3 Ottobre 2013, muoiono in mare 366 migranti

Lo scorso anno, il 3 ottobre, nel primo anniversario della strage di  Lampedusa, accaddero molte cose. Accadde che un governo, un parlamento e le istituzioni europee vennero contestate perché si continuava a morire in mare.

Accadde che tanti cercavano un momento di propria personale visibilità.Accadde che nel pomeriggio, sotto una tempesta che sembrava provenire dagli inferi, marciammo in tanti, guidati dai superstiti della strage, per gettare fiori in un mare nero e furibondo, sotto un vento sferzante e selvaggio. Ma noi, tornammo tutti sereni alle nostre abitazioni, ci cambiammo gli abiti bagnati e ci ritrovammo a tarda sera a pensare ai tanti e alle tante che non avevano questo privilegio.

In quella giornata incontrai una persona straordinaria, un uomo indimenticabile. Un pescatore, uno dei tanti che, un anno prima vedendo il barcone bruciare, non perse tempo, scese in mare e da solo, da solo, tirò in salvo 47 persone. Quest’uomo, questo eroe del nostro tempo, non va più in mare: “Ne potevo salvare di più – mi disse, avendo negli occhi ancora l’orrore – ma non ci sono riuscito e ho visto donne e bambini sfuggirmi e affogare. Non potrò mai vivere come prima”.

Il 3 ottobre 2013 di Lampedusa è stato questo, un’isola che si è stretta attorno ad un lutto immenso e inaccettabile e intorno telecamere e cacciatori di pornografia del dolore. La fila immensa, interminabile di bare nell’hangar, 366, i 155 sopravvissuti, il mondo intero che guardava a questo scoglio di 22 km quadrati reso impotente di fronte ad un omicidio di massa di tale rilevanza. Sì omicidio, perché la colpa non è stata della furia degli elementi né dei trafficanti senza scrupoli utilizzati oggi come comodo alibi per l’ennesima guerra.

Si tratta di strage premeditata compiuta dai governi europei in nome della difesa dei confini e della scelta scellerata di alimentare conflitti, creare disastri economici ed ecologici senza volerne poi pagare le conseguenze in termini di persone in fuga da accogliere. Quegli uomini, quelle donne e quei bambini arrivavano soprattutto dall’Eritrea, un Paese che l’Italia dovrebbe conoscere bene, che è stata propria colonia, i cui giovani sono stati utilizzati per l’aggressione dell’Etiopia, in cui durante il fascismo si diceva di “aver portato la civiltà” e in cui oggi si appoggia una delle peggiori dittature nel mondo, quella di Isaias Afawerke.

Giovani donne e bambini scappavano e continuano a scappare dall’Eritrea, gli anziani parlano ancora italiano, pensano all’Italia come ad una madre lontana. Il governo italiano li ricambia mantenendo nel Paese l’unica ambasciata europea.

Quel 3 ottobre divenne però, per pochi momenti la madre di tutte le stragi. Eppure una settimana dopo, circa 500 persone sono perite più lontane, presso le coste libiche, eppure il 19 aprile scorso, quasi 900 persone sembra abbiano perso la vita sempre in quel mare infernale, eppure si continua a morire, in massa o in piccoli gruppi, davanti alla Libia, in mezzo al mare o al deserto e persino nelle poche miglia marine che separano la Turchia (ritenuta Paese sicuro) da alcune isole greche. La guerra contro gli ultimi continua e cessato l’impegno successivo alla strage di Lampedusa, l’Operazione Mare Nostrum, ci si prepara ad altro.

L’agenzia di controllo delle frontiere Frontex, funziona oggi come una agenzia viaggi per velocizzare il rimpatrio di chi non è ritenuto degno di restare in Europa. Solo navi di organizzazioni umanitarie rendono in questi giorni il bilancio delle vittime, di quelli che, privi di identità sono stati giustamente chiamati “nuovi desaparecidos”, meno grande.

L’Europa ormai costretta a fare i conti anche con chi arriva utilizzando le meno rischiose rotte balcaniche si sta inventando nuove strategie. Da una parte accogliere chi ritiene degno di protezione umanitaria perché fugge da Paesi ufficialmente in guerra, dall’altra costruendo strutture di segregazione e di ripartizione delle persone arrivate. Chi è considerato degno delle garanzie di cui sopra potrà, ma solo in parte, trovare accoglienza in una serie di paesi europei. Coloro che verranno considerati “migranti economici” li si vuole rispedire a casa o nei cosiddetti “Paesi terzi sicuri” dove non rischiano la vita (teoricamente) ma restano lontani.

Processi, peraltro realizzati a Roma, come quello di Rabat e di Khartoum porteranno ad esternalizzare le frontiere, realizzando queste nuove strutture di contenimento (gli hot spot) non solo in Italia e Grecia ma anche per ora in Niger, forse poi in Mali e Sudan, da dove, teoricamente, chi ha diritto di entrare nel tempio Europa potrebbe farlo. Ma chi decide chi ha diritto?

Nel frattempo tuonano i cannoni in Siria e si preparano gli attacchi in Libia. Ufficialmente in quest’ultimo caso per combattere i trafficanti, in realtà per riportare anche in Libia la “nostra democrazia”. E torna in mente una curiosa coincidenza. Il 3 ottobre di 80 anni fa, l’Italia dichiarava guerra all’Etiopia, per portare la civiltà ai barbari. Portò invece gas, stragi, occupazione feroce in una delle pagine più squallide della storia di questo Paese. Il prototipo delle missioni umanitarie del ventunesimo secolo insomma, per nascondere brama di potere e interessi economici come geopolitici.

Ma la storia insegna anche in positivo. L’occupazione dell’Etiopia non fu mai completata, la guerriglia e la Resistenza dei partigiani colpì duramente i colonizzatori fascisti di allora e dopo solo sei anni dall’inizio delle ostilità l’Etiopia tornò libera. Ha vinto quella Resistenza come vincerà ineluttabilmente chi giorno dopo giorno rischia la vita per abbattere confini e frontiere che gli impediscono di avere un futuro, di vedere crescere i propri figli.

Un giorno, mi auguro non lontano, la giornata del 3 ottobre, proposta in parlamento coma “Giornata della Memoria per le vittime migranti”, dovrà e potrà diventare la “Giornata della vergogna”. Quella in cui l’Italia e i tanti che più o meno consapevolmente, hanno rifiutato di guardare la realtà, dovranno fare i conti con la storia che ci giudicherà complici attivi o passivi della ventennale guerra silenziosa che si combatte nel Mediterraneo. E che il 3 ottobre sia un giorno da dedicare a tutti e tutte coloro che, con la paura addosso, continuano a partire affidandosi ad un “forse mi salverò, forse almeno i miei figli cresceranno meglio”.

Pubblicato su Zeroviolenza il 3 ottobre 2015