Quando Touil sarà veramente libero?

Abdel Majid Touil, il ragazzo marocchino accusato in maniera assurda della strage del museo Bardo, in Tunisia e poi riconosciuto totalmente estraneo ai fatti è una rappresentazione personalizzata dell’assurdità della legislazione italiana. Riconosciuto innocente per le accuse che gli erano state rivolte era stato però tradotto nel CIE di Torino per essere poi espulso in un paese come il Marocco che lo avrebbe potuto, a sua volta, estradare in Tunisia, dove rischia la condanna a morte. In pratica, almeno ufficialmente, l’Italia stava assolvendo al misero ruolo che fu di Ponzio Pilato, lasciando ad altri il compito di fare il lavoro sporco. Ma la legge parla chiaro, “non sei entrato regolarmente, col tuo paese abbiamo firmato accordi di riammissione, quindi “riprendetevelo” e non importa che fine gli riserverà il luogo in cui lo abbiamo riportato. Ma il “Caso Touil” ha avuto una certa rilevanza e, dopo la vergogna della vicenda della signora Shalabajeva c’era il rischio che potesse piovere l’ennesima condanna al governo italiano per non aver rispettato le convenzioni internazionali. Una storia questa, trattata con molta cautela dai media italiani, sospesi fra l’intenzione di non poter mollare sull’utilissimo “allarme terrorismo” e le sollecitazioni internazionali. Per fortuna i tempi del trattenimento nel CIE necessitavano di essere convalidati da una udienza e il Giudice di Pace incaricato di valutare una scelta di portata internazionale (assurdo che un giudice con competenze pressoché esclusivamente amministrative debba avere tale onere), ha decretato la non esistenza dei requisiti per disporre tale trattenimento e il ragazzo è tornato a casa a Milano. Si a Milano dove vive, va a scuola, si sta provando a costruire una vita e dove adesso dovrà forse sentirsi perennemente bollato dal marchio di terrorista. Ma al di là di tale osceno stigma voluto dalla necessità di indagini incongruenti e frettolose e dalla necessità di trovare un capro espiatorio comodo ai tre paesi legati fra loro da solidi legami, la domanda sorge spontanea. Quale sarà il suo futuro? Avrà diritto a un permesso di soggiorno, a potersi rifare una vita, essere dimenticato dai giornali e ritornare al suo progetto di vita? O resterà nel limbo in cui vive un gruppo neanche tanto piccolo di cittadini migranti. Parliamo di coloro che hanno subito condanne penali, scontate nelle carceri italiane, o che si ritrovano ad essere accusati di delitti per cui magari non ci sono prove reali e sorge il dubbio di una persecuzione mirata. Coloro che escono per fine pena e magari non possono essere deportati nel Paese di origine perché le convenzioni internazionali e la nostra stessa Carta Costituzionale vieta (ancora sob) di rimpatriare persone a rischio di trattamenti inumani e degradanti o a pene capitali. Per il caso di Touil, innocente, ce ne è un gruppo piccolo ma significativo, di persone dichiarate colpevoli ma che rischiano di essere fermate all’angolo di una strada, riportate in un CIE fino a quando l’ennesima sentenza dimostrerà che vanno liberate. Persone a libertà condizionata, considerate “socialmente pericolose” anche se si sono ricostruite una vita che, malgrado il carcere, hanno ritrovato una propria collocazione sociale. Anche a queste persone spetterebbe giustizia, quantomeno una parola definitiva e la possibilità di ricominciare a vivere serenamente. Vale per chiunque commetta crimini ma non può valere per chi è straniero? Per chi non ha cittadinanza e magari anche la pelle chiara? Domanda urgente a cui rispondere perché con i prossimi accordi europei per aumentare i rimpatri, tante persone potrebbero finire in un tritacarne che li rispedisce in paesi considerati “terzi sicuri”, in cui non dovrebbero correre rischi e in cui rimandarli, come un sacco di rifiuti. Felici che Touil sia oggi libero ma determinati a far sì che i tanti “Touil” che vivono in Europa possano divenire liberi veramente liberi