Il grande gioco dei profughi e la politica degli hotspot (riflessioni a margine delle Conclusioni del Consiglio europeo del 15 ottobre)

Il 15 ottobre un giovane profugo afgano è stato ucciso dalle Guardie di frontiera bulgare mentre tentava di entrare nel Paese attraverso il confine con la Turchia. Le autorità di Sofia hanno detto che si è trattato di uno sparo fuori controllo: un ennesimo “incidente” nel contrasto europeo della migrazione. Lo stesso giorno, a Bruxelles, il Consiglio europeo presentava un piano d’azione comune tra l’Unione europea e Ankara per arginare i flussi migratori: una dichiarazione di guerra non solo ai migranti, ma all’Europa dei diritti – diretta conseguenza della scelta di proteggere non le persone ma i confini.

Secondo le Conclusioni del Consiglio del 15 ottobre, i paesi sull’altra sponda del Mediterraneo saranno incaricati di completare la costruzione della barriera che inizia a Ceuta e Melilla e termina con i muri di filo spinato eretti da Grecia, Ungheria e Bulgaria. Il Consiglio dà infatti il via libera agli accordi di riammissione dei profughi e all’esternalizzazione delle politiche di respingimento in cambio di corposi finanziamenti ai paesi terzi di provenienza e di transito. Tra quest’ultimi, partner d’eccellenza è la Turchia, che chiede in cambio – oltre alle procedure d’ammissione nell’Unione e a un ammontare considerevole di fondi e aiuti – l’inclusione nella white list dei paesi sicuri, malgrado le politiche criminali del governo Erdogan nei confronti dei curdi e la sistematica intimidazione della dissidenza interna.

Il Consiglio ha invitato gli Stati membri a versare più fondi ai paesi che effettueranno il maggior numero di riammissioni, con la raccomandazione di «rafforzare ulteriormente l’effetto leva nei settori del rimpatrio e della riammissione, ricorrendo se del caso al principio “di più a chi fa di più”». Una sorta di mercato dei profughi, che si giocherà fino al vertice sulla migrazione di La Valletta l’11 e 12 novembre, quando a Malta confluiranno i capi africani di stato e di governo, a riannodare i fili dei processi di Khartoum e Rabat. Poi verrà il turno della Commissione e dell’Alto rappresentante Federica Mogherini che, secondo gli orientamenti del Consiglio, «proporranno entro sei mesi incentivi globali e su misura da utilizzare nei confronti dei paesi terzi».

L’Unione ha deciso di procedere verso una politica di rimpatri ed espulsioni non più solo verso i paesi d’origine ma anche verso quelli di transito, che – come la Turchia – diventeranno paesi-prigione, ma al tempo stesso immensi serbatoi di profughi: flussi da liberare o trattenere a seconda delle necessità e delle mire politiche ed economiche del momento. Mentre i migranti sembrano sempre più pedine da giocare sulla scacchiera geopolitica, il Consiglio conferma l’imposizione della politica degli hotspot a Italia e Grecia, paesi “in prima linea” costretti a creare “punti di crisi” presidiati da squadre operative di Frontex, così da intensificare i voli di rimpatrio. Secondo le Conclusioni, saranno ampliati i fondi e i poteri concessi all’Agenzia europea, che avrà delega a tenere rapporti per conto dell’Unione con i governi e le polizie dei paesi di origine e transito, spesso governati da dittature militari.

Cosa sarà la politica dei rimpatri forzati lo si è visto a Roma il 15 ottobre, lo stesso giorno in cui a Bruxelles si riuniva il Consiglio europeo e in Bulgaria la polizia di frontiera uccideva un profugo afgano. Di primo mattino, un gruppo di cittadine e cittadini nigeriani da poco sbarcati in Sicilia e trattenuti nel CIE di Ponte Galeria veniva caricato su un volo congiunto di Frontex con destinazione Lagos, senza avvisare gli avvocati delle persone coinvolte né le associazioni, che pure avrebbero avuto diritto a esercitare un monitoraggio. Un’operazione simile era già stata condotta il 17 settembre quando, come denunciato in una lettera di Barbara Spinelli a Frontex e al Viminale, ventidue giovani donne nigeriane potenziali vittime di tratta vennero rimpatriate malgrado il tribunale competente avesse emesso per alcune di loro un decreto di sospensione del respingimento.

Cosa saranno gli hotspot lo si può invece capire in Sicilia, da tempo laboratorio delle politiche europee sull’immigrazione. Entro la fine di novembre gli hotspot di Lampedusa, Pozzallo, Porto Empedocle, Trapani ed Augusta dovrebbero essere funzionanti, adibiti all’identificazione, al prelievo delle impronte digitali e alla separazione tra aventi e non aventi diritto alla domanda di protezione internazionale, ovvero tra profughi e “migranti economici”. Ma già da qualche tempo la classificazione delle persone appena sbarcate avviene sulla base di “questionari-trappola” che inducono i profughi a dichiarare il paese di provenienza e i motivi del viaggio, creando per via amministrativa, sulla base di valutazioni discrezionali di polizia, la figura della “seconda serie” di migranti, quelli che non dichiarano di fuggire da paesi in guerra o da persecuzioni, ma di aver attraversato il mare nella speranza di trovare un lavoro.

