, circa 975 persone coinvolte, per una spesa stimata di 1.225.000.

Sette sgomberi nei due mesi e mezzo precedenti l’annuncio del Giubileo, sessantaquattro sgomberi nei sette mesi successivi a tale annuncio: l’incidenza degli sgomberi a Roma è triplicata, malgrado il 26 ottobre il Papa abbia ricevuto cinquemila rom provenienti da almeno venti nazioni del mondo, parlando di dignità, integrazione e difesa dei diritti.

PISA E IL RICORSO ALLA CEDU

Il sindaco di Pisa ha emesso un’ordinanza di sgombero del campo rom della Bigattiera attuata il 25 settembre, senza che fosse predisposta alcuna soluzione abitativa alternativa per gli abitanti del campo, di cui facevano parte numerose famiglie con bambini anche molto piccoli.

Malgrado la protesta delle eurodeputate Barbara Spinelli ed Eleonora Forenza, delle associazioni locali e del parlamentare italiano Nicola Fratoianni, le ruspe hanno raso al suolo le baracche e le persone sono state lasciate in mezzo alla strada. Da allora, a detta delle associazioni, è in atto una sorta di persecuzione per scacciare i rom pisani dagli insediamenti provvisori che via via riescono a trovare.

Il giorno stesso dello sgombero, gli avvocati Alessandra Ballerini e Gianluca Vitale hanno presentato un ricorso alla CEDU. Era un lunedì, e l’ordinanza di sgombero era stata annunciata appena il giovedì sera, impedendo i tempi tecnici per una reazione legale. Questa la risposta della CEDU: «Riceviamo il vostro dossier nel quale domandate alla Corte di sospendere l’esecuzione del provvedimento del sindaco di Pisa di sgombero del campo. Mentre stava esaminando il dossier, la Corte è stata informata che lo sgombero si era concluso. In ragione di questo, la vostra domanda non è stata trattata».[18]

Una precedente ordinanza di sgombero dei rom di Pisa, che avrebbe dovuto essere eseguita il giorno di Natale del 2014, era già stata ritirata un anno fa in seguito all’intervento di Barbara Spinelli, che ricordò a Sindaco e Prefetto come, nel 2010, il governo francese fosse stato severamente ammonito dall’Onu, dal Parlamento europeo e dalla Commissione di Bruxelles, la quale minacciò di attivare una procedura di infrazione nel caso le autorità francesi non fossero immediatamente tornate sulla propria decisione.

SGOMBERI E POLITICHE ELETTORALI

Con le stesse motivazioni, in seguito a notizie sempre più pressanti di sgombero del campo rom di Lungo Stura Lazio, a Torino, e del campo rom di Torre del Lago Puccini, a Viareggio, il 18 marzo 2015 Barbara Spinelli chiese al Prefetto di Torino, al Vicesindaco di Torino e al Commissario prefettizio di Viareggio la sospensione degli sgomberi forzati e il rispetto delle disposizioni vigenti, ottenendo – insieme ad associazioni, attivisti e avvocati – la sospensione del provvedimento.

Difficile però far fronte a un clima incattivito da una politica di sgomberi forzati attuata sia da giunte di destra sia da giunte di sinistra, come strategia elettorale in vista delle ripetute scadenze amministrative.

PROMESSE MANCATE E BATTAGLIE FUTURE

Dopo che la Commissione europea, con la Comunicazione n.173 del 4 aprile 2011, ha sollecitato gli Stati membri all’elaborazione di strategie nazionali di inclusione dei rom e sinti, il 24 febbraio 2012 il Consiglio dei ministri ha approvato la Strategia nazionale d’inclusione di rom, sinti e caminanti da attuare attraverso il coinvolgimento dei ministeri dell’Interno, del Lavoro e politiche sociali, della Giustizia, della Salute, dell’Istruzione, università e ricerca e degli Enti locali, con il coordinamento sul territorio dall’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar).

La Strategia individua tra gli obiettivi l’abbandono della politica dei “campi nomadi” e il superamento della politica emergenziale e assistenzialista, ribadendo «la necessità di superamento dei campi per combattere l’isolamento e favorire percorsi di interrelazione sociale».

Nell’ottobre 2012, Open Society presentò un Memorandum per la Commissione europea dal titolo I rom in Italia, l’emergenza continua,[19] mostrando come l’Italia continuasse a infrangere il diritto dell’Unione. Nella valutazione sull’attuazione delle strategie nazionali di inclusione pubblicata il 26 giugno 2013, la Commissione Europea – pur evidenziando, riguardo all’Italia, la presenza di impulsi positivi – ha sottolineato in tutti i settori di intervento una carenza di obiettivi quantificabili e la mancata identificazione delle risorse necessarie per l’avanzamento delle attività, raccomandando di realizzare un robusto meccanismo di monitoraggio e valutazione.