Queste strutture, stando al testo dell’accordo, non dovranno permettere più ai migranti di fuggire, ovvero di tentare l’ingresso nei paesi del Nord. «I paesi d’ingresso devono assumere rigorosamente i loro obblighi secondo i trattati di Shenghen, dividendo i richiedenti asilo dai migranti economici», ha ribadito il ministro dell’Interno francese Bernard Cazeneuve. E questo comporta necessariamente una militarizzazione dei punti di arrivo. Secondo una scheda informativa della Commissione europea, «il sostegno operativo fornito con il metodo basato sugli hotspots si concentrerà su registrazione, identificazione e rilevamento delle impronte digitali e debriefing dei  richiedenti asilo, e sulle operazioni di rimpatrio. Le richieste di asilo saranno trattate più velocemente possibile con l’aiuto delle squadre di supporto dell’EASO. Frontex aiuterà gli Stati membri coordinando il rimpatrio dei migranti irregolari che non necessitano di protezione internazionale. Europol e Eurojust assisteranno lo Stato membro ospitante nelle indagini per smantellare le reti della tratta e del traffico di migranti».

Gli hotspot dovrebbero dunque produrre due categorie di internamento: quella dei migranti economici da rinchiudere in attesa di rimpatrio, e quella dei richiedenti asilo da trattenere in attesa dell’esame della domanda da parte delle Commissioni territoriali (che allo stato attuale può durare anche due anni) e dell’eventuale ricollocazione in Europa secondo il sistema delle quote da ripartire tra Stati membri.

I Centri di primo soccorso e accoglienza (Cpsa) vengono trasformati in hotspot, tradendo la funzione promessa nella nominazione, mentre i Centri di identificazione ed espulsione (Cie), in via di smantellamento, vengono trasformati in parcheggi di migranti in attesa di rimpatrio. «Sarà nell’interesse delle persone negli hotspot rilasciare le impronte e quindi richiedere l’asilo», ha dichiarato il prefetto Mario Morcone, capo del Dipartimento immigrazione del Ministero dell’Interno, «perché rifiutandole si incorrerà nel trattenimento all’interno dei Cie e nella possibile deportazione».

A meno che non si ricorra, come sta avvenendo da qualche mese, a provvedimenti di “respingimento differito”.

Numerose testimonianze segnalano che in molti casi la polizia fa una breve intervista ai migranti appena sbarcati e condotti nel Centro di primo soccorso e accoglienza e, senza dar loro il tempo di avanzare richiesta d’asilo, consegna un decreto che intima loro di lasciare l’Italia entro sette giorni. Da quel momento, le persone sono escluse dal sistema di accoglienza italiano, compresi i Cara e i centri Sprar. La partenza deve avvenire con un volo dall’aeroporto di Roma Fiumicino: un ordine grottesco, per chi non ha documenti né denaro.

Alessandra Ballerini, avvocato incaricato da Terre des Hommes di condurre un’inchiesta nei Cpsa di Pozzallo e Lampedusa, ha commentato che «i migranti vengono respinti non solo fisicamente, allontanati dal centro e messi di fatto in mezzo alla strada, ma anche e soprattutto respinti giuridicamente. A loro viene infatti notificato un “decreto di respingimento differito” ai sensi, e al tempo stesso in violazione, dell’art. 10 TU immigrazione».

La nuova procedura, denuncia Medici Senza Frontiere, viene applicata anche a soggetti vulnerabili: minori, donne in stato di gravidanza, persone bisognose di cure dopo aver subito traumi e violenze nel paese di provenienza o nel corso della traversata in mare. Più di cento casi documentati nell’arco delle ultime tre settimane nel solo Cpsa di Pozzallo.

Se da un lato politiche basate su misure di contrasto dell’immigrazione e difesa dei confini dell’Unione non potranno che portare alla criminalizzazione e al rimpatrio in condizioni spesso di grave difficoltà di centinaia di migliaia di persone che l’Europa rifiuta di riconoscere non solo come profughi o richiedenti asilo ma anche come esseri umani, l’estendersi delle aree di conflitto in Iraq, Siria, Turchia, Palestina, Afghanistan, Eritrea e Repubblica Centrafricana rischia di far precipitare milioni di persone in condizioni di disastro umanitario dal quale non potranno che tentare la fuga. Un circolo vizioso in cui le politiche proposte dall’UE risulteranno, oltre che potenzialmente omicide, tragicamente fallimentari.