Una fila di promesse mancate, ma proprio il Giubileo può diventare l’occasione per chiedere con forza all’Italia – in un progetto condiviso con le comunità rom e sinte – l’adozione di quelle politiche di inclusione e sicurezza sociale da tempo previste dall’Onu e dall’Unione europea. Così come può diventare l’occasione per chiedere all’Unione europea di promuovere un approccio globale di inclusione che superi le attuali raccomandazioni non vincolanti agli Stati membri, imponendo il rispetto dell’Articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali, che vieta qualsiasi forma di discriminazione fondata sull’origine etnica o sociale o sull’appartenenza a una minoranza nazionale.


 

  1. Quadro dell’UE per le strategie nazionali di integrazione dei Rom fino al 2010, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, Bruxelles 5 aprile 2011, COM(2011) 173 definitivo, http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2011:0173:FIN:IT:PDF.
  2. Su siti di associazioni rom e sinte si trovano cifre che variano tra 160.000 e 180.000.
  3. Nel maggio 2014 è stata presentata una proposta di legge di iniziativa popolare sull’inserimento delle minoranze rom e sinte nella Legge 482 del 1999: norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche.
  4. Sergio Bontempelli, Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia, Fondazione Soros 2012.
  5. Il 30 maggio 2015 la seconda sezione del Tribunale civile di Roma ha riconosciuto «il carattere discriminatorio di natura indiretta della complessiva condotta di Roma Capitale […] che si concretizza nell’assegnazione degli alloggi del villaggio attrezzato La Barbuta» ordinando di conseguenza «la cessazione della suddetta condotta nel suo complesso, quale descritta in motivazione, e la rimozione dei relativi effetti» ed evidenziando come debba intendersi «discriminatoria qualsiasi soluzione abitativa di grandi dimensioni diretta esclusivamente a persone appartenenti a una stessa etnia, tanto più se realizzata, come nel caso dell’insediamento sito in località La Barbuta, in modo da ostacolare l’effettiva convivenza con la popolazione locale, l’accesso in condizione di reale parità ai servizi scolastici e socio-sanitari e situato in uno spazio dove è posta a serio rischio la salute delle persone ospitate al suo interno».
  6. http://www.senato.it/documenti/repository/commissioni/dirittiumani16/Rapporto%20conclusivo%20indagine%20rom,%20sinti%20e%20caminanti.pdf.
  7. Dossier Rom e sinti: per una corretta informazione, http://www.21luglio.org/rom-e-sinti-per-una-corretta-informazione.
  8. http://www.errc.org/article/il-paese-dei-campi/3881.
  9. http://www.huffingtonpost.it/costanza-hermanin/8-aprile-giornata-internazionale-dei-rom-e-sinti-e-tempo-di-proibire-la-pratica-dei-campi-segregati-in-italia_b_5083381.html
  10. Intervista di Jenner Meletti a Alexian Santino Spinelli, La Repubblica, 19 maggio 2007.
  11. Decreto del Presidente del Consiglio Dei Ministri, 21 maggio 2008.
  12. Ordinanza n. 3676 del Presidente del Consiglio dei Ministri, 30 maggio 2008.
  13. Regolamento per la gestione dei villaggi attrezzati per le comunità nomadi nella regione Lazio, 18 febbraio 2009.
  14. Su tali provvedimenti sono intervenuti il Tar del Lazio (sentenza n. 6352 del 1 luglio 2009) e successivamente il Consiglio di Stato (sentenza n. 6050 del 16 novembre 2011). Nel testo di quest’ultima sentenza si legge che “lo stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità nomadi” in Campania, Lazio e Lombardia è stato dichiarato illegittimo “perché adottato in assoluta carenza di presupposti di fatto idonei a legittimare una declaratoria diemergenza ai sensi dell’art. 5 della legge 225 del 1992″. Sono così decadute le ordinanze di nomina dei commissari straordinari per l’emergenza, i regolamenti per la gestione delle aree destinate ai “nomadi” e dei relativi “villaggi attrezzati” così come tutti i successivi atti commissariali, in quanto adottati in carenza di potere. Il 15 febbraio 2012 il Governo ha presentato contro la sentenza del Consiglio di Stato un ricorso in Cassazione, che è stato rigettato.
  15. http://www.internazionale.it/notizie/2014/12/03/gli-affari-della-mafia-romana-sugli-immigrati-e-sui-campi-rom.
  16. Cfr. documento della campagna Peccato Capitale – Associazione 21 luglio.
  17. Ivi.
  18. http://iltirreno.gelocal.it/pisa/cronaca/2015/10/04/news/sullo-sgombero-la-corte-dei-diritti-non-si-pronuncia-1.12206251.
  19. https://www.opensocietyfoundations.org/sites/default/files/italy-briefing-ic-march-italian-10192012.pdf